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Gli Autori riportano la loro esperienza diagnostica relativa a 102 pazienti consecutivi affetti da nodulo polmonare solitario, osservati nel periodo 1982-1988. Le metodiche bioptiche (FOB e TTNAB), hanno permesso la tipizzazione di 81 noduli maligni, rispettivamente 47 con la FOB e 34 con la TTNAB. Dei restanti 21 pazienti, 15 sono stati sottoposti a DT, osservando 4 carcinomi primitivi, 6 sono stati selezionati per il follow-up, che ha evidenziato un nodulo maligno. Dall’analisi dei risultati osservati gli Autori concludono che l’atteggiamento diagnostico al nodulo polmonare solitario è legato alle metodiche bioptiche, di cui la FOB rappresenta la procedura di prima scelta e la TTNAB risulta complementare alla prima.

Gli AA. riportano un caso di leiomiosarcoma del tenue, complicato da un’inconsueta ed infrequente complicanza perforativa, sottolineando come il principale fattore prognostico di tali neoplasie è determinato dal grading istologico. Sebbene la letteratura si è accresciuta negli ultimi anni di una casistica abbastanza consistente di leiomiosarcomi dell’intestino tenue, riportiamo, in questa breve nota, un ulteriore contributo clinico legato all’osservazione di un caso, con una inconsueta ed infrequente complicanza perforativa, con lo scopo di sottolineare gli aspetti prognostici di tali neoplasie.

Gli Autori, traendo spunto dalla osservazione di tre casi di emopneumotorace spontaneo, analizzano l’aspetto etiopatogenetico di tale patologia puntualizzando, inoltre, la problematica terapeutica. L’emopneumotorace spontaneo primitivo o idiopatico è un’evenienza clinica di raro riscontro, soprattutto se rapportata a quella del pneumotorace spontaneo semplice (Meyer, 1954; Shefts, 1954; Puygrenier, 1959; Thomeret, 1959; Sartori ed al., 1968). La causa più comune dell’emotorace, che usualmente segue l’instaurarsi del pneumotorace spontaneo, è quasi sempre riferibile alla rottura di un vaso di un certo calibro, che origina, prevalentemente, dal circolo sistemico. Il drenaggio pleurico continuo rappresenta il trattamento di prima scelta nei casi di emotorace di lieve entità, mentre la toracotomia d’urgenza, quanto più precoce possibile, è riservata ai casi di emotorace massivo o recidivante. La mortalità, una volta proibitiva (25% di Borrie, 1953) è passata da 10-12% (Beltrami ed Intonti, 1967) allo zero per cento dei singoli casi riportati nella letteratura più recente (Stella e Redler, 1971; Contessini ed al,, 1986). Riportiamo la nostra esperienza di tre pazienti affetti da tale patologia, estrapolati da una casistica di 28 pneumotoraci osservati negli ultimi tre anni

Gli Autori riportano il caso di un uomo di 60 anni, in cui il bronco principale di sinistra era ostruito da un papilloma solitario e da un condroma. Sottolineando l’eccezionalità del reperto, puntualizzano la problematica diagnostica dell’ostruzione bronchiale di natura benigna e gli aspetti terapeutici che tale patologia pone. Se il carcinoma broncogeno rappresenta la causa più frequente di ostruzione bronchiale, nel 4-10% dei casi la natura delle lesioni endoluminali è benigna (Adler, 1958; Miller, 1969). A tale proposito l’osservazione di un paziente, in cui il bronco principale di sinistra era occluso da un papilloma unico e da un condroma, ci ha indotti a riferirne con lo scopo di segnalare l’eccezionalità del riscontro e sottolineare le problematiche diagnostiche e terapeutiche.

I1 cancro dell’esofago rappresenta una delle neoplasie più temibili in quanto, nonostante la sua lenta evoluzione, provoca un grave stato di denutrizione per la disfagia che sempre, in misura più o meno rilevante, affligge i pazienti al momento della diagnosi. Per tale motivo, quando non è possibile l’exeresi radicale della neoplasia, il compito del chirurgo è quello di provvedere alla ricanalizzazione del viscere. In quest’ambito ha trovato collocazione il trattamento endoscopico che, pur essendo palliativo, consente con varie metodiche di sollevare il paziente dalla sintomatologia disfagica. Il trattamento endoscopico per la ricanalizzazione di una stenosi esofagea maligna si avvale di molteplici tecniche, come la dilatazione strumentale, la disostruzione con tecniche che provocano necrosi tumorale (infiltrazione di etanolo assoluto, diatermocoagulazione mono-bipolare, laser), il posizionamento di una protesi. In questo lavoro gli AA. riportano l’esperienza dell’Istituto di Chirurgia Toracica e Cardiovascolare dell’Università di Messina sulla ricanalizzazione dell’esofago con protesi di Atkinson, sottolineando le indicazioni, i vantaggi ed i limiti di una metodica che garantisce un ottimo risultato sotto il profilo strettamente nutrizionale.

