Oggetto della ricerca è l’eliminazione delle attività incompatibili presenti nelle aree protette in ambito urbano o metropolitano, perseguibile tramite il loro trasferimento, pianificato e governato dal soggetto pubblico, precisando che per incompatibilità si intende quella che viene esplicitamente riconosciuta dall’Amministrazione e/o dagli Enti gestori e determinata dagli strumenti urbanistici, senza entrare nel merito della valutazione che sta alla base di tale riconoscimento e dichiarazione. Obiettivo della tesi è stato quello di ipotizzare un percorso praticabile per le PA, basato sulla convergenza di strategie urbanistiche ed economiche. I diversi strumenti - urbanistici e non - e modalità, vengono proposti in una “combinazione” innovativa ma strettamente legata alle possibilità offerte dalla disciplina urbanistica, alla luce delle rilevanti novità giuridiche in campo di tutela paesaggistica e ambientale. La tesi è articolata in due parti distinte: nella prima si definiscono il tema di ricerca e le problematiche ad esso connesse, analizzando le possibilità di intervento finora attuate e i loro limiti; nella seconda viene proposta la strategia di intervento e ne vengono esaminate le componenti normativo- giuridiche, economiche e sociali. Valutando le diverse possibilità in mano alla Pubblica Amministrazione per intervenire nelle aree protette al fine di eliminare le attività incompatibili, si delineano in modo spiccato le difficoltà che caratterizzano questo tipo di manovre, nonostante a volte le normative prefigurino scenari diversi e meno complessi di quanto siano nella realtà. Le grandi problematicità riscontrate sono da imputarsi principalmente a fattori di tipo economico, di coordinamento istituzionale, di natura procedurale- normativa e organizzativa. È importante sottolineare che le possibilità di gestione delle attività incompatibili interne alle aree protette non sono state mai oggetto di un’indagine sistematica e organica, nonostante la presenza rilevante della problematica sul territorio; le soluzioni concrete attuate sul territorio – piuttosto rare - rispecchiano questa mancanza di sistematicità tanto nell’analisi quanto nella scelta delle modalità operative, che solitamente funzionano sulla base del singolo caso. Intento della tesi è proporre nuove ipotesi per la fattibilità delle operazioni di riqualificazione ambientale e paesaggistica basate sull’eliminazione delle attività dichiarate incompatibili. Se considerare la tematica del tutto nuova nel panorama disciplinare è forse eccessivo, poiché in diverse realtà territoriali viene segnalata la presenza di attività e opere non compatibili con le aree protette e diverse leggi regionali ne danno riscontro, certamente innovativo è l’approccio proposto, che riconosce alla tematica una sua autonomia disciplinare. Il soggetto affrontato è infatti di grande rilevanza e necessita di una trattazione non solo teorica ma anche e soprattutto operativa specificamente disegnata per esso, a partire proprio dagli aspetti unici che questo tipo di conflitti mette in gioco. Non essendovi studi specifici, la costruzione della strategia che propongo è stata effettuata mettendo a sistema diversi aspetti. Da un lato l’analisi della problematica è stata fatta “sul campo”, tramite il lavoro di consulenza professionale da me svolto per la delocalizzazione delle attività site nel Parco Regionale dell’Appia Antica a Roma. La possibilità di verificare direttamente le maggiori difficoltà operative con cui debbono confrontarsi le Amministrazioni nel gestire l‘eliminazione delle attività incompatibili, ha costituito un serbatoio di esperienza indispensabile per mettere correttamente a fuoco anche le possibili soluzioni da proporre. D’altra parte le osservazioni desunte dalla pratica sono state spostare su un livello più teorico e generale. Posto che non vi sono stati che pochissimi esempi di risoluzione operativa della problematica – in particolar modo mi riferisco al caso di Montebelluna e al PAN Borsacchio – la ricerca ha proceduto secondo le linee indicate a seguire. È stata mia cura analizzare come altre realtà italiane o europee si confrontassero con due tematiche: il trasferimento di attività non compatibili con gli obiettivi pubblici, ancorché non localizzate in aree protette, e la gestione/acquisizione di porzioni di aree protette che correvano il rischio di essere edificate tramite il trasferimento di diritti edificatori