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Una riflessione sul contributo offerto dallo storico e teologo francese Michel de Certeau al ripensamento della teoria dei luoghi, dei non luoghi e della funzione della mappa.

Un’interpretazione molto accreditata (da Benedict Anderson a Eric Hobsbawm) dell’origine degli stati nazione suggerisce che, oltre alla lingua, il collezionismo dei musei nazionali, la standardizzazione del cursus formativo scolastico e la rivoluzione tipografica abbiano svolto un ruolo decisivo nella “invenzione delle tradizioni” cui fu affidata la funzione di collante identitario dei popoli; ma questo sarebbe avvenuto solo in età moderna: niente del genere sarebbe stato immaginato per gli stati dell’antico regime. Questo libro spiega come la tecnica della invenzione della tradizione sia stata efficacemente impiegata da Ciriaco Pizzecolli, noto come Ciriaco d’Ancona (1391-1452/55) anche molto tempo prima, almeno nel XV secolo, per motivi geopolitici, utilizzando l’archeologia e il collezionismo di antichità come un’arma da guerra e come veicolo delle ideologie della sovranità.

Il saggio verte sulla “invenzione” della Grecia antica prodotta da Ciriaco d’Ancona nel XV secolo, interpretata secondo i modelli di analisi della invenzione delle tradizioni (Hobsbawm e Ranger) e delle “comunità immaginate” (Anderson), tradizionalmente considerati applicabili esclusivamente all’età moderna.

Due personaggi raccontano in questo libro, a distanza di dieci secoli l’uno dall’altro, due storie adriatiche, legate all’identità del confine, dei luoghi mediatori di conflitti, di incontri e scontri tra culture. La storia di Giuda Ciriaco, santo protettore di Ancona, l’ebreo scopritore della croce di Cristo divenuto vescovo cristiano, apre una finestra sui rapporti tra cristiani ed ebrei a Gerusalemme nel V secolo, nel momento in cui si originano una nuova identità cristiana e, insieme ad essa, paure, ansie e conflitti. Trasferita ad Ancona da Gerusalemme nell’ambito di rapporti politico-diplomatici della città con gli imperi d’Oriente e d’Occidente (una delle prime testimonianze dell’impiego politico delle reliquie), la storia del santo ebreo viene ricodificata da nuovi significati e diverse sensibilità culturali. Dal culto delle reliquie utilizzate come dono diplomatico dall’impero bizantino muove anche la storia di Ciriaco Pizzecolli, mercante e antiquario di Ancona, per costruire, nella prima metà del XV secolo, l’idea della tradizione classica come heritage, patrimonio della civiltà occidentale, attraverso l’invenzione del collezionismo delle antichità. Ciriaco sostituisce le sacre reliquie cristiane con le reliquiae antiquitatis, ma con la stessa funzione: “resuscitare i morti” come definiva la sua missione. Ma il suo progetto, condiviso con gli imperatori bizantini e con il cardinale Bessarione, è sopratutto politico: creare una nuova immagine, appetibile per l’Occidente, all’impero d’Oriente per presentarlo come erede e custode della civiltà occidentale, al fine di sostenere la sua pressante richiesta di aiuto economico e militare contro l’avanzata turca. Grazie al lavoro capillare e infaticabile di relazioni, contatti e viaggi nell’Adriatico, nell’Egeo e nei Balcani, Ciriaco radicò in meno di trent’anni, tra le classi dirigenti europee, ciò che diventerà il modello della educazione occidentale, il suo “capitale culturale”, creando le condizioni per la nascita dell’Umanesimo e del Rinascimento italiani. Mercante, diplomatico, cortigiano, antiquario, spia, Ciriaco d’Ancona rappresenta, in maniera parallela alla storia di Giuda, un tipo di cultura nata e sviluppatasi in between, capace di attraversare in forma non autoritaria, imprevedibile e a volte opportunistica, il conflitto di civiltà del suo tempo. Essa rappresenta i modelli culturali “liquidi” utilizzati come serbatoi di resistenza dalle città stato tardomedievali come Venezia, Genova, Ancona e Ragusa alle prese con gli equilibri perennemente instabili e conflittuali della regione adriatica, sui quali vale la pena di ragionare oggi, alla dissoluzione dello stato nazione contemporaneo, nel mezzo di nuovi blocchi ideologici e religiosi. Cyriac Pizzecolli, also called “of Ancona” (Ancona, Italy, 1391-ab. 1450), is traditionally considered the founder of the antiquarian science and archaeology. His biographers and specialists underlined, starting from Francesco Scalamonti, who wrote when he was living, as an eccentricity he was born in a trading town such as Ancona and he wasn’t trained in humanities as a merchant himself. This book tries to explain it had been actually his very “eye of merchant” and diplomat, even of spy, to make the difference. Cyriac, in fact, made two things: (1) he contributed spreading the interest for collecting antiquities among the Western ruling classes producing a “commoditization” of still not considered trading and commercial goods (later become actually appreciated from an economic point of view too), and (2) employed those he found, bought or copied in Greece as gifts for convincing politicians, aristocrats and rich merchants helping the Byzantine empire attacked by the Turks. In this second mission, Cyriac followed in fact the traditional habit of Byzantine diplomacy to give christian relics as gifts, substituting actually them with ancient (pagan) relics. Merchant, antiquarian and diplomat, Cyriac builds in the Fifteenth century, on this Byzantine diplomatic tradition, a new way of interpreting the classical heritage, transforming it in the Western tradition, radicating a still not discovered interest for collecting antiquities among Western ruling classes. Substituting the holy Christian relics with the ancient, pagan ones, Cyriac represented himself as who wanted “to wake the deads”. His aim was however improving the appeal of the Byzantine empire in the Western Christian world, transforming it in the most important container of the documents of the ancient classical heritage. European humanism and collecting antiquities had finally a deep political and conjunctural origin in the “clash of civilization” the geopolitical setting of the Balkans and the Adriatic region showed in that time. Thanks to his formidable work made of public relations, letters, and antiquarian gifts, Cyriac modified in about a generation Western idea of the Byzantine world, which in turn was becoming a Greek state modifying its original identity of a Roman empire. Both changes were a way of “branding” the Byzantine world in a very different shape than before: ancient classical heritage became then the “cultural capital” of Western civilization to defend, creating the contingent, political and military necessity to avoid the fall of Constantinople under the Turks. Cyriac’s life represents the models of the cultures developed in between, in the border territories, among different worlds, able crossing in a not authoritarian way, sometimes opportunistic, the clash of civilization of their time. It clearly represents the liquid, cultural models the late medieval state towns, such as Venice, Ragusa and Ancona, employed as tools of resistance in managing the conflictual and unstable Fifteenth-century Adriatic geopolitical situation. An example perhaps useful to study to-day, in the contemporary crisis of the state nation, among other similar ideological and religious conflicts.

