Nonostante le perplessità e gli interrogativi che la scrittura di Roberto Saviano ha suscitato con Gomorra, inserendosi in un territorio ibrido tra saggio e narrazione, tra inchiesta e testimonianza, nessuno può mettere in dubbio l’elemento documentario dell’opera, e l’obiettivo principale che essa si pone: la denuncia di quella realtà misconosciuta o insufficientemente conosciuta che è la camorra. Questo obiettivo è anche quello che, fin dalle prime pagine, orienta il lettore, secondo la logica di quello che potremmo chiamare, riprendendo la nota formula di Philippe Lejeune, un patto referenziale. Tale patto non nasce qui in funzione di un discorso autobiografico, ma nemmeno è conseguenza di un presupposto puramente cronachistico: la corrispondenza tra parola scritta e fatto realmente accaduto governa l’intera struttura del libro di Saviano, ma non può neppure essere concepita in modo troppo lineare ed ingenuo. Se davvero si può parlare di un patto referenziale tra l’autore e il lettore di Gomorra, esso avviene all’insegna di una scrittura di testimonianza, che vuole nello stesso tempo salvaguardare il valore dell’esperienza direttamente vissuta e la capacità di tale esperienza di divenire occasione di conoscenza non frammentaria e amputata del reale. In un passo del terzo capitolo del libro, intitolato “Il Sistema”, Saviano scrive: “C’ero finito non per caso, ma con la presunzione che sentendo l’alito del reale, quello caldo, quello più vero possibile, si possa arrivare a comprendere il fondo delle cose. Non sono certo sia fondamentale osservare ed esserci per conoscere le cose, ma è fondamentale che le cose ti conoscano.” Posto che questa fede in un contatto diretto con la realtà, di cui la parola scritta si fa testimone, sta alla base di Gomorra, ha senso chiedersi anche quale sia il ruolo che l’immaginazione svolge nella scrittura di Saviano. Il nostro obiettivo sarà quello di mostrare come l’immaginazione concorra a costruire quella visione totalizzante della camorra che l’autore insegue attraverso le trecento pagine del libro. L’immaginazione non costituisce un elemento antinomico e contraddittorio rispetto al progetto di testimonianza, anzi lo rafforza. Il problema per noi non consisterà certo nel concepire Gomorra come un docu-fiction di cui sia importante separare l’elemento documentario e referenziale da quello immaginativo e finzionale. Qui non si tratta di depurare il dato oggettivo dalla sua scoria soggettiva, il fatto dalla fantasia, bensì di mostrare come il documento, l’analisi razionale di esso, si avvalga e necessiti dell’apporto dell’immaginazione. Inoltre, l’immaginazione narrativa incontra, in Gomorra, quello che per certi aspetti è il problema canonico del sublime, ossia come poter rappresentare qualcosa che per la sua natura illimitata sfugge ad ogni riduzione alla forma, al gioco ordinato delle rappresentazioni. Il “Sistema” richiede infatti di essere raffigurato come una realtà economica globale, che sfugge a tutta una serie di determinazioni semplici. Per Saviano si tratta, quindi, di rendere tangibile nella testimonianza scritta non solo una realtà invisibile, in quanto volontariamente occultata e resa segreta, ma anche in quanto difficilmente rappresentabile secondo certi stereotipi prevalenti, che appartengono all’immagine che l’opinione pubblica si fa di certi fenomeni criminali.