Gli Autori riportano la loro esperienza sul trattamento delle varici esofagee in fase di sanguinamento. Sono stati analizzati i risultati relativi a 107 pazienti per i quali è stato adottato un protocollo terapeutico che ha previsto la rianimazione cardiocircolatoria, l’emostasi farmacologica con Somatostatina e.v. e meccanica con sonda di Sengastaken, la sclerosi endoscopica. Tra i 38 pazienti sottoposti a scleroterapia, un definitivo arresto dell’emorragia è stato ottenuto in 33 (86.8%), con una mortalità del 5.2% (2/38) ed un basso tasso di complicanze minori. Nel gruppo di controllo l’arresto del sanguinamento è stato ottenuto nel 67,5% dei pazienti (25/37), ma la percentuale di recidive emorragiche precoci è stata significativamente maggiore rispetto al gruppo di studio (59% vs 9%). L’intervento chirurgico di deconnessione azygos-portale è stato gravato di una mortaliltà del 33,3% (1/3). Sulla base dei risultati gli Autori concludono che la sclerosi endoscopica rappresenta il trattamento di scelta nei pazienti con varici esofagee sanguinanti per la sua elevata efficacia, tollerabilità, semplicità d’esecuzione, sicurezza e basso costo.

Il metodo Rigiflex TTS rappresenta, in ordine di tempo, l’ultimo metodo di dilatazione strumentale dell’esofago e si pone come la più valida alternativa alle tecniche filoguidate. Infatti, il Rigiflex TTS consiste in un dilatatore a palloncino costituito da un materiale assolutamente anelastico che permette che vengano raggiunte elevate pressioni interne senza che si modifichi il diametro esterno del palloncino che viene introdotto, attraverso il canale operativo di un endoscopio, sotto visione diretta nella stenosi. Dal punto di vista tecnico la dilatazione con il Rigiflex offre alcuni vantaggi rispetto alle tecniche filoguidate: a) consente di eseguire la dilatazione sotto visione diretta e di controllarne le varie fasi, dal posizionamento all’estrazione; b) consente di esercitare una dilatazione di tipo “radiale”, meno pericolosa per il rischio di rotture del viscere rispetto a quella “longitudinale” delle tecniche filoguidate; c) consente di sostituire i palloncini di calibro diverso senza dover rimuovere l’endoscopio, evitando il continuo trauma cui sono sottoposti i pazienti con le altre tecniche; ciò si traduce in una maggiore tollerabilità che rende più applicabile il metodo, anche se ripetuto per numerose sessioni. Gli AA. riportano l’esperienza dell’Istituto di Chirurgia Toracica e Cardiovascolare dell’Università di Messina con tale nuova metodica, sottolineando come i fattori che abbiamo prima elencato abbiano condotto ad una maggiore efficacia, all’assoluta assenza di complicanze e, fattore molto importante, ad una elevata tollerabilità alla dilatazione, paragonabile a quella di un esame endoscopico routinario.

Gli AA. riportano un caso di cisti ovarica gigante, responsabile di occlusione intestinale, puntualizzando la condotta terapeutica da adottare in presenza di tale patologia. L’osservazione di cisti ovariche giganti, già abbastanza infrequente nel passato, rappresenta un evento ancor più raro per il raggiungimento di elevati standards di prevenzione primaria dei tumori della sfera genitale femminile. Di natura prevalentemente benigna (Bezjian e O’Leary, 1971), tali lesioni possono raggiungere dimensioni cospicue (Symmonds ed al., 1963), dando luogo a sintomatologia compressiva (compromissione della motilità diaframmatica e del ritorno venoso, turbe della canalizzazione intestinale) che impone il trattamento chirurgico, anche, d’urgenza. Il recente riscontro di un caso di cisti ovarica gigante, responsabile di sintomatologia occlusiva intestinale, ci ha indotti a riferirne con lo scopo di puntualizzare l’approccio terapeutico a questa patologia.

