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Clinicamente vivi ma privi di consapevolezza di sé (West, 2014), i pazienti in stato vegetativo sono bloccati nella loro transizione tra la vita e la morte, cioè in un hotspot liminale. Essendo paradossalmente sia vivi sia morti, né vivi né morti (Kaufman, 2005), questi pazienti sollevano dilemmi ontologici, etici e legali (Nettleton et al., 2014) e sfidano le tradizionali categorie di significato e i convenzionali sistemi di pratiche forniti dalla medicina, dalla legge e dal senso comune. In questo modo, caregiver, legislatori e il pubblico in generale faticano a comprendere e gestire questi pazienti; e.g., concettualizzarli come vivi o decidere rispetto al fine-vita (Kitzinger & Kitzinger, 2013). Attingendo dalla teoria delle rappresentazioni sociali (Moscovici 1961/1976, 2008) e al quadro teorico della liminalità (Stenner et al., 2017), questa tesi ha indagato come lo stato vegetativo sia compreso e gestito - cioè de-paradossificato - da diversi gruppi e in diversi contesti. In primo luogo, analizzando la stampa che ha divulgato l'argomento, lo Studio 1 ha indagato la rilevanza del tema nel tempo (1990-2019) e in diversi paesi (e.g., in India, in Italia e in Regno Unito). Inoltre, questo studio ha anche mappato e confrontato il modo in cui lo stato vegetativo è stato diversamente rappresentato in questi paesi e nella comunicazione di diversi giornali (e.g.,, destra, sinistra, tabloid/religiosi). In secondo luogo, analizzando i dibattiti parlamentari italiani (2009-2017), lo Studio 2 ha indagato come lo stato vegetativo sia stato strategicamente rappresentato dalle coalizioni di destra e di sinistra per legittimare o delegittimare diverse proposte di legge sul fine vita. In terzo luogo, analizzando i racconti di familiari e professionisti, lo Studio 3 ha indagato le loro rappresentazioni dello stato vegetativo e come queste siano state funzionali a significare le loro pratiche di assistenza e a legittimare i loro diversi posizionamenti all'interno della casa di cura. In questo modo, è stato possibile spiegare come lo stato vegetativo - in quanto hotspot liminale - sia stato de-paradossificato da diversi gruppi, raggiungendo scopi specifici e svolgendo varie funzioni in diversi contesti sociali. Ad esempio, i risultati hanno mostrato che le rappresentazioni dello stato vegetativo sono riuscite a ri-personificare contestualmente i pazienti e - di conseguenza - sia a definire la loro vita come degna di essere vissuta, sia a significare le pratiche di assistenza quotidiana ed i trattamenti terapeutici; e.g., l’idratazione e l’alimentazione. Al contrario, de-personificando il paziente, è stato possibile difendere le posizioni opposte. Persistently alive but unaware (West, 2014), vegetative state patients are enduringly stuck in their transition between life and death – i.e., in a liminal hotspot. Thus, being paradoxically both/neither alive and/nor dead (Kaufman, 2005), these patients raise ontological, ethical, and legal dilemmas (Nettleton et al., 2014) and defy familiar categories of meaning and practice provided by medicine, law, and common sense. In this way, caregivers, legislators, and the wider public struggle to understand and manage these patients; such as understanding them as alive or managing their end-of-life (Kitzinger & Kitzinger, 2013). Drawing on social representations (Moscovici 1961/1976, 2008) and the liminality framework (Stenner et al., 2017), this thesis investigated how the vegetative state has been made sense and dealt with – i.e., de-paradoxified – by different groups and within different contexts. First, by analysing the press disseminating the topic, Study 1 investigated the relevance of the topic over time (1990-2019) and across different public spheres (e.g., India, Italy, and the UK). Moreover, this study also mapped and compared how the vegetative state was differently framed across these public spheres and in the communication of different newspapers (e.g., right, left, tabloid/religious). Second, by analysing the Italian parliamentarian debates (2009-2017), Study 2 investigated how the vegetative state was strategically represented by the left and right-wing coalitions to legitimise or delegitimise different bills regulating end-of-life action. Third, by analysing the accounts of family relatives and professionals, Study 3 investigated how the vegetative state was differently represented to signify their care practices and to position themselves in the nursing home. In this way, it was possible to account for how the vegetative state – as a liminal hotspot – was de-paradoxified in a group-characteristic way, reaching specific purposes and performing various functions in different social contexts. For instance, some results showed that the representations of the vegetative state managed to contextually re-personify the patient and – in turn – define their life as worth living and signify everyday care and life support. Conversely, by de-personifying the patient, it was possible to defend the opposite positions.

