INTRODUZIONE - Georges Darien racconta le condizioni dell’individuo nella Francia della Terza Repubblica illustrando i rapporti che costituiscono il quadro sociale come una somma di ingerenze oppressive. Nell’opera narrativa di cui il presente lavoro di ricerca propone una lettura monografica, la classe borghese, responsabile della gestione del potere politico, è raffigurata attraverso l’espansione di un punto di vista polemico a cui l’autore conferisce il ruolo di scoprire e comprendere i meccanismi di prevaricazione celati dall’immagine condivisa dei valori civili. Darien racconta la società borghese della sua epoca nei termini esasperati di un ambiente non progredito, nonostante l’avanzamento della scoperta scientifica. Le forme della democrazia e delle articolazioni del sapere note all’autore manifestano comunemente una insufficienza per il naturale sviluppo dell’uomo sia nel versante individuale, sia nella vita collettiva. La società democratica illustrata da Darien non ha nulla di comunitario, se non l’apparenza ipocrita della filantropia e della diffusione di un socialismo che in realtà non è mai attualizzato. Nei romanzi del corpus che assumeremo come oggetto di indagine, le forze politiche repubblicane, reazionarie, cattoliche, appaiono come sfaccettature molteplici di una sola intenzione di spartizione del potere politico, da cui le masse popolari sono escluse senza alcuna possibilità di rappresentanza autentica. Il povero rimane un’ombra rispetto agli intrighi nazionali e locali in cui lo strato della popolazione che vive di lavoro mercantile si fa largo attraverso i cambiamenti bruschi della storia cercando sempre il sostegno della casta militare e del potere religioso, per mantenere alta la portata di una ricchezza perseguita selvaggiamente, al di fuori di ogni determinazione morale e affettiva. Darien osserva le modalità in cui il desiderio incondizionato di accumulazione di denaro, di privilegi, di potere, è traslato in violenza diretta nei rapporti personali. I detentori del potere e della ricchezza hanno bisogno di mantenere il bottino non solamente escludendo l’altro, ma cercando ossessivamente l’eliminazione dell’altro. Le pressioni sociali che avanzano durante l’Ottocento appaiono in questi romanzi come essenze sbiadite, rimosse; come necessità ineludibili del tempo, ma sovrastate da una maggioranza aggressiva, tutt’altro che democratica, che tuttavia riesce a persistere nelle sue pratiche di infamia. È l’individuo ad assumere su di sé la drammaticità di tale condizione. Sin dalle evocazioni o rappresentazioni dell’infanzia, Darien illustra lo sviluppo di giovani uomini in preda al depotenziamento esercitato dall’ambiente sociale. Un depotenziamento concretizzato su tutti i livelli dell’esistenza. L’educazione è osservata come quantità di nozioni propedeutiche all’inserimento nei luoghi della disciplina militare. I luoghi del militarismo non sono solamente le caserme, ma anche le piazze, i salotti, i giardini privati e pubblici. L’iconografia dello Stato e le idee costruite e diffuse dalla stampa sono presenze vincolanti, incombenti sulla coscienza, mentre il raggiungimento dell’età adulta diviene un cammino angoscioso, tormentato, di repressione dell’energia vitale. Georges Adrien lavora a Biribi e al nocciolo concettuale dell’intera opera narrativa appena più che ventenne, dopo aver subito sulla propria pelle il trattamento disciplinare raccontato nel primo romanzo. Lo pseudonimo già utilizzato dal fratello, pittore accademico, diviene il riflesso di una rappresentazione finzionale ed intellettuale radicata nello svisceramento del problema dell’oppressione sociale. Il rien contenuto nella sigla DARIEN deve costituire la rappresentazione del vuoto che l’ambiente proietta violentemente nella coscienza individuale. Tutti i romanzi di Darien, in questo senso, si assomigliano fra loro, in quanto storie di gravi conflitti in cui la ricerca della soluzione è affidata all’affinamento del pensiero. Sono storie di progettazione della libertà individuale su cui vengono stratificate anche ansie di liberazione collettiva. Anche l’ambiente naturale ne è coinvolto, poiché subisce lo stesso avvelenamento dell’uomo. I luoghi della civiltà moderna – non solo le grandi metropoli europee ma anche i borghi di provincia – assumono l’aspetto di forme invasive del territorio comune, la cui corruzione si estende attraverso