Il rapporto di Mercatore con il magnetismo e la teoria della declinazione magnetica sono stati centrali nella storia del suo pensiero cosmologico. Dietro i suoi continui calcoli, il magnetismo continuò a rappresentare, per Mercatore, l’idea che il funzionamento dei corpi celesti era strutturalmente collegato con l’harmonia mundi, con la natura intima della materia e la presenza viva di Dio nel cosmo, secondo il rapporto di corrispondenza tra Alto e Basso teorizzato dalla tradizione ermetica. Per questo motivo la declinazione magnetica terrestre doveva avere una corrispondenza con la declinazione del centro del cielo (Medium coeli), chiamata da Cardano Cor coeli. In the 1574 protrait of Mercator by Frans Hogenberg, Mercator aged, sixty two, is portrayed as “the man of magnetic declination”. He underlines in this way his continued, life-long interest in the subject. Magnetism was, in fact, not only a scientific and technical argument useful for navigation; it also symbolized Mercator’s cosmological principle of harmonia mundi. This work underlines Franciscus Monachus’s probable role in training young Mercator in hermetic studies, then shared with John Dee, which influenced Mercator’s cosmology (that he considered “scientifically Christian”). In this cosmology, the device of the pythagoric Y is central. It represents the profound structure of his world, as in the “typus universitatis” sent to Vivianus in 1573, but it is also connected, I propose, to magnetic declination and the correct, new representation of the “rhumb lines” for sailing, featured in Sixteenth-century nautical maps. It was also the model for drawing the other letters of the alphabet in Mercator’s 1540 monograph about italic humanist writing. Pythagoric Y was, in fact, a symbolic and cabalistic device, also employed by Dee in his astrological and alchemic works, which finally represented moral choice; human free will in the providential mechanisms of Creation.

