Dottorato di Ricerca in Scienze ed Ingegneria dell'Ambiente, delle Costruzioni e dell'Energia (SIACE). Ciclo XXIX C'è una crescente necessità di sviluppare un dispositivo bioartificiale di tipo epatico da utilizzare sia in applicazioni in vitro, per la sperimentazione della tossicità di molecole da parte delle aziende farmaceutiche, e sia in applicazioni cliniche per supportare pazienti con insufficienza epatica in attesa di trapianto di organo. A tale scopo è stato realizzato un bioreattore a membrana a fibre cave incrociate adoperante cellule epatiche umane in grado di favorire il mantenimento a lungo termine di epatociti. Il bioreattore è costituito da due fasci di membrane a fibre cave (HFM), uno deputato all’alimentazione e l’altro alla rimozione di cataboliti e prodotti specifici cellulari. I due fasci di fibre sono assemblati in una configurazione incrociata ed alternata in modo da stabilire una distanza l’una dall’altra di 250 μm. Questa configurazione del bioreattore delinea tre compartimenti separati: due compartimenti all’interno del lumen delle fibre cave dove il mezzo di coltura fluisce e un compartimento extraluminale dove le cellule sono coltivate. I compartimenti intraluminali ed extraluminale comunicano tra di loro attraverso i pori della parete di membrana. Il mezzo che fluisce nel lumen delle fibre di alimentazione permea nel compartimento cellulare, dove i cataboliti ed i metaboliti prodotti dalle cellule vengono rimossi dalle fibre cave deputate all’allontanamento dei molecole di sintesi e di scarto cellulari. In questo dispositivo le membrane a fibre cave consentono la compartimentalizzazione delle cellule in un microambiente controllato a livello molecolare ed il trasporto selettivo di molecole verso e dal compartimento cellulare proteggendo le cellule da eventuali sforzi di taglio. Inoltre, le membrane, grazie alla loro geometria intrinseca, offrono un'ampia superficie per l'adesione e la crescita delle cellule in un volume ridotto. Epatociti umani rappresentano una fonte cellulare ottimale da utilizzare nelle terapie che sono basate sull’uso di cellule, in quanto riflettono più da vicino le condizioni in vivo. In vivo gli epatociti sono altamente proliferativi all'interno del loro microambiente. Tuttavia, quando sono isolati dal loro microambiente e coltivati in vitro, perdono rapidamente le loro funzioni specifiche. Pertanto, è di importanza fondamentale la realizzazione di modelli in vitro in grado di mantenere gli epatociti vitali e funzionali per lungo tempo. Un aspetto critico è la la scarsa disponibilità di epatociti umani per cui occorre prendere in considerazione fonti cellulari alternative. Gli studi effettuati in questi ultimi anni indicano come una delle migliori fonti cellulari alternativa agli epatociti le cellule staminali, poiché queste cellule sono ampiamente disponibili possiedono in vitro un’elevata capacità proliferativa e possono essere differenziate in epatociti. A differenza delle cellule provenienti da animali e delle linee cellulari, le cellule staminali non costituiscono un rischio di trasmissione virale zoonotica o tumorigenicità. In questo lavoro, il bioreattore a membrana è stato ottimizzato al fine di creare condizioni di coltura per aggregati cellulari come sferoidi e per sistemi organotipici tridimensionali (co-coltura di epatociti e cellule non parenchimali) che garantiscano il mantenimento a lungo termine della funzionalità dei costrutti epatici umani. A tal proposito, le funzioni specifiche epatiche come l'urea, la sintesi dell'albumina e la biotrasformazione di farmaci sono state valutate nel bioreattore. I cambiamenti morfologici cellulari sono stati analizzati utilizzando il microscopio elettronico a scansione ed il microscopio confocale a scansione laser. Inoltre, il consumo di ossigeno delle cellule poste in coltura nel bioreattore è stato continuamente monitorato nel tempo al fine di assicurare un adeguato approvvigionamento di ossigeno. Gli sferoidi epatici umani, posti in coltura nello spazio extracapillare del bioreattore sono andati incontro ad un processo di fusione che ha portato alla formazione di strutture di maggiore dimensione simili a microtessuti. La fusione degli sferoidi è stata osservata sia tra le fibre che intorno alle fibre simulando il processo che avviene in vivo. Questo modello di coltura, grazie alle sue caratteristiche tridimensionali e all'aumentata interazione cellulare, così come avviene in vivo, ha favorito il mantenimento a lungo termine della vitalità e delle diverse funzioni specifiche epatiche come la sintesi di albumina ed urea ed il metabolismo xenobiotico. Allo stesso modo, nel sistema organotipico, le cellule si riorganizzano formando strutture tissutali simili a quelle del tessuto epatico in vivo. Questo è stato reso possibile grazie al piastramento sequenziale sulle membrane di cellule non parenchimali e parenchimali che hanno formato strutture stratificate tridimensionali simili a quelli in vivo. Il bioreattore che è stato ottimizzato in questo lavoro di tesi fornisce un microambiente di coltura ben controllato da un punto di vista molecolare attraverso l'alimentazione continua di sostanze nutritive, di cui una delle più importanti è l'ossigeno, e la rimozione di cataboliti. Ciò è stato confermato dai risultati relativi alla misura della concentrazione di ossigeno nel mezzo di coltura sia nella corrente in ingresso che in uscita dal bioreattore. In entrambi i modelli di coltura, l'approvvigionamento di ossigeno nel bioreattore è risultato essere sufficiente e significativamente maggiore a quello osservato in condizioni di coltura statica. Inoltre, una nuova fonte di cellule staminali, ovvero le cellule staminali mesenchimali derivate dal fegato, è stata utilizzata: le cellule sono state differenziate con successo in epatociti dopo 24 giorni di coltura, sia nel sistema statico che nel bioreattore. Tuttavia, il bioreattore ha mostrato una migliore capacità di mantenere la vitalità delle cellule e di differenziare le cellule staminali mesenchimalinel fenotipo epatico, come dimostrato dall'aumento dell'espressione genica di marcatori epatici specifici (ad es. albumina ed il fattore nucleare epatico alfa-4) e dalle velocità di sintesi di urea e albumina. Il prototipo di bioreattore realizzato su scala di laboratorio ha mantenuto con successo e funzionalmente attivi gli epatociti umani coltivati come sferoidi e in co-coltura con cellule non parenchimali per quasi un mese. Un aspetto importante è stato il differenziamento epatico delle cellule staminali mesenchimali, che rappresentano una potenziale fonte di cellule alternativa agli epatociti umani primari. Tutti questi risultati sono stati ottenuti utilizzando solo cellule umane, che convalidano le prestazioni del dispositivo che è stato sviluppato come sistema epatico bioartificiale da utilizzare in vitro. Questo bioreattore su scala di laboratorio ha un elevato potenziale applicativo cha va dagli studi in vitro delle malattie epatiche agli studi di tossicità a lungo termine. Inoltre, può essere realizzato su scala clinica ed applicato come fegato biartificiale per sostituire le funzioni epatiche di pazienti affetti da insufficienza epatica in attesa di trapianto. Università della Calabria