Gli Autori riportano la loro esperienza sul trattamento delle varici esofagee in fase di sanguinamento. Sono stati analizzati i risultati relativi a 107 pazienti per i quali è stato adottato un protocollo terapeutico che ha previsto la rianimazione cardiocircolatoria, l’emostasi farmacologica con Somatostatina e.v. e meccanica con sonda di Sengastaken, la sclerosi endoscopica. Tra i 38 pazienti sottoposti a scleroterapia, un definitivo arresto dell’emorragia è stato ottenuto in 33 (86.8%), con una mortalità del 5.2% (2/38) ed un basso tasso di complicanze minori. Nel gruppo di controllo l’arresto del sanguinamento è stato ottenuto nel 67,5% dei pazienti (25/37), ma la percentuale di recidive emorragiche precoci è stata significativamente maggiore rispetto al gruppo di studio (59% vs 9%). L’intervento chirurgico di deconnessione azygos-portale è stato gravato di una mortaliltà del 33,3% (1/3). Sulla base dei risultati gli Autori concludono che la sclerosi endoscopica rappresenta il trattamento di scelta nei pazienti con varici esofagee sanguinanti per la sua elevata efficacia, tollerabilità, semplicità d’esecuzione, sicurezza e basso costo.

Il metodo Rigiflex TTS rappresenta, in ordine di tempo, l’ultimo metodo di dilatazione strumentale dell’esofago e si pone come la più valida alternativa alle tecniche filoguidate. Infatti, il Rigiflex TTS consiste in un dilatatore a palloncino costituito da un materiale assolutamente anelastico che permette che vengano raggiunte elevate pressioni interne senza che si modifichi il diametro esterno del palloncino che viene introdotto, attraverso il canale operativo di un endoscopio, sotto visione diretta nella stenosi. Dal punto di vista tecnico la dilatazione con il Rigiflex offre alcuni vantaggi rispetto alle tecniche filoguidate: a) consente di eseguire la dilatazione sotto visione diretta e di controllarne le varie fasi, dal posizionamento all’estrazione; b) consente di esercitare una dilatazione di tipo “radiale”, meno pericolosa per il rischio di rotture del viscere rispetto a quella “longitudinale” delle tecniche filoguidate; c) consente di sostituire i palloncini di calibro diverso senza dover rimuovere l’endoscopio, evitando il continuo trauma cui sono sottoposti i pazienti con le altre tecniche; ciò si traduce in una maggiore tollerabilità che rende più applicabile il metodo, anche se ripetuto per numerose sessioni. Gli AA. riportano l’esperienza dell’Istituto di Chirurgia Toracica e Cardiovascolare dell’Università di Messina con tale nuova metodica, sottolineando come i fattori che abbiamo prima elencato abbiano condotto ad una maggiore efficacia, all’assoluta assenza di complicanze e, fattore molto importante, ad una elevata tollerabilità alla dilatazione, paragonabile a quella di un esame endoscopico routinario.

I1 cancro dell’esofago rappresenta una delle neoplasie più temibili in quanto, nonostante la sua lenta evoluzione, provoca un grave stato di denutrizione per la disfagia che sempre, in misura più o meno rilevante, affligge i pazienti al momento della diagnosi. Per tale motivo, quando non è possibile l’exeresi radicale della neoplasia, il compito del chirurgo è quello di provvedere alla ricanalizzazione del viscere. In quest’ambito ha trovato collocazione il trattamento endoscopico che, pur essendo palliativo, consente con varie metodiche di sollevare il paziente dalla sintomatologia disfagica. Il trattamento endoscopico per la ricanalizzazione di una stenosi esofagea maligna si avvale di molteplici tecniche, come la dilatazione strumentale, la disostruzione con tecniche che provocano necrosi tumorale (infiltrazione di etanolo assoluto, diatermocoagulazione mono-bipolare, laser), il posizionamento di una protesi. In questo lavoro gli AA. riportano l’esperienza dell’Istituto di Chirurgia Toracica e Cardiovascolare dell’Università di Messina sulla ricanalizzazione dell’esofago con protesi di Atkinson, sottolineando le indicazioni, i vantaggi ed i limiti di una metodica che garantisce un ottimo risultato sotto il profilo strettamente nutrizionale.