Un confronto tra le idee dello spazio di Machiavelli e di Ciriaco d'Ancona.

La storia della cartografia italiana non ha mai sviluppato una adeguata complessità di analisi coerente con gli indirizzi di ricerca internazionali.

The endeavour to build an Italian heritage was based on the millennial tradition of pilgrimages to Rome and the Holy Land, which started as from the IVth century AD, and was the archetype of the Italian Grand Tour of the XVI-XVIII centuries, and its ability to “develop personality”, an individual character. Starting from the construction of Constantine's basilica and the basilica of the Holy Cross in Jerusalem, called Hierusalem, an early cult of saints and martyrs developed in Rome, and grew in competition with Jerusalem until, with the Jubilee of 1300 proclaimed by Pope Bonifacio VIII, it was no longer possible to go to these holy places because they had passed into the hands of the Muslims. In time, pilgrimages to Rome created accepted routes complete with stations and services, such as Via Francigena, which descended from the Aosta Valley to Siena and Viterbo, and the different Roman roads that moved from the East, from the Adige Valley and Veneto, at times joining the ancient Flaminia. At the times of the Grand Tour, the route from the north ended up by systemetizing the Venice (or Milan) / Bologna / Florence / Rome axis, sometimes with deviations to Marche region through the Flaminia (with a stop in Loreto, especially in the XVI- XVII centuries), reaching, as from the Eighteenth century, Naples and Sicily. During the journey, the young aristocrat, usually accompanied by a servant, was to acquire information considered to be essential to those belonging to the ruling class of the time. But reading the diaries of famous travellers should not mislead us. The scope of the journey to Italy was not to become original. On the contrary, consistently with the pilgrimage, its purpose was to assimilate a standardised and stable culture. Making a mental journey on paper or making a journey in places was considered to be very much the same thing. So much so as to give life to traditions and literary genres such as Returns (of which the Odyssey is a perfect example), and descriptions of itineraries used to enrich stories along an imaginary route, that the history of positivist geography has endeavoured to consider as sources of real geography. This duplicity is still an integral part of Italian charm (even today, “Italy – the Bel Paese of Dante” that does not know how to put a value on its assets, a place of incredible beauty and notorious forms of ugliness, the home of law and the Ma a, but also with its unlivable cities full of personality). But it is also the intrinsic structure of its media dimension and rhetoric. The journey is indeed the physical translation of the metaphor; the metaforài are still today in Athens the public buses. The pilgrim and traveller of the Grand Tour thus developed his character during the itinerary, but without putting aside conventions (curiosity was considered to be a sin, simply an inconvenience, and not a virtue). When they described their journey according to the agreed rules, pilgrims and travellers thus gathered a repertoire of characters handed down and indicated by the travel guides. The paradigm of the pilgrimage (religious or antiquarian) based on emotionality underwent a profound change in the Romantic age, when emotions played a dominant role with respect to their original traditional function of vehicle and binding element of the information of tradition. As Marc Augé says, the contemporary age no longer has ruins, but only rubble. Ruins were the product of history, a story invented and nurtured, an opportunity to venture into meditative experiences based on a manifest metaphoricity. Christian ruins like antiquarian ruins were in any case linked to a feeing of time: the ancient time of the humanists, and the possible time of salvation of the pilgrims. In 1929, in Civilization and its Discontents, Freud, as a tourist in Rome, could still compare the eternal city to the human psyche, imagining the strati cation of ages and buildings, as the foundation of both, one over the other. The ruins of our time, indeed, are nothing more than the product of a continuous present, perhaps electrifying, but without history and future. «Future history», says Marc Augé, «will not produce more ruins, it doesn't have the time».

Profilo biografico del geografo italiano Roberto Almagià A biographic portrait of the Italian Geographer Roberto Almagià

La storia del paesaggio marchigiano come strumento di persuasione geopolitica.

Può il paesaggio costituire un mezzo di comunicazione e funzionare per trasmettere valori e comportamenti da una generazione all’altra, ed essere influenzato in questo dalle classi dirigenti? Nelle Marche è successo per oltre mille anni. La ricostruzione del fenomeno attraverso tre sondaggi storici sul lungo periodo che va dal IV secolo d.C. al XVII.