ancora non esercitati. A partire da esse ho lavorato con una procedura che funzionasse “per esclusione” per verificarne l’applicabilità all’oggetto della ricerca. Per la prima tematica le metodologie operative utilizzate sono state cioè confrontate con gli elementi tipici di un’area protetta e con le limitazioni che essa impone per la sua stessa natura di pregio. Per la seconda tematica le metodologie sono state confrontate con le ulteriori problematiche sociali ed economiche esistenti nel caso di diritti edificatori esercitati, attività realizzate e operanti nel territorio. La conclusione di questa prima fase è stata da un lato la necessità di mettere a sistema tutela e valorizzazione – non impossibile, come dimostrato tramite alcuni casi studio – dall’altro l’opportunità di operare con meccanismi consensuali al fine di tutelare non soltanto l’area protetta ma anche gli aspetti sociali e occupazionali. Una volta stabiliti questi caratteri indispensabili, propri di una procedura operante in aree di pregio naturalistico – ambientale e con diritti di privati già ampiamente consolidati, ho aperto un confronto con le potenzialità offerte dalle innovazioni in campo giuridico – normativo e con le applicazioni in campo ambientale di alcuni principi economici che sono alla base del successo di altri tipi di strumenti di riqualificazione urbana. Per il raggiungimento dell’obiettivo hanno quindi giocato un ruolo fondamentale le innovazioni in materia di beni culturali e del paesaggio offerte dal nuovo Codice e gli studi di economia ambientale. Queste sono state confrontate con le limitazioni e i caratteri specifici dell’oggetto della ricerca, al fine di verificarne le possibili applicazioni. I principali elementi di novità che vengono avanzati nella trattazione riguardano infatti l’approccio complessivo che mette a sistema più strumenti e discipline per controllare e gestire il problema delle attività incompatibili. In primo luogo, secondo la proposta che avanzo in questa tesi, il piano paesaggistico, con i suoi contenuti rafforzati e innovati dal Codice Urbani, costituisce l’elemento di riferimento che ha il compito di recepire e organizzare ad una scala metropolitana o regionale la strategia nel suo complesso. Esso può infatti indicare quei progetti prioritari e divenire in tal modo la cornice strategica e l’atto di indirizzo per le delocalizzazioni e le riqualificazioni. Deve però coordinarsi con strumenti in grado di avere una operatività reale sul territorio, sia per poter agire in modo efficace dal punto di vista ricognitivo nell’individuazione degli elementi da trasferire, sia per poter operare dal punto di vista attuativo. A tal fine diviene indispensabile il coordinamento con un piano che abbia valenza urbanistica, piano dell’area protetta o piano urbanistico generale che sia. In altre parole è fondamentale che vi sia una convergenza di obiettivi tra i vari soggetti pubblici che hanno i poteri politici ed economici per poter intervenire sul territorio trasformandolo e riqualificandolo. La cooperazione e il dialogo tra gli Enti che sono a vario titolo coinvolti nella tematica, e la conseguente coerenza tra gli strumenti urbanistici che disciplinano il territorio, è indispensabile per ambire ad una reale efficacia. L’altro elemento forte su cui si basa la strategia che avanzo nella tesi risiede nella profonda convinzione della necessità di integrare contributi delle discipline economiche all’interno degli strumenti di pianificazione urbanistica, a partire dalla loro fase di ideazione- redazione. Solo la valutazione preliminare degli aspetti economici e finanziari in gioco consente all’Amministrazione Pubblica di governare e pianificare la manovra di trasferimento e acquisizione dei suoli liberati in modo realmente conveniente per la collettività. Gli elementi da considerare sono non soltanto quelli più “tradizionali” relativi alla stima dei costi degli interventi di tutela e riqualificazione dell’area protetta, ma anche quelli relativi alla valutazione economica delle esternalità e degli interessi immobiliari generati. La tesi indaga quegli aspetti di economia ambientale ritenuti basilari per costruire consapevolmente la struttura operativa di riqualificazione. Nel caso di un’area protetta infatti è necessario porre in essere nuove valutazioni e incentivi economici che inducano al trasferimento delle attività incompatibili, poiché la valorizzazione fondiaria normalmente