gli spazi della conquista coloniale. Ed il sodalizio fra il potere borghese e militare incarna questa determinazione scellerata generando ovunque figure di opportunisti che degenerano in ruoli di sfruttatori o torturatori. La letteratura è chiamata in causa per denunciare tale decadenza. Il racconto del vero assume un’importanza capitale e subisce processi di analisi critica sia da parte dell’autore, che delle voci narranti collocate nei romanzi. La denuncia della miseria politica va di pari passo con la denuncia dei metodi di narrazione che rendono inautentica l’osservazione del reale. L’agire politico, illustrato alla stessa stregua di una vasta rappresentazione tragi-comica, riceve – secondo la visione di Darien – un sostegno incommensurabile dalle forme artistiche e letterarie di intrattenimento o di riflessione, quando esse ricoprono il ruolo di rappresentazione illusoria della realtà. È in gioco la mimesi, in quanto materia difficile da trattare; in quanto pratica quasi utopistica; ma comunque pratica necessaria, obiettivo necessario. In modo analogo a molti suoi contemporanei, Darien considera il romanzo realista nell’ottica della crisi; i modelli ereditati dal passato recente non svolgono il ruolo di analisi della verità su cui hanno fondato storicamente la loro specificità. Partendo da tali presupposti, il naturalismo è osservato, criticato, deriso, alla stessa stregua del romanzo di intrattenimento, popolare, di consumo. La realtà sordida della rappresentazione naturalistica stride come la profusione lacrimevole di buoni sentimenti del romanzo popolare contro l’urgenza di una letteratura propedeutica all’azione diretta, all’impegno politico. Darien, in fondo, mantiene vivo l’interesse verso il realismo e in qualche modo concilia una continuità verso la realtà di riferimento all’assunzione dell’impegno diretto dell’istanza narrativa (rapporto rifiutato dalla figura del narratore onnisciente del naturalismo). Questi contenuti di pensiero si svolgono sia fra le pagine militanti dell’attività giornalistica di Darien, sia negli apparati paratestuali di alcuni romanzi; sia nei romanzi stessi. La parola dell’io narrante accoglie l’espressione delle idee propugnate dall’autore negli scritti non narrativi, componendo le fasi di un discorso metaletterario in cui è in discussione lo statuto del romanzo in quanto genere letterario, ma anche il romanzo in via di svolgimento. Il discorso metaletterario inserito nelle narrazioni di Darien è rivolto sommariamente contro il naturalismo, ma scivola talvolta in attacchi contro la possibilità (e in qualche modo la tentazione, non esattamente il pericolo) di assumere direttamente la riproduzione di taluni degli schemi romanzeschi comunque aggrediti. Sono disseminate, allora, in tutti i romanzi di Darien, tracce di una narrazione di secondo grado svolta per esibire al lettore (talvolta esplicitamente chiamato in causa, soprattutto per essere deriso insieme alla diffusione della cultura di cui è ritenuto per alcuni aspetti responsabile) le diverse manifestazioni del dissenso contemplate. L’attacco più evidente è rivolto alla descrizione (ne osserveremo gli esempi principali nel paragrafo di apertura del primo capitolo della ricerca in atto), ed ha costituito, nel mio percorso di lettura personale, il segno più intenso del discorso metaletterario che emerge dalla trama complessiva dei récits di Darien. La ricorsività di brani «antidescrittivi» nei diversi testi ha mosso la mia indagine sulle tracce delle possibili tematiche implicate. Il percorso di analisi così avviato ha condotto dapprima ad un controllo delle prefazioni e degli apparati paratestuali ad esse collegati (fondamentalmente, poco materiale – ma cruciale – dell’immensa mole dell’attività giornalistica militante di Darien). Poi, ad un’analisi delle forme di riflessività della narrazione, di cui il Voleur rappresenta alcuni svolgimenti emblematici. E quindi ad una ricognizione sui livelli intertestuali della narrazione di secondo grado, ancora una volta attraverso il reperimento degli esempi più significativi. Questa trattazione, svolta con il supporto teorico della narratologia, ha rivelato sin dai suoi prodromi il ruolo fondante dell’ironia su gran parte dei livelli dell’opera di Darien. Le aggressioni contro le forme di racconto ereditate dal passato immediatamente vicino avvengono spesso attraverso l’espressione