Riedizione, curatela e Prefazione di una edizione italiana del Teatro del mondo tascabile di Abramo Ortelio (sec. XVIII) in anastatica promossa dalla rivista dell'Istituto Geografico Militare di Firenze.

Introduzione alla riedizione anastatica degli emblemi delle regioni italiane dalla Iconologia di Cesare Ripa (sec. XVII).

Nel 1540 Gherardo Cibo (1512-1600), nobile cavaliere pronipote di papa Innocenzo VIII e nipote di Caterina Cibo, duchessa di Camerino, parente dei Della Rovere, decide di ritirarsi a Rocca Contrada, nel Ducato di Urbino (oggi Arcevia), per dedicarsi completamente allo studio delle piante, alla pittura di paesaggio ed alla sperimentazione di tecniche innovative nella conservazione e riproduzione delle specie botaniche, cimentandosi nella miniatura, nel disegno di paesaggio, nell’arte di fare i colori, nella stampa a matrice naturale delle piante, nella preparazione di erbari secchi e dipinti. Artista e scienziato allo stesso tempo, Cibo è in contatto con i maggiori studiosi del tempo come Pietro Andrea Mattioli e Ulisse Aldrovandi e si dedica a rappresentare, sullo sfondo delle piante rintracciate nel corso delle sue numerose spedizioni botaniche, i paesaggi delle Marche e dell’Umbria, restituendo lo skyline rurale e urbano del tempo, mescolando la fedeltà al dato naturale con una sorta di idealizzazione arcadica della semplicità della vita in campagna, che è anche espressione di una sensibilità religiosa evangelica ispirata alle idee della Riforma. Dell’opera di Cibo, personalità riservata e modesta, si perse ben presto memoria e i suoi disegni andarono dispersi in numerose biblioteche del mondo, spesso attribuiti ad artisti nordici o fiamminghi, fino a quando diversi codici e disegni furono rintracciati ed a lui attribuiti da Lucia Tongiorgi Tomasi. Ora raccolti, catalogati, riprodotti e studiati in questo straordinario volume illustrato, che spiega anche per quale motivo il paesaggio marchigiano sia stato percepito per molto tempo come un’Arcadia ideale. There is very little biographical information to be found regarding Gherardo Cibo. In order to get to know his personality and training it is necessary to reconstruct the environment in which he grew up, his studies and habits, on the basis of mostly unspecific clues and documents. This essay reconstructs the environment between Rome, Camerino, Pesaro, Bologna and Rocca Contrada that Gherardo must have frequented, concerned with the themes of ancient architecture linked to the humanistic revival of the garden and suburban villa, inspired by Pietro Bembo and by the school of Raphael and Giulio Romano. His heterodox surroundings must certainly have had an influence upon Cibo, and his proximity to the spirituality of the Reformation which surrounded his aunt Caterina Cibo, duchess of Camerino, Vittoria Colonna, Juan de Valdés , Bernardino Ochino, General of the Cappuccines (order protected by Caterina Cibo) then become Protestant, other heretics like Pietro Carnesecchi, Marcantonio Flaminio and the Cardinal Reginald Pole, supporter of religious tolerance. Among the relationships that follow his Bolognese period (around 1538-40), during which Gherardo must have frequented the lessons of Luca Ghini at the university, his meeting Ortensio Lando seems significant. Lando was also a student of medicine under Ghini, and stayed for some time during 1542 with the Bishop of Senigallia, Marco Vigerio Della Rovere, Cibo’s uncle. Four works by Lando are recorded among the books of the Passionei collection of the Angelica Library in Rome, where part of Cibo’s library ended up, one of which was annotated. Ortensio Lando’s radical attitude towards the official culture and tradition was not entirely shared by Gherardo but he was certainly drawn to Lando’s evangelism and the simplicitas preached by the “evangelicals” (like the intellectuals who frequented Caterina Cibo and Vittoria Colonna), which greatly influenced the artist’s artistic and scientific work. Behind the painted plants of his herbarium, Cibo in fact represented an Arcadian world made up of hermitages, peasants, shepherds, fishermen and hermits which recall the egloghe piscatorie of Iacopo Sannazzaro (whose Arcadia Cibo owned) and the landscapes of Brueghel the Elder that the artist must have known in Rome, together with other painters such as the Flemish Michiel De Gast and the Croat Giulio Clovio. Cibo may also have been representing the method of research and study of plants which had begun to be defined by Leonhart Fuchs in Germany and by Luca Ghini and his school in Italy in the first half of the 16th century, founded on the circulation of specimens of the various plants, the critical analysis of the plants described by the ancient botanists, open air trips, the continuous comparison between the empirical data and the documentation already noted. This effort of continued confrontation between innovation and tradition explains Gherardo Cibo’s capacity to represent the plants’ characteristics with philological and botanical rigour; their colours, smells, habitat and their landscape context, which at times assumes an ideal and Arcadian character, which was also cultivated in those years in the Pesaro and Della Rovere courts which he frequented. This reconciliation between real and ideal was also made possible by the new function that botanical illustrations began to have in 16th century science, acquiring the capacity and the legitimation to represent the structure of plants (their morphological character, the shape of their evolution and flowers, etc) way beyond their simple realistic appearance, incorporating a sort of code that went beyond ingenuous realism. During the same years, this was a theme that occupied the Bolognese “Hermathena” Academy of Achille Bocchi, in which Cibo’s master, Ghini also took part, and several intellectuals such as Pierio Valeriano, who had been in Rome when Cibo was training.

