The exploitation of children employed in the narrow tunnels of the underground from which they extract the minerals used by big industry, has always been a bitter chapter in the debate on labor protection. The use of minors in jobs not suitable for their age and, in any case, in the absence of rules or in spite of laws that repress abuses, is still a drama lived in many countries, as can be seen every day from various investigations in the past few years . Special attention has been the subject of especially the use of children in the mines from which are extracted materials, such as coltan, widely used in high-tech. The scenario is often devastating, revealing the inhuman conditions in both high rate of industrialization countries, like China, it is in the poorest Third World countries like Congo. Starting from 1861, in the newly unified, the problem of child labor was not directly addressed, but it poses a corollary in the parliamentary debate that concentrated his efforts in 'unify the laws in force in the former pre-unification States on the subject of mines , quarries and peat bogs, configuring a valid owner regime for the entire country (usque domain to inferos or res nullius). The capitalist option, which ultimately prevailed, did not show, for obvious reasons, great enthusiasm towards the introduction of a labor discipline, setting limits and prohibitions in the employment relationship, it would limit the advantage for the company to avail itself of "human material" cheap (and these were especially child laborers). In 1876 the parliamentary inquiry conducted by deputies Franchetti and Sonnino, he raised the matter of the cd. carusi, just under 7-8 years of age used as laborers in the Sicilian sulfur mines. The country took note of urgency to regulate this matter, even under the pressure of trade union movements that were born in those years, but the journey was still long. Ten years later, the law Berti in 1886 established some important principles, such as the minimum age for access to employment or the hourly limit; However, the legislation was in fact not implemented and it was not until the new law, given by the Minister Carcano made in 1902 to see the first forms of protection for child workers. If this is the normative horizon within which unfolds the story of child labor discipline in Italy, it may seem surprising that already in 1845 in a remote mining village of Calabria, Pazzano, the iron mining activities, which fed the Regie workshops Mongiana, the largest iron and steel industry of the Italian peninsula before the unification of the country, the organization of work in the mine was fully translated into specific regulations, which set the minimum age of 14 years for access to work, limited to eight hours working day, excluded child laborers from hazardous or heavy activities considered. The Regulation for the iron mines of the Royal factories Mongiana, inspired by the military logic Bourbon who directed and coordinated the organization of the production cycle in the great state of flourishing industry made in the thirties of the '800, however, not imposed rules contrary to the character of the population, but was grafted into existing traditions, harmonizing with this culture in that territory: a strongly influenced by Byzantine spirituality of hermit monks culture, which for centuries roamed the "Sacred Valley", inculcating in far removed from the logic customs and mentality populations profit; a culture that helped the people to have early awareness of the importance of respecting the territory, using its resources in a balanced way, respecting the same, Certainly, this lifestyle difficult to reconcile with the capitalist model, the liberal bourgeois Italy was trying to accomplish, with whom, in fact, immediately entered into conflict. The closure of the plants, which in 1876 was sold at public auction together with the whole compendium of goods entering the production cycle of the company (forests, forests, mines), led the massive emigration and depopulation of the territory. The story of the Calabrian mines, in addition to returning the image of an industrious and hard-working land, to which he emigrated in search of work, you can discover unpublished pages of the history of child labor, which in advanced exploitation tips contrasted experiences and correct disciplined organization., Lo sfruttamento dei minori impiegati negli stretti cunicoli del sottosuolo da cui si estraggono i minerali utilizzati dalla grande industria, ha sempre rappresentato un capitolo amaro