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Lo zafferano è una pianta bulbo-tuberosa conosciuta da millenni in Asia e nell’area mediterranea per le numerose virtù dei suoi pistilli. Le prime testimonianze certe risalgono agli egizi. Nella letteratura antica e classica sono frequenti i riferimenti allo zafferano grazie alla varietà degli usi cui era destinato (cosmesi, farmacopea, colorazione e cucina, ecc.). La zona di provenienza della spezia è stata individuata nell’Asia sud-occidentale, nel Mediterraneo venne commerciato e diffuso inizialmente dai mercanti egizi, fenici e cretesi, poi più tardi dagli arabi che lo introdussero nella Penisola Iberica, nell’Africa settentrionale e in Sicilia. Da qui si diffuse in varie regioni italiane particolarmente Sardegna, Calabria, Umbria, Toscana e Abruzzo, dando vita a floridi commerci. Lo zafferano italiano più famoso proveniva e proviene ancora oggi dall’Abruzzo: da Sulmona, da Mugliano e dall’Altopiano di Navelli. Tra tutti quest’ultimo è il migliore e il più prezioso. La tradizione vuole che il croco sia stato portato a Navelli da un frate domenicano (Santucci ) tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500, ma le fonti storiche ne attestano la presenza e il rilievo economico già dal ‘300. Lo zafferano di Navelli cresce in un territorio atipico e quasi limite. Fino alla metà del XX secolo le famiglie contadine di Navelli coltivavano a zafferano le povere terre prese in affitto dai proprietari, o andavano a giornata, per riuscire a pagare i debiti contratti durante l’anno e provvedere ai piccoli acquisti, alla dote delle ragazze ed ai gioielli delle donne. Quando dopo la grande guerra si aprì la dolorosa parentesi dell’emigrazione e dell’esodo dalle campagne, allo spopolamento dei centri storici e montani fecero seguito vistose modificazioni del paesaggio agrario. Le forme di agricoltura sopravvissute fino ad oggi sono quelle che hanno potuto avvalersi dell’aiuto dei mezzi meccanici. Le tecniche di coltivazione ed i modelli culturali legati allo zafferano sono rimasti invariati da sempre a perpetuare modelli di lavoro a bassa redditività. Negli ultimi trent’anni la comunità locale ha però saputo trarre dal suo patrimonio storico un nuovo imput positivo; è riuscita, innovando la tradizione e coniugando i vecchi saperi e le tecniche secolari con la nuova imprenditorialità, a rilanciare il prodotto che dal tempo degli Svevi aveva fatto la fortuna del territorio.

Edizione dei documenti relativi alla costruzione dei castelli di Federico II e di Carlo I d'Angiò in Abruzzo, Campania, Calabria e Sicilia. Si tratta in gran parte di document inediti provenienti dai Registri angioni conservati fino alla loro distruzione nel 1943 nell'Archivio di Stato di Napoli e tramandati attraverso il Lascito scientifico di Eduard Sthamer

The essay presents the results of a research about the financial system of an area of intens emigration, the Abruzzo region in Central Italy, between 19th and 20th centuries.

L'Imago Adriae. L'Adriatico e l'Abruzzo nelle antiche carte geografiche. è una mostra che racconta la storia del Mare Adriatico e della regione abruzzese attraverso preziosi documenti cartografici in un arco temporale che si sviluppa dal XV secolo con le raffigurazioni tolemaiche fino alle più precise carte del XIX secolo. Ne risulta una cronologia delle coste e dei territori interni su entrambi le sponde di quel mare che per secoli fu chimato Golfo di Venezia ma che oggi rappresenta un ponte tra due culture nel più ampio teatro europeo.

Mettendo a frutto una ricca ed inedita documentazione archivistica di prima età moderna, nel contributo viene ricostruita la facies romanica dell’abbaziale di San Giovanni in Venere, con San Clemente a Casauria il più importante insediamento benedettino in Abruzzo, e al contempo precocissimo esempio di penetrazione al Sud di modelli architettonici borgognoni. Tra gli apporti più significativi va segnalato l’accertamento della presenza di un sistema voltato e costolonato nel corpo longitudinale tripartito, in anticipo su analoghe esperienze laziali di ambito borgognone (abbaziale di Fossanova). Suscettibile di interessanti sviluppi è anche l’ipotizzato collegamento dell’apparato decorativo esterno delle absidi con perduti archetipi cassinesi di età desideriana, ricondotti da fonti letterarie tardive all’operosità di architetti “amalfitani” .