La geografia fu introdotta nell’insegnamento universitario dai Gesuiti, come struttura portante dell’apprendimento e della ricerca scientifica. Ma si trattava di un campo disciplinare assai lontano dalla geografia di oggi.

L'editoria delle Marche non ha mai raggiunto il livello della produzione industriale, muovendosi a metà strada tra l'artigianato culturale e l'impresa creativa. Si evidenziano alcuni motivi storico-economici e culturali di questo fenomeno, che ha contribuito alla scarsa costruzione (ma ne è stato anche un prodotto) di una sensibilità identitaria regionale.

Le vedute urbane “mute” di Urbino, Baltimora e Berlino, studiate dagli storici dell’arte e della città, oggetto del volume-catalogo della mostra (Urbino 2012), erano originariamente testate di “lettucci”, parte della mobilia della biblioteca ducale urbinate. I “lettucci”, nuovo genere di mobile diffusosi nel secolo XV, rilanciavano l’impiego classico dei palazzi della memoria antichi che decoravano tradizionalmente i cubicula romani. Sulla scorta di nuove testimonianze, anche archivistiche, il saggio propone una soluzione alla vexata quaestio del significato delle “città ideali” urbinati, alla confluenza tra il progetto di architettura albertiano e le tecniche di meditazione e lettura silenziosa umanistiche coltivate a corte.

Come il saggio sperimentale moderno è potuto nascere dal racconto di viaggio, tradizionalmente considerato favoloso e inattendibile? È successo.

Introduzione alla ricerca dell'Autrice (già coordinata dal Prefatore) relativa al catalogo e allo studio delle rappresentazioni urbane delle Marche e dell'Umbria negli stendardi processionali del Trecento/Quattrocento.

La selva e il giardino esemplificano i due modelli di riferimento delle ideologie connesse con il territorio marchigiano sviluppatesi nel corso di un lungo periodo che va dalla dissoluzione della colonia romana alla celebrazione delle intense coltivazioni dell’età moderna, frutto della mezzadria. Dietro questi modelli si animano alcune ideologie sociali e politiche che hanno profondamente condizionato l’identità della regione.

La storia del più esteso parco naturale delle Marche e dei suoi sforzi per coniugare la salvaguardia ambientale con lo sviluppo locale.

La coppia di globi mercatoriani (terrestre e celeste) della Biblioteca civica di Urbania, appartenuti alla biblioteca dell’ultimo Duca di Urbino, esprimono un nuovo significato, barocco e controriformista, per la cultura locale del XVII secolo, ma avevano avuto anche per Mercatore un significato particolare, connesso alla sua idea della declinazione magnetica terrestre e del rapporto tra astronomia, astrologia e geografia.

Una nuova interpretazione del paesaggio è coerente con una nuova stagione di sviluppo turistico-culturale.

Il paesaggio delle Marche è oggi percepito in modi profondamente diversi da un tempo, a causa del peso esercitato dai media. Le forme della ricodifica simbolica del territorio, anche secondo gli orientamenti della Convenzione europea del paesaggio, vanno tenuti in una nuova considerazione, accanto a quelli più tradizionali. L’esperienza di un progetto di fattibilità per un Ecomuseo del paesaggio marchigiano.