L’appellation «(Te) moana nui a Hiva» est usitée de plus en plus largement, depuis une génération, à Tahiti, pour désigner, de manière extensive, l’océan Pacifique. Elle semble une adaptation tahitienne contemporaine d’une appellation maorie (Nouvelle-Zélande) plus ancienne, «(Te) moana nui a Kiwa». Après un retour vers les traditions polynésiennes, il sera procédé à une analyse du terme moana (océan) ainsi que de la nomenclature mā’ohi (autochtone) relative à la mer, à l’océan. Puis, on procèdera à un retour vers le terme Hiva, récurrent dans la toponymie et dans la culture ancienne des îles de la Polynésie de l’est, porteur de significations multiples. Notre ultime question aura trait à l’existence - ou non - d’une vision large, extensive, de l’océan, par les anciens Polynésiens de cette aire culturelle. For a generation, the name « (Te) moana nui a Hiva» has been used more and more widely, in Tahiti, to designate, in an extensive way, the Pacific Ocean. It seems to be a contemporary Tahitian adaptation of an older Maori - New Zealand - name, «(Te) moana nui a Kiwa». After an exploration of Polynesian traditions, an analysis of the term moana (ocean) and the mā’ohi (native Tahitian) nomenclature related to the sea, the ocean, will be made. Then, we will proceed to a return to the term Hiva, recurrent in the toponymy and in the ancient culture of the islands of Eastern Polynesia, bearing multiple meanings. The ultimate question that will be asked is related to the existence - or not - of a broad, extensive vision of the ocean, by the ancient Polynesians of this cultural area. A Tahiti, da una generazione, l’appellativo «(Te) moana nui a Hiva» viene sempre più spesso impiegato per indicare l’Oceano Pacifico in modo ampio. Esso sembra essere l’adattamento tahitiano contemporaneo di un nome Maori (Nuova Zelanda) più antico, «(Te) moana nui a Kiwa». Dopo aver esplorato alcune tradizioni polinesiane, l’articolo analizza il termine moana (oceano) e la classificazione mā’ohi (indigena tahitiana) del mare, dell’oceano. In seguito, sottolinea il termine Hiva, che ricorre nella toponomastica e nella cultura antica delle isole della Polinesia Orientale, carico di molteplici significati. Infine, l’ultima questione trattata riguarda l’esistenza - o meno - di una visione ampia ed estesa dell’oceano da parte degli antichi polinesiani di quest’area culturale.

Che cos’è davvero la cancel culture? Quali sono le origini di quest’espressione, ormai diffusissima, e quali le sue caratteristiche? Dove e come è nata, e cosa è successo quando è arrivata in Italia? Il volume prova a rispondere a queste domande, illustrando il modo in cui il tema della cancel culture è stato declinato nel dibattito pubblico italiano distinguendo tra pratiche, etichettamento e effetti politici. Attraverso un’analisi di post pubblicati sui social media dai principali quotidiani e attori politici italiani, il volume mostra che la cancel culture è un “epifenomeno”, che esiste nella misura in cui viene narrato, attorno al quale, però, si gioca una partita per il diritto di parola (e di censura). Sebbene, infatti, in Italia la cancel culture sia un prodotto prettamente giornalistico, la sua narrazione, intersecandosi con il preesistente dibattito attorno alla cosiddetta “ideologia gender”, ha determinato inedite alleanze politiche e inattesi effetti di realtà, tra cui l’affossamento del disegno di legge Zan.

Come si è visto nel precedente capitolo, la cancel culture è un fenomeno che nasce negli Stati Uniti come forma di etichettamento di una serie di pratiche di attivismo politico online, focalizzate sulle questioni delle disuguaglianze innanzitutto razziali, che hanno poi anche degli effetti nella vita offline. Non solo, la cancel culture sarebbe anche il contesto politico e culturale che permetterebbe a quelle pratiche di avere luogo e di diffondersi. La trasposizione del concetto di cancel cu...