di doppi sensi, plaisanteries, burle in cui l’oggetto del dissenso può non risultare chiaro. Criticando le fasi della propria scrittura, le voci narranti inserite nei testi nella forma dichiarata di autori delle proprie memorie (o del racconto della propria vita in via di svolgimento), lanciano accuse di banalità in molte direzioni; la polisemia così innescata, produce una densa rete di figure dell’invenzione nella quale le strutture narratologiche ed enunciative entrano in stretta contiguità con le articolazioni dell’immaginario. Nel periodare ironico di Darien, l’organizzazione dei significati può essere tematizzata, come in alcuni casi anche la sostanza dell’espressione (osserveremo, entrando nella seconda parte della nostra indagine, la caricatura di un riluttante, sarcastico borghese il cui volto è trasfigurato nell’immagine di una tabella di ortografia). L’immaginario raffigura lo strato retorico della narrazione. L’ironia è raffigurata nella fisicità dei personaggi, oltre che nel loro ritratto morale, ed è osservata come modello di pensiero che ha conseguenze negli schemi di prevaricazione sociale. Entro i confini di questi piani, il discorso narrativo è continuamente riferito alle pressioni sociali che sottendono le forme private, personali di dominio sull’altro. I detentori di potere e di denaro sono rappresentati come idoli malevoli, la cui vanità di azione e di scopi è condizionante per la vita di chi subisce le loro spinte invasive. Il loro metodo di azione è il determinismo che vincola l’individuo alle condizioni delle sue origini sociali, e non può non coincidere con gli stessi principi rappresentati dai romanzieri naturalisti (ai quali Darien rimprovera la rappresentazione disimpegnata – proprio all’interno delle pieghe del racconto – della realtà che condiziona l’individuo). La pratica dei ritratti dei borghesi (paradossale per la sua stessa realizzazione rispetto alla riluttanza contro la descrizione) diventa allora uno dei metodi più efficaci per volgere l’effetto nefasto del loro agire contro essi stessi, oltre che svolgere un ruolo di inversione parodistica dei metodi scientifici di riferimento del naturalismo. L’analisi dei meccanismi retorici, persuasivi, politici dell’ironia, conduce allora i protagonisti delle narrazioni di Darien all’appropriazione dello stesso mezzo di mantenimento deterministico dell’ordine costituito (appropriazione che evoca l’immaginario incendiario della propaganda di fatto di fine secolo) e l’utilizzo di questo ritrovato contro i sitemi stessi che se ne servono. All’oppressione si risponde con metodi analoghi. E sono proprio le strutture dell’immaginario il livello in cui è possibile scoprire le articolazioni di tali possibilità della lotta. La seconda parte del nostro percorso di lettura costituisce, dunque, il tentativo di dipanare il tragitto della parola romanzesca di Darien fra le connessioni della retorica e dell’immaginario. Si tratterà in alcuni casi di commentare la guerra aperta di questo corpus nei confronti delle solidificazioni dei luoghi comuni, delle idées réçues socialmente imposte, politicamente condivise, di principi reazionari che, nella normalità (in una grottesca normalità) della democrazia nota a Darien, causano il soffocamento sistematico delle pressioni sociali e individualistiche. PRESENTAZIONE DEL TUTOR (Daria Galateria) - La caduta del narratore “dai cieli dell’onniscenza” e le altre forme di denigrazione e parodia dell’istanza narrativa sono al centro della rilettura di Rosario Antoci del corpus narrativo di Georges Darien. Antoci rileva nella sua sottolineatura critica di questo corpus la messa in discussione dello statuto del romanzo in quanto genere e anche del romanzo in via di svolgimento, i vari livelli intertestuali, esterni e interni, narrazioni di secondo grado, e diverse forme di riflessività - da elementi di autofiction fino all’autocitazione. Se è innegabile nella narrativa di Darien il peso della “progettazione della libertà individuale su cui si stratificano ansie di liberazione collettiva” e la teorizzazione, da Gréau in poi, del confronto tra “romanzo socialista” e “romanzo anarchico” – e la critica finora vi si è soffermata in modo prevalente e quasi esclusivo - , è un fatto che la denuncia della miseria politica e sociale in Darien va di pari passo con la denuncia dei metodi di narrazione che rendono inautentica