Sintesi della tavola rotonda introduttiva dei “Discussant” invitati (Emanuela Casti, Giuseppe Dematteis, Franco Farinelli, Giorgio Mangani) sui temi della perdita dei criteri analogici e iconici della cartografia tematica prodotta dalla Scuola di Losanna diretta da Jacques Lévy e dalla cosidetta “cartografia partecipativa”.

Una nuova analisi delle “città ideali” di Urbino, Baltimora e Berlino, legata alla loro probabile condizione di testate dipinte di “lettucci” della Biblioteca di Federico da Montefeltro, con alcuni documenti inediti provenienti dagli archivi ducali del Seicento, rilancia l’idea di un nesso forte tra progettazione architettonica, rappresentazione urbana e tecniche di meditazione silnziosa.

La scienza retorica classica affidava alle donne (ma anche alle stanze, ai palazzi, alle figure architettoniche, agli armadi) la funzione simbolica di “contenere” informazioni e concetti. Sicché fu naturale per la geografia, scienza dei luoghi/loci, utilizzare, come avveniva negli emblemi, le figure femminili per indicare Città e Continenti (cioè appunto “quelli che contengono”).

Analisi storico-cartografica dei principali documenti della collezione cartografica della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro, catalogata dallo stesso autore nella restante parte del volume.

La rappresentazione urbana e i suoi rapporti con i "loci" dell'arte della memoria.

La ricostruzione del rinnovamento della storia della cartografia italiana degli ultimi trenta anni e la funzione svolta da Lucio Gambi nel caratterizzare una “scuola italiana”, capace di considerare i meccanismi complessi del mapping senza perdere di vista la filologia e la storia. Lucio Gambi was more interested in the development of the Cartography in History than in the foundation of the History of Cartography as an autonomous discipline proposed in the same years by J.B. Harley in Europe and Us. Maps had to be studied for Gambi in a deep connection with other historical documents. A link was, infact, in Gambi’s concern, between his critical statements about the concepts of geographic landscape and his idea of map-making: both were representations to be connected to other written historical documents. Notwithstanding they were cultural construcions filtered by culture, strategies and power. Maps had to be considered mainly – Gambi underlined in his works – for the informations transmitted about specific and local contexts, not as universal models. Gambi’s scientific ideas very much influenced Italian History of Cartography in the Sixties and Seventies, but his methodology was stressed in different and sometime opposte ways of thinking during the years of the critical refoundation of Italian Geography.

Cenni degli studi sul Mapping e sulla Percezione cognitiva dello spazio geografico.

Le idee collegate a luoghi, spazi, non luoghi, paesaggi e mappe nella riflessione geografica e scientifica degli ultimi venti anni.

Come si passa dall’impiego mnemonico delle emozioni prodotte dalla percezione dei luoghi, usato nei “viaggi di formazione” del XVII e XVIII secolo, alla liberazione delle emozioni come piacere a sé, senza scopo, nel turismo di massa contemporaneo.

La ricostruzione della vita e dell’opera del più autorevole cartografo del nord Europa, che rivela l’intima relazione esistente tra i suoi interessi artistici, collezionistici, le aspirazioni religiose e la produzione del primo atlante a stampa del mondo conosciuto (il Theatrum orbis terrarum, 1570), impiegato come strumento di propaganda irenica.

Prima di diventare quella cosa che conosciamo, la cartografia ha funzionato prevalentemente come supporto prototecnologico della memoria: una funzione durata fino all’Illuminismo. La storia del mapping e delle sue parentele con l’arte di pensare che spiega l’attenzione scientifica moderna per la mappa come modello epistemologico.

Mappe e globi erano confusi, nel XVI-XVII secolo, con le lenti e i cannocchiali, in quanto consentivano di “vedere da lontano”. Per questo motivo il geografo-mago elisabettiano John Dee concepiva come analoghe procedure usare un globo terrestre ed avvalersi di una piccola sfera di cristallo per dialogare con gli spiriti nel corso delle sue actiones medianiche. Un meccanismo che fu imparentato con le “composizioni di luogo” praticate dai Gesuiti nei loro Esercizi, e la pratica dei rosari, che virtualizzavano le funzioni mnemoniche già svolte dai giardini meditativi.