Il saggio che si propone di contribuire alla storia delle relazioni tra scrittura e alfabetismo in Abruzzo nel secolo X, deriva da una sezione (pp. CXLI-CLXX) della “Introduzione storica, paleografica e archivistica” al volume pubblicato dall’autore nel 2003. L’immediato contesto geo-monastico è quello di S. Liberatore alla Maiella, la più grande delle dipendenze di Montecassino in Abruzzo, e una delle prepositure più notevoli tra le circa sessanta che appartennero al monastero cassinese nell’Italia centro-meridionale. L’obiettivo più generale è quello di far conoscere l’intero fondo archivistico di S. Liberatore, sia quello di età medievale con il citato volume, sia quello di età moderna con il successivo, apparso nel 2006. Questa specifica serie dell’Archivio cassinese, gravitante intorno a S. Liberatore ma relativa anche ad altri centri monastici minori di area abruzzese, e che occupa oggi le capsule da XCIX a CIV, racchiude complessivamente 801 documenti. Tra questi se ne annoverano alcuni particolarmente noti agli studiosi – specialmente dopo i lavori di Enrico Carusi (1929, 1932) e Herbert Bloch (1986) –, come il “Memoratorium” dell’abate Bertario († 883) e il “Commemoratorium” – inventario testamentario – del preposito maiellese, poi abate di Montecassino Teobaldo († 1035/1037). Alcuni hanno riservato interessanti scoperte, come l’attuale caps. XCIX, fasc. I, n. 4, una carta del luglio 936, che racchiude la più antica sottoscrizione autografa (“Ego qui supra Arechisi iudex”) di Arechi, giudice della città di Capua, lo stesso che sottoscrisse il celeberrimo placito del 960, prima testimonianza ufficiale di volgare italiano. Altri costituiscono un nucleo di documenti omogenei (nn. 7, 8, 9, 10, 12, 13) la cui edizione integrale ha offerto finalmente in modo completo la più antica collezione di contratti agrari di Montecassino (dal 950 al 984), specialmente sotto forma di livelli (generalmente ventinovennali), i più diffusi per la conduzione di terre in ambito cassinese, aventi carattere di locazione con il corrispettivo di un canone proporzionato al terreno. Su questo ordito storico e documentario si intesse il profilo paleografico illustrato dal presente saggio, circa il significato che le più antiche carte (sec. X) di S. Liberatore rivestono per la storia del rapporto tra scrittura e alfabetismo in Abruzzo, grazie alle sottoscrizioni autografe di coloro che prendono parte all’atto soprattutto come testimoni, ma anche in certi casi come autori dell’atto stesso. L’esame di 33 documenti editi – escluso il n. 1, non genuino –, datati tra il 935 e il 1000, ha fatto emergere un totale di 104 sottoscrizioni autografe in originale, e 7 in copia. Notevole è il numero di sottoscrittori laici (69) rispetto agli ecclesiastici (18). Gli scriventi laici fanno uso in grandissima parte della minuscola: elementare di base (15), tra l’elementare di base e l’usuale (23), usuale (25), e solo in rari casi della beneventana usuale (6). Prevalente invece tra gli ecclesiastici (tutti di area cassinese o della Longobardia meridionale) la beneventana: usuale (10) o libraria (2); i restanti ecclesiastici, censiti in area abruzzese, sottoscrivono in minuscola: tra l’elementare di base e l’usuale (1), e usuale (3). Dall’analisi paleografica delle carte analizzate scaturiscono le seguenti conclusioni: sono presenti due distinti ambiti culturali, l’uno riflesso della Longobardia meridionale, l’altro di derivazione locale in cui si fa uso di una minuscola che rinvia ad una educazione grafica di base se non rudimentale. È da registrare quindi l’esistenza di una fascia di soggetti ai quali è consueta la pratica della scrittura di cui riconosce anche il valore simbolico, ad esempio nel caso di personalizzazione del “signum crucis”; d’altra parte, l’uso della beneventana, tipica del territorio al quale apparteneva Montecassino, appare riservato a una minoranza di provenienza ecclesiastica., Reti Medievali Rivista, Vol 6, N° 1 (2005)

Medieval archaeological findings made of pietra ollare (basic and ultrabasic metamorphic rocks belonging to the greenschist facies) and coming from central-eastern Italy have been characterized through a petrological study (modal mineralogy, whole-rock geochemistry, XRD and SEM-EDS analyses). The pietra ollare artefacts considered in this work consist of fine-grained, grey to pale-grey, magnesite-bearing talc-schists (i.e., soapstones). In order to determine their production centres, Alpine soapstones quarried in ancient times were selected on the basis of their mineralogical and textural compatibility with the archaeological findings. The mineralogy and chemistry (major and trace elements) contributed to establishing the ancient quarries of the Valchiavenna (central Alps) as the probable provenance area. This archaeometric investigation proves that Alpine artefacts made of pietra ollare spread to the south of the Po Plain during the Middle Ages. It can be inferred that the Alpine soapstone trade towards the Marche and Abruzzo regions was addressed through the main waterways: Lake Como, the Adda and Po Rivers and finally the Adriatic Sea.