nel dibattito sulla tutela del lavoro. L’utilizzo di minori in mestieri non adatti alla loro età e, comunque, in assenza di regole o a dispetto delle leggi che reprimono gli abusi, è ancora oggi un dramma vissuto in molti Paesi, come emerge quotidianamente dalle numerose inchieste condotte anche negli ultimi anni. Speciale oggetto di attenzione è stato soprattutto l’impiego di minori nelle miniere da cui si estraggono materiali, come il coltan, largamente utilizzati nell’industria high tech. Lo scenario è spesso devastante, rivelando condizioni disumane, sia in Paesi ad alto tasso di industrializzazione, come la Cina, sia nei paesi più poveri del Terzo Mondo, come il Congo. A partire dal 1861, nell’Italia appena unificata, il problema del lavoro minorile non fu affrontato in maniera diretta, ma si pose quale corollario nel dibattito parlamentare che concentrò i suoi sforzi nell’ unificare le legislazioni vigenti negli ex Stati preunitari in tema di miniere, cave e torbiere, configurando un regime proprietario valido per tutto il Paese (dominio usque ad inferos o res nullius). L’opzione capitalistica, che infine prevalse, non manifestò, per evidenti ragioni, grande entusiasmo verso l’introduzione di una disciplina del lavoro che, fissando limiti e divieti nel rapporto di lavoro, avrebbe limitato il vantaggio per l’impresa di potersi avvalere di “materiale umano” a basso costo (e tali erano specialmente i lavoratori minorenni). Nel 1876 l’inchiesta parlamentare condotta dai deputati Franchetti e Sonnino, faceva emergere la vicenda dei cd. carusi, minori di appena 7-8 anni di età utilizzati come forza lavoro nelle miniere di zolfo siciliane. Il Paese prendeva atto dell’urgenza di disciplinare la materia, anche sotto la spinta dei movimenti sindacali che nascevano proprio in quegli anni, ma il percorso fu ancora lungo. Dieci anni più tardi, nel 1886 la legge Berti stabiliva alcuni principi importanti, come l’età minima per accedere al lavoro o il limite orario; tuttavia la normativa rimase di fatto non attuata e fu necessario attendere la nuova legge, proposta dal ministro Carcano nel 1902 per vedere realizzate le prime forme di tutela per i lavoratori minorenni. Se tale è l’orizzonte normativo entro il quale si snoda la vicenda della disciplina del lavoro minorile in Italia, può destare stupore che già nel 1845 in uno sperduto villaggio di minatori della Calabria, Pazzano, l’attività di estrazione del ferro, che alimentava la Regie officine di Mongiana, la più grande industria siderurgica della penisola italiana prima dell’unificazione del Paese, l’organizzazione del lavoro in miniera fossero state compiutamente tradotte in apposito regolamento, che stabiliva l’età minima di 14 anni per l’accesso al lavoro, limitava ad 8 ore la giornata lavorativa, escludeva i lavoratori minorenni dalle attività considerate pericolose o pesanti. Il Regolamento per le miniere di ferro dei Reali stabilimenti di Mongiana, ispirato dalla logica militare borbonica che dirigeva e coordinava l’organizzazione del ciclo produttivo nella grande industria statale de resa fiorente negli anni Trenta dell’ 800, non impose tuttavia regole contrarie all’indole della popolazione, ma si innestò nelle tradizioni esistenti, armonizzandosi con la cultura presente in quel territorio: una cultura fortemente influenzata dalla spiritualità bizantina dei monaci eremiti, che da secoli popolavano la “Valle Santa”, inculcando nelle popolazioni consuetudini e mentalità ben lontane dalla logica del profitto; una cultura che aiutò le popolazioni a prendere precocemente coscienza dell’importanza di rispettare il territorio , utilizzandone le risorse con equilibrio e nel rispetto dello stesso,procurandosi l’essenziale per vivere in una “dignitosa povertà”. Certamente, questo stile di vita mal si conciliava con il modello capitalistico, che l’Italia liberale e borghese stava cercando di realizzare, con il quale, di fatto, entrò immediatamente in conflitto. La chiusura degli stabilimenti, che nel 1876 furono venduti ad asta pubblica unitamente a tutto il compendio di beni che entravano nel circuito produttivo dell’azienda (foreste, boschi, miniere), determinò il massiccio fenomeno dell’emigrazione e lo spopolamento del territorio. La vicenda delle miniere calabresi, oltre a restituire l’immagine di una terra industriosa ed operosa, verso cui si emigrava in cerca di lavoro, consente di riscoprire pagine inedite della storia del lavoro minorile, che a punte di avanzato sfruttamento contrappone esperienze di corretta e disciplinata organizzazione.