L’atlante, struttura diagrammatica di carte secondo una sequenza che attribuiva un senso ulteriore rispetto a quello del testo, trovava la sua origine nei libri illustrati medievali e nelle miniature. Ma l’atlante, attribuendo un ruolo autonomo e più consistente alle immagini, ribaltava il modello medievale che considerava il testo come l’anima e le figure come il corpo. Negli atlanti, l’anima del libro diventava la mappa e il testo solo un supporto di approfondimento. Anche se continuavano ad assomigliare a dei libri, gli atlanti furono percepiti, come le “Gallerie” alle quali furono spesso assimilati, come dei nuovi mezzi di comunicazione.

L'appeal estetico delle carte geografiche non è un tema ininfluente nell'analisi scientifica della loro funzione politica.

Una analisi dei rapporti tra la Topica, la parte della retorica classica dedicata all’archiviazione dei concetti (i loci), la Topiologia (o Ars Topiaria), cioè l’Arte dei giardini, e le idee sul funzionamento culturale e ideologico dei paesaggi. We may distinguish the theories about landscape in Twentieth century between those founded on their objective components and those founded on psychological and perceptive feelings. But we register also in the same period tendences to reconcile both aspects. A rhetorical and linguistic approach to landscape, developed in geographic and cartographic theory, enfasizes actually an analysis of landscape as topics (in the rhetorical meaning). According with rhetorical and mnemonic laws, real and thought landscapes had been employed as mnemonic perceptions; it does function even as a producer of behaviour. This interpretations of landscape reconciles better, in the author’s concern, real territories and perceived landscapes as organic and social conditioned structures, and makes obsolete the romantic idea of landscape as an individual “state of mind”.

L’Accademia dell’Arcadia, fondata a Roma nel 1690, aveva un rapporto ombelicale con le Marche. Non solo era promossa da molti proprietari terrieri marchigiani, sotto l’egida di un papa urbinate e un “Custode” maceratese; anche il suo apparato teatrale panagreste rappresentava bene l’ideologia delle oligarchie locali dello Stato Pontificio.

Nel XV secolo si diffonde nel mondo religioso un impiego nuovo delle vedute urbane, impiegate per aiutare la preghiera silenziosa e la omiletica verbale nelle nuove e affollate piazze urbane italiane. La diffusione di questo impiego retorico delle vedute urbane fu all’origine del successo delle cronache universali illustrate da vedute di città, come la Cronaca di Norimberga (1493) e delle piante prospettiche a stampa del XVI secolo che inondarono i mercati e fecero il successo degli stampatori di Roma, di Venezia e poi delle Fiandre.

Matteo Ricci utilizzò i suoi mappamondi e i suoi strumenti di precisione, come gli horiuoli, con l’intenzione di convincere l’imperatore cinese e la sua corte della superiorità della religione cristiana. Dietro la messa a punto dei suoi strumenti scientifici era attivo un progetto di evangelizzazione che seguiva le modalità codificate dall’offensiva controriformista romana, non un’intenzione protoscientifica, come a volte si racconta.

Schede catalografiche di antiche mappe conservate nelle Biblioteche delle Marche.

L’atlante fu un originale “genere” letterario e scientifico introdotto nel XVI secolo. La sequenza diagrammatica delle immagini favoriva infatti una efficace e poderosa azione psicologica nei lettori; così potente da potersi comparare ai mezzi di informazione contemporanei. Fu per questo motivo che molti atlanti “precedettero” la nascita degli Stati Nazione europei, svolgendo un ruolo importante nella loro genesi.

L’aver privilegiato Vespucci come vero scopritore del nuovo continente americano rispondeva, da una parte, ai progetti di legittimazione dell’ “Umanesimo geografico” promosso dalla Scuola cartografica di Saint Dié (Vosgi) ed acquistava, dall’altra, particolare funzione strategica nell’offensiva mediatica internazionale promossa dai Medici per celebrare Vespucci come espressione delle “Glorie Medicee”.

L’analisi del planisfero di Visconte Maggiolo, uno dei primi a rappresentare il nuovo continente americano, e dei cimeli più significativi di carattere geografico e storico-cartografico della Biblioteca comunale di Fano.