Viene riconosciuta la presenza a Sulmona di Walter Munich, attivo anche nel duomo di Milano, identificandolo con il Gualtieri d'Alemagna che firma la tomba Caldora nella Badia Morronese. A Giovanni Tedesco, uno scultore ampiamente attivo con la sua bottega in tutta Italia, viene restituito un crocifisso ligneo in Santa Maria del Soccorso all'Aquila.

The Sangro Valley, the economy of which was characterised mostly by the agricultural sector until the beginning of the 1970s, experienced an industrial development from the end of that decade. It was, an “exogenous development”, with a relevant presence of external enterprises within which the level of internationalisation was very high. Industrial development and the process of productive internationalisation were followed by an intense internal migratory flow and a less intense international migratory flow. The international migratory flow can be divided into two main components: (i) a large group of unskilled manpower, composed of unspecialised manual workers, usually young; (ii) a small group of highly-skilled international employees, managers and engineers.The aim of this study is to investigate the phenomenon of international migratory flows, to underline a positive correlation between the mobility of financial capital and the mobility of human capital. La Vallée du Sangro, qui était caractérisée par une économie fondée, en prévalence, sur l’agriculture jusqu’au début des années 1970, a connu un développement industriel à partir de la fin de la décennie. Il s’agissait d’un développement exogène, caractérisé par une présence importante d’entreprises extérieures qui présentaient un très haut niveau d’internationalisation. Le développement industriel et le processus d’internationalisation de la production furent suivis par un très intense flux migratoire intérieur et par un moins intense flux migratoire international. Le flux migratoire international peut être réparti en deux éléments principaux: (i) une nombreuse main-d’oeuvre non spécialisée, composée par des ouvriers jeunes ; (ii) un petit groupe d’employés internationaux très spécialisés, composé de cadre-supérieurs et d’ingénieurs. L’objet de cette étude est l’investigation du phénomène des flux migratoires internationaux, dans le but de mettre en évidence une corrélation positive entre la mobilité des capitaux financiers et la mobilité des capitaux humains.

L’Archivio storico del Comune di Penne (PE) è stato nell’ultimo decennio recuperato, ordinato e inventariato dopo un lungo periodo di abbandono e incuria. Si è passati alla fase di digitalizzazione del nucleo pergamenaceo e della documentazione cartacea più antica con il sostegno di enti pubblici e sponsor privati. Penne è stata città regia nel medioevo e essa stessa domina di castelli e feudi, poi feudo dei Farnese di Parma in età moderna.

Il lavoro, inserito nell’attuale dibattito storiografico sulle ‘città’ meridionali, è incentrato sull’analisi storico-diplomatistica di un nucleo di documenti “prodotti” – questa è la novità – e non ricevuti dalle universitates di Penne e di Sulmona. Si ricostruiscono i modi e le forme della documentazione con alcune caratteristiche proprie del documento cancelleresco d’età medievale. Segue l’edizione critica di 12 docc. con ill.

Si tratta della ricostruzione storico-geografica dei lineamenti paesistici della provincia di Pescara, analizzati sotto il profilo della geografia delle sedi e della geografia agraria, e tematizzati all'interno del quadro problematico della geografia del Mediterraneo.

Nel contributo l'autore ridiscute il problema storiografico della presenza delle maestranze lombarde in Abruzzo, indotto da un celebre referto cronachistico (Leone Ostiense) relativo all'abbaziale di Montecassino. Sulla scorta di un'attenta riconsiderazione dell'architettura regionale lo studioso sfuma la tradizionale convinzione di una forte penetrazione dei modelli lombardi in Abruzzo, suggerendo al contempo un'inedita giustificazione della costruzione letteraria.

Il volume recensito è un'attenta ricognizione delle testimonianze epigrafiche nel territorio abruzzese e molisano.

Ricostruzione delle vicende che hanno portato al ritrovamento a Ancona di 6 pergg. sottratte dall’Archivio capitolare di Penne (PE).

Nel capitolo l'autore ricostruisce le fasi architettoniche dell'importante abbazia abruzzese, avamposto della diffusione del gotico nella regione.

La scheda analizza una pittura frammentaria abruzzese