l’osservazione del reale. Antoci inizia, con il supporto della narratologia, a centrare la sua analisi su varie tecniche di denigrazione e rovesciamento del romanzo naturalista messe in atto da Darien. L’attacco alla descrizione è l’elemento che consente a Antoci una prima e molto persuasiva valutazione di quelle tecniche. Se ne dà un esempio per mostrare l’impatto critico di questa lettura ravvicinata. In Biribi il narratore Jean Froissard, giovane recluta dell’esercito condannata ai lavori forzati in Tunisia racconta una città magrebina: “Le Kef, ville principale de la Tunisie. Population: - Commerce: - Industrie: - Je laisse des blancs, tout en donnant aux Cortamberts, qui ne sont jamais embarrasseés, la permission de combler ces lacunes à leur fantaisie”. Che il lettore si attrezzi di guide turistiche Cortambert per ricostituire se vuole i dati descrittivi del romanzo naturalista. Nei Pharisiens la descrizione è sotto attacco nei discorsi stessi dei protagonisti (“la description…Ce sont des gens qui ne voient point, voilà tout”). Però per l’appunto in Darien questi proclami antidescrittivi sono seguiti dalla pratica screditata: seguono infatti delle vere e proprie descrizioni – la contraddizione è un fatto distintivo e primario della narrativa di Darien, e serve a mantenere la scrittura come fatto deviante per eccellenza. L’elemento metaletterario, indagato da Antoci negli articoli giornalistici di taglio letterario e artistico come nel peritesto e nel testo medesimo, è così importante da provocare un cortocircuito della definizione della differenza tra i due ambiti, testuale e paratestuale. Il discorso letterario, introdotto all’interno dell’ambito prettamente finzionale, assume una densità di senso superiore – si sottolinea, nella pratica definita da Genette auctoriale dénégative, la finzione del furto del manoscritto nel Voleur, nuovo esempio di valorizzazione dell’immorale e della devianza. L’onomastica è oggetto di analisi nello stesso senso: la presenza di rien nell’anagramma del vero nome di Darien, o i nomi angrammi dell’anagramma originario (Randal) che tingono di autofiction le storie – Antoci accosta elementi biografici ai testi, ove occorra: nell’Epaulette il protagonista intende scrivere un libro sulla povertà nel momento in cui lo scrittore lavora sull’economista americano Henry George sulle condizioni di povertà sociale provocate dal sistema capitalista – e di questo lavoro Antoci dà conto con approfondimenti anche bibliografici. Il primo capitolo esaurisce dunque le forme di narrazione di secondo grado che attaccano la forma romanzo, pratica motivata anche attraverso i riferimenti e i confronti con Zola e i romanzi d’appendice, e l’uso di personaggi di Jules Mary o di Ponson du Terrail o l’esempio del Barry Lindon di Thackerey. Il laboratorio di scrittura di Darien, al di là delle ricerche, utilmente analizzate, di Auriant, Redfern e Gréau, rilancia una pratica di effrazione dello statuto del romanzo primaria rispetto all’impegno, indagato da Antoci nel secondo capitolo nella forma dell’”immaginario antagonista”. Qui il modello di Vallès risulta in realtà superato da una riflessione critica “metapolitica” che genera riflessi degradati sulle stesse articolazioni ideologiche dell’ambiente insurrezionalista in cui Darien agisce in alcune parti della sua vita. L’irregolarità diventa inclassificabilità; anche se nell’analisi dei capitoli XI e XII del Voleur dedicati agli ambienti del “socialismo scientifico (comunismo) e l’anarchismo, sono gli anarchici a presentare maggiore densità finzionale, Antoci mostra in modo persuasivo Darien nell’atto di compiere un’autentica autoanalisi della rivoluzione, autocritica ideologica che a livello narrativo si traduce in passaggio dall’adesione politica alle appropriazioni degli anarchici alla pratica, ideologicamente derisoria, del furto individuale e privo di motivazioni forti. Rispetto quindi all’immagine unidimensionale di Darien come scrittore polemista ereditata dalla critica questa rilettura di Antoci mostra elementi di grande rilevanza e innovazione. La frequenza attenta e partecipata, per tre anni, alle attività didattiche del Collegio dottorale hanno sicuramente contribuito a fornire a Antoci gli strumenti critici per questa analisi che resta comunque basilare per una visione che fonda su elementi formali un ripensamento dell’anarchismo problematico di Darien.