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Ogni individuo possiede il diritto fondamentale di “appartenere” ad una determinata comunità politica. La scelta di appartenere a questa o a quella comunità deve essere rispettata dagli Stati ospitanti che saranno tenuti ad integrare tutti gli individui in possesso di determinati requisiti, sintetizzati nella residenza stabile ed in taluni casi nel possesso di regolare permesso di soggiorno.

Dottorato di ricerca in Impresa, stato e mercato, XXV ciclo, a.a. 2011-2012

Il saggio, dopo aver analizzato i nodi cruciali sottesi al pluralismo identitario nelle odierne società complesse, affronta il tema relativo al riconoscimento dei diritti politici ed in particolare del diritto di voto di voto ai non cittadini.

L'espressione <> è in grado di evocare oggi il titolare non solo di una cittadinanza specifica ed ulteriore rispetto a quella nazionale, ma anche di una compagine di diritti contemplati e garantiti dai Trattati (e non solo) in ambito comunitario. Tutto ciò avalla la tesi dell'avvenuto "passaggio" dall'Europa dei mercati all'Europa dei diritti, ossia ad un contesto comunitario in cui l'individuo è al centro del sistema non più solo come lavoratore, ma come persona.

Si sostiene, estendendo il ragionamento al concetto costituzionale di "popolo" (guardato in relazione a quelli di "sovranità" e di "cittadino"), che per concedere il diritto di voto amministrativo agli stranieri residenti nel Paese l'art. 48 Cost. non impone di riformare la Costituzione, bastando la legge ordinaria.

Si ripercorrono - sulla base della legge sull'autonomia locale e sue modifiche nel tempo (dal 1990 ad oggi) - gli istituti che hanno variamente ammesso ovvero interdetto agli stranieri di partecipare alla vita politico-amministrativa dei Comuni di propria residenza (ad un livello inferiore a quello del riconoscimento del voto alle consultazioni elettorali amministrative)