utilizzata nelle politiche di riqualificazione urbana non può coesistere con le necessità di tutela proprie di un’area di pregio riconosciuto. L’elemento di innovazione che propongo di inserire all’interno degli strumenti urbanistici è la considerazione del valore edonico e della rendita posizionale da esso generata. Certamente questo aspetto, di grande interesse dal punto di vista applicativo, richiede una struttura tecnica in grado di interpretare e gestire in modo diverso il territorio. Gli Enti pubblici dovrebbero a tal fine, almeno in fase di redazione degli strumenti, formare e inserire in organico personale in grado di esaminare e proporre approcci multidisciplinari e che possieda elevate capacità gestionali. Per ciò che attiene il nuovo ruolo delle aree protette, che vedono passare il loro status da elemento da tutelare ad elemento che costituisce patrimonio collettivo e risorsa comunitaria, credo si tratti di un processo di trasformazione più ampio, già in essere nella nostra società, anche se i risultati in termini di approccio debbono ancora svilupparsi. Resta comunque di grande importanza il riconoscimento del valore collettivo del bene “ambiente e paesaggio” e questo richiede di porre la massima attenzione in fase di comunicazione e partecipazione per tutto ciò che attiene le trasformazioni nelle aree protette. La modalità di attuazione proposta si inserisce appieno nel dibattito sul trasferimento dei diritti edificatori che attraversa la disciplina urbanistica ormai da alcuni anni, e ne propone un’applicazione finalizzata alla riqualificazione ambientale. Rispetto alle fattispecie più indagate e approfondite, il caso oggetto di tesi si differenzia poiché i diritti edificatori sono già stati esercitati e questo pone in essere alcune problematiche specifiche, che rendono l’intera fattibilità più complessa. Infatti, se da un lato la manovra urbanistica di trasferimento potrà utilizzare quelle procedure “compensative” già ampiamente sperimentate – soprattutto in alcune regioni – e sulle quali ci si confronta da diversi anni, dall’altro ritengo vi siano alcune peculiarità specifiche che non possono essere trascurate. Affinché vi sia la possibilità di realizzare l’eliminazione delle attività incompatibili e l’acquisizione delle aree interessate al patrimonio pubblico è infatti necessario che l’operazione nel suo insieme sia conveniente anche per il privato. Tale convenienza è basata su un’attenta ponderazione del valore economico dell’operazione nel suo complesso e, nel caso di attività incompatibili in un’area protetta, non credo si possa prescindere dai valori edonici incorporati dall’attività svolta, né dai costi di dismissione dell’attività, sospensione e trasferimento, nonché eventuale bonifica dell’area ceduta. Tutti questi elementi devono essere valutati per la loro incidenza economica al fine di determinare non soltanto una permuta congrua, ma anche una localizzazione adeguata in termini di rendita posizionale. Rivestono inoltre non poca rilevanza le problematiche sociali, soprattutto in termini occupazionali. Questo ultimo aspetto, assieme alle valutazione delle difficoltà finanziarie in cui versano le amministrazioni, è fra quelli che mi hanno più fortemente indirizzata verso la creazione di una proposta che preveda una partecipazione alla manovra di trasferimento da parte delle aziende coinvolte spontanea e non coatta. Quindi, secondo l’ipotesi sviluppata, la partecipazione diviene legata alla capacità della Pubblica Amministrazione di renderla appetibile, incentivandola dal punto di vista economico e giuridico. Gli obiettivi che l’Amministrazione raggiunge in termini di liberazione e acquisizione dipendono dunque in certa misura dall’abilità dell’Amministrazione stessa nel costruire un percorso condiviso e conveniente; percorso del quale in questa tesi cerco di fissare alcuni elementi irrinunciabili. Indubbiamente l’elevata complessità del procedimento, ove non venga accuratamente controllata e gestita dal soggetto pubblico, rischia di comprometterne la fattibilità. Proprio per questo motivo ritengo sia indispensabile una regia d’insieme in grado di controllare le trasformazioni nel loro complesso, che indirizzi la strategia e ne verifichi in modo puntuale la coerenza, controllando che la flessibilità necessaria in questo tipo di operazioni non vada in alcun modo a compromettere gli obiettivi o la positività del bilancio dei risultati per la collettività.