Gli Autori riportano la loro esperienza diagnostica relativa a 102 pazienti consecutivi affetti da nodulo polmonare solitario, osservati nel periodo 1982-1988. Le metodiche bioptiche (FOB e TTNAB), hanno permesso la tipizzazione di 81 noduli maligni, rispettivamente 47 con la FOB e 34 con la TTNAB. Dei restanti 21 pazienti, 15 sono stati sottoposti a DT, osservando 4 carcinomi primitivi, 6 sono stati selezionati per il follow-up, che ha evidenziato un nodulo maligno. Dall’analisi dei risultati osservati gli Autori concludono che l’atteggiamento diagnostico al nodulo polmonare solitario è legato alle metodiche bioptiche, di cui la FOB rappresenta la procedura di prima scelta e la TTNAB risulta complementare alla prima.

Gli Autori riportano il caso di un uomo di 60 anni, in cui il bronco principale di sinistra era ostruito da un papilloma solitario e da un condroma. Sottolineando l’eccezionalità del reperto, puntualizzano la problematica diagnostica dell’ostruzione bronchiale di natura benigna e gli aspetti terapeutici che tale patologia pone. Se il carcinoma broncogeno rappresenta la causa più frequente di ostruzione bronchiale, nel 4-10% dei casi la natura delle lesioni endoluminali è benigna (Adler, 1958; Miller, 1969). A tale proposito l’osservazione di un paziente, in cui il bronco principale di sinistra era occluso da un papilloma unico e da un condroma, ci ha indotti a riferirne con lo scopo di segnalare l’eccezionalità del riscontro e sottolineare le problematiche diagnostiche e terapeutiche.

Gli AA. riportano un caso di leiomiosarcoma del tenue, complicato da un’inconsueta ed infrequente complicanza perforativa, sottolineando come il principale fattore prognostico di tali neoplasie è determinato dal grading istologico. Sebbene la letteratura si è accresciuta negli ultimi anni di una casistica abbastanza consistente di leiomiosarcomi dell’intestino tenue, riportiamo, in questa breve nota, un ulteriore contributo clinico legato all’osservazione di un caso, con una inconsueta ed infrequente complicanza perforativa, con lo scopo di sottolineare gli aspetti prognostici di tali neoplasie.

Gli AA. riportano un caso di cisti ovarica gigante, responsabile di occlusione intestinale, puntualizzando la condotta terapeutica da adottare in presenza di tale patologia. L’osservazione di cisti ovariche giganti, già abbastanza infrequente nel passato, rappresenta un evento ancor più raro per il raggiungimento di elevati standards di prevenzione primaria dei tumori della sfera genitale femminile. Di natura prevalentemente benigna (Bezjian e O’Leary, 1971), tali lesioni possono raggiungere dimensioni cospicue (Symmonds ed al., 1963), dando luogo a sintomatologia compressiva (compromissione della motilità diaframmatica e del ritorno venoso, turbe della canalizzazione intestinale) che impone il trattamento chirurgico, anche, d’urgenza. Il recente riscontro di un caso di cisti ovarica gigante, responsabile di sintomatologia occlusiva intestinale, ci ha indotti a riferirne con lo scopo di puntualizzare l’approccio terapeutico a questa patologia.

Gli Autori, traendo spunto dalla osservazione di tre casi di emopneumotorace spontaneo, analizzano l’aspetto etiopatogenetico di tale patologia puntualizzando, inoltre, la problematica terapeutica. L’emopneumotorace spontaneo primitivo o idiopatico è un’evenienza clinica di raro riscontro, soprattutto se rapportata a quella del pneumotorace spontaneo semplice (Meyer, 1954; Shefts, 1954; Puygrenier, 1959; Thomeret, 1959; Sartori ed al., 1968). La causa più comune dell’emotorace, che usualmente segue l’instaurarsi del pneumotorace spontaneo, è quasi sempre riferibile alla rottura di un vaso di un certo calibro, che origina, prevalentemente, dal circolo sistemico. Il drenaggio pleurico continuo rappresenta il trattamento di prima scelta nei casi di emotorace di lieve entità, mentre la toracotomia d’urgenza, quanto più precoce possibile, è riservata ai casi di emotorace massivo o recidivante. La mortalità, una volta proibitiva (25% di Borrie, 1953) è passata da 10-12% (Beltrami ed Intonti, 1967) allo zero per cento dei singoli casi riportati nella letteratura più recente (Stella e Redler, 1971; Contessini ed al,, 1986). Riportiamo la nostra esperienza di tre pazienti affetti da tale patologia, estrapolati da una casistica di 28 pneumotoraci osservati negli ultimi tre anni