Tutto svaniva nella nebbia. Il passato veniva cancellato, la cancellazione dimenticata, e la menzogna diventava verità.George Orwell, 1984 La censura non è più una necessità quando tutto il discorso pubblico prende la forma di una barzelletta.Postnam 1985, p. 167 Questo libro nasce dalla necessità – e anche dalla curiosità – di esplorare un fenomeno che stiamo vivendo anche nel nostro paese. Sono passati mesi da quando ci siamo chieste: “che cos’è davvero questa cancel culture?”. Come primo t...

Nel nostro paese, dunque, la cancel culture è un prodotto giornalistico: è, infatti, nel discorso mediatico che ha preso forma, o meglio, che ha assunto le diverse forme che abbiamo illustrato nel capitolo precedente. Come gli studiosi dei media hanno messo in evidenza, però, è proprio a partire dal discorso mediatico e dalle sue “logiche” che si definiscono, nella società contemporanea, forme e contenuti del discorso politico (Altheide 2004). È proprio così, infatti, che la cancel culture, d...

L’espressione “cancel culture” è entrata nel vocabolario italiano piuttosto recentemente ma, nonostante la sua (per ora) breve vita, ha già sollevato nel dibattito pubblico e politico un polverone che sembra non esaurirsi. Ma partiamo proprio dalla sua definizione: secondo l’Enciclopedia Treccani si tratta di un «atteggiamento di colpevolizzazione, di solito espresso tramite i social media, nei confronti di personaggi pubblici o aziende che avrebbero detto o fatto qualcosa di offensivo o poli...

Il presente lavoro di tesi ha un duplice scopo: da un lato indagare le rappresentazioni che gli studenti italiani hanno rispetto all’omosessualità e rispetto all’unione tra persone dello stesso sesso, dall’altro valutare l’efficacia di alcuni interventi di sensibilizzazione volti a migliorare le rappresentazioni degli adolescenti stessi. Il lavoro si compone di tre diversi studi e il campione coinvolto è di circa 1500 partecipanti, di età compresa tra i 14 e i 21 anni. Gli strumenti che abbiamo utilizzato sono l’Attitudes Toward Lesbian and Gay men (ATLG), la Modern Homonegativity Scale (MHS), l’ Attitudes Toward Same-Sex Marriage (ATSM) e la Couple Rating Scale (CRS). I risultati del primo e del secondo studio suggeriscono che gli studenti maschi mostrano una rappresentazione più negativa delle femmine rispetto all’omosessualità femminile e maschile. In più, i partecipanti con una rappresentazione più tradizionale del ruolo di genere maschile, con un’assenza di contatto diretto personale con persone omosessuali e coloro i quali affermano di avere un credo religioso, hanno rappresentazioni meno positive rispetto alle minoranze omosessuali e rispetto ai matrimoni tra persone dello stesso sesso. I risultati del terzo studio indicano, invece, che dopo tre diverse attività di sensibilizzazione, sia i maschi, sia le femmine hanno rappresentazioni più positive dell’omosessualità maschile. I partecipanti con atteggiamenti iniziali più negativi, invece, hanno migliorato la propria rappresentazione sia dell’omosessualità maschile, sia di quella femminile, sia quella relativa alle coppie dello stesso sesso. In accordo con Herek et al. (2015), possiamo spiegare i risultati che abbiamo ottenuto grazie a una cornice teorica che ci permette di capire come, sia l’eterosessismo, sia lo stigma sessuale siano ancora radicate all’interno delle principali istituzioni sociali, ma che le cose stiano cambiando al di fuori delle istituzioni stesse. Da un lato in Italia le coppie gay e lesbiche non hanno ancora gli stessi diritti civili di quelle eterosessuali, ma gli adolescenti di oggi sembrano avere rappresentazioni più positive rispetto al passato. Questo ci permette di ipotizzare che in un futuro le cose possano cambiare anche a livello sociale. L’auspicio è che possano essere messi in atto sempre più interventi di sensibilizzazione e che questi interventi possano modificare le rappresentazioni più negative, portando a una progressiva equiparazione dei diritti delle coppie omosessuali ed eterosessuali. This thesis has a double aim: on the one hand, it investigates the attitudes of Italian high school students toward gay men and lesbians and same-sex marriage; on the other hand, it assesses the efficacy of some outreach interventions aimed at improving adolescents’ attitudes toward homosexuality. The research consists of three different studies, and the sample involved is approximately 1500 participants, aged 14-21 years. The instruments used are the Italian version of the Attitudes Toward Lesbians and Gay Men (ATLG), the Modern Homonegativity Scale (MHS), the Attitudes Toward Same-Sex Marriage (ATSM), and the Couple Rating Scale (CRS). The first two studies suggest that male students show a more negative attitude than females toward lesbians and gay men. Furthermore, multivariate analyses reveal that respondents with more traditional male role attitudes and a lack of direct personal contact with gay people and those professing a religious faith have less positive attitudes toward homosexual minorities and same-sex marriage. The results of the third study indicate that after three different activities, both male and female participants have more positive attitudes toward gay men. On the other hand, participants with more negative initial attitudes improved their representations of male homosexuality, female homosexuality, and same-sex couples. According to Herek, we can explain our results through a theoretical framework that allows us to understand that heterosexism and sexual stigma are still embedded in social institutions but that things are changing in the social context. On the one hand, in Italy, gay and lesbian couples still do not have the same civil rights as heterosexual ones, but today’s adolescents seem to have more positive attitudes than in the past. So, we can hypothesize that things may also change at an institutional level in the future. The hope is that more and more awareness-raising interventions could change the most negative attitudes, leading to a progressive equalization of the rights of homosexual and heterosexual couples.

In che modo le guide turistiche permettono di interessarsi all’incontro tra i turisti francesi e la città di Algeri, gioiello del loro impero coloniale? Esse costituiscono una fonte importante per la storia culturale dell’Algeria coloniale. Ci informano sui motivi del viaggio, sulle pratiche turistiche e sul carico simbolico che pesa su questo giro. Le guide cristallizzano le percezioni di Algeri da parte della madrepatria oltre che le rappresentazioni eminentemente politiche: partecipano alla costruzione di un immaginario coloniale francese intorno alla città. Le guide forniscono un discorso coerente, una griglia di lettura della città per lo storico, e contribuiscono alla comprensione storica di un’esperienza vissuta da milioni di Francesi. To what extent touristic guides allow us to study the encounter between French tourists and Algiers, French colonial jewel? Guides are precious sources to contribute to the cultural history of French Algeria. Why and how did French tourists travel to Algiers? What did this travel mean and imply? Touristic guides crystallize the metropolitan perceptions on the city as well as French political representations. Guides also reflect a coherent discourse on the city, and allow historians to learn about an experience lived by millions of French people. Comment les guides touristiques permettent-ils de s’intéresser à la rencontre entre les touristes français et la ville d’Alger, joyau de leur empire colonial ? Ils constituent une source riche pour l’histoire culturelle de l’Algérie coloniale. Ils nous renseignent sur les motifs du voyage, les pratiques touristiques et sur la charge symbolique qui pèse sur ce périple. Les guides cristallisent les perceptions métropolitaines d’Alger, ainsi que des représentations éminemment politiques : ils participent à la construction d’un imaginaire national français autour de la ville. Les guides délivrent un discours cohérent, une grille de lecture de la ville pour l’historien, et contribuent à la compréhension historique d’une expérience vécue par des millions de Français.

L’être humain (ne disons pas l’homme) ne peut pas ne pas habiter en poète. Si on ne lui donne pas, comme offrande et don, une possibilité d’habiter poétiquement ou d’inventer une poésie, il la fabrique à sa manière. Habiter, pour commencer. Reprenant à l’hiver 2020 la rédaction en chef de Perspective, à la suite de Judith Delfiner dont nous saluons amicalement le travail décisif, nous nous trouvions, sur le seuil, marqués par l’expérience nouvelle et universelle des confinements. La mesure vi...

Il capitolo discute il ruolo delle narrazioni mediali nella costruzione sociale della migrazione, mostrando come esse concorrano non solo a plasmare l'opinione pubblica, le percezioni e le attitudini di cittadini e cittadine del Nord globale verso i processi migratori, ma possano essere annoverate tra i driver culturali della migrazione stessa. Passando in rassegna frame e metafore ricorrenti nella rappresentazione mediale della migrazione nell'ultimo decennio a livello europeo, il capitolo approda ad una disamina del racconto mediatico della migrazione nei media mainstream in Italia dal 2015 al 2020.