In the Christian faith the death of unbaptized children represented an inconsolable double pain for their parents. As Baptism is the first holy sacrament to welcome newborns into the Catholic life and to free them from the original sin they were born with, death before baptism meant no soul’s salvation and Hell’s damnation. Thus, dead unbaptized infants could not be buried in consecrated ground, and parents could not pray for their soul. From the 13th century on, by stating the existence of the Limbo – an intermediate space between Heaven and Hell – the Thomistic doctrine tried to mitigate the strictness of the Augustinian doctrine on the subject, even not solving the problem of a proper burial in consecrated ground. Sources and doctrinal debates tell a story of a centuries-old difficulty of the Western Church and its institutions in providing a definite solution to this problem even in its juridical implications. Indeed, there were also numerous legal and forensic medical aspects linked to unbaptized dead infants. For centuries, Baptism represented the first – and sometime the only – official registration of a newborn, who otherwise remained unknown. Thus, a delay or absence of baptism could conceal a new birth as well as an infanticide. Especially after the Counter-Reformation, the Church promoted an intense campaign to push priest, midwives and accoucheurs to baptize future child in case of dangerous births. This resulted in a debate on cesarean section and other medical or popular practices that could menace mothers’ life by virtue of fetus’ baptism. The main point was to choose between the life of the mother and the right of the fetus to life and health, and between the mother’s physical health and child’s spiritual health. Over time, some popular beliefs took root aimed to relief the pain of dead unbaptized infants’ parents. Among these, the belief of the miracles of “répit” or “double death” sanctuaries. According to some local traditions, children who died unbaptized – thanks to prayers by pious women or hermits – could “resurrect” for a brief time necessary to be baptized. Then, they died “again” and could definitively rise to divine grace. This alleged miracle, never confirmed in any official process, became a matter of discussion among the ecclesiastical authorities. At the same time, it pushed the grieving parents to return to their communities with documents – often formally drafted and signed by local notaries – which certified the “resurrection”, the baptism and the new death. These documents allowed dead children to be regularly buried and proved that the family had done everything possible to guarantee their children salvation in order to rejoin them in the afterlife., Al dolore lacerante che colpisce un genitore e tutta la comunità dinanzi alla perdita di un bambino, la coscienza cristiana e le istituzioni che ha espresso si sono dovute a lungo confrontare con un altro dramma nel dramma, che poteva colpire laddove i piccoli fossero deceduti prima di ricevere il battesimo. Vale a dire prima di ricevere quel sacramento ritenuto necessario a mondarli dal peccato originale e così garantire loro l’accoglienza nella Chiesa e la salvezza dell’anima. In assenza di questo sacramento era preclusa per questi piccoli la sepoltura in terra consacrata, nonché la possibilità per genitori e familiari di dedicare preghiere e liturgie in suffragio della loro anima, cercando così di consolarsi su un loro destino di beatitudine. A partire dal XIII secolo la dottrina tomistica del limbus puerorum, mai esistita come dogma della Chiesa, descrivendo un luogo intermedio cui accedevano le anime di questi bambini cercò di attenuare la severità dell’interpretazione agostiniana che non prevedeva alternative alla dannazione dell’Inferno per chi non fosse stato purificato con il battesimo. Non si riuscì, però, a risolvere le non poche problematiche per il continuo potenziale conflitto tra idee diffuse di giustizia e misericordia e le necessità di coerenza e controllo dell’organizzazione anche materiale della società cristiana che questa dottrina continuava a provocare. Il divieto di sepoltura in terra consacrata restava intatto e così l’esclusione dalla visione beatifica di Dio. Le fonti e i dibattiti ci restituiscono i tratti di una secolare difficoltà da parte della Chiesa occidentale e delle sue istituzioni a dare un assetto stabile e definitivo al problema della morte senza battesimo e a tutte le sue implicazioni anche giuridiche. Queste ultime apparvero da subito numerose, così come numerose furono quelle medico legali che con il tempo si continuarono ad intrecciare in questo dibattito. Il battesimo è stato per secoli anche il primo momento in cui le nascite venivano registrate, ed un suo ritardo o assenza potevano implicare la possibilità di occultarle e, di conseguenza, occultare anche eventuali infanticidi. La massiccia campagna di sensibilizzazione rivolta a parroci, levatrici e da un certo momento in poi anche accouchers e chirurghi affinché impartissero senza esitazioni il battesimo nei parti difficili in cui era a rischio la sopravvivenza del bambino, avviata con particolare veemenza dalle gerarchie ecclesiastiche dopo la Controriforma, aveva portato ad un dibattito sul parto cesareo ed altre pratiche mediche potenzialmente omicide per la madre in cui il bilanciamento tra il diritto alla vita ed alla salute della madre e quello speculare del feto impegnarono a lungo i giuristi quanto i teologi e i medici. Tra i tentativi di dare risposte a genitori e comunità incapaci di accettare la mancata salvezza per le anime di piccoli che non avevano potuto compiere alcun peccato, si diffuse la controversa credenza nei miracoli dei santuari del “répit”, o della “doppia morte”. Luoghi in cui secondo alcune tradizioni locali, i bambini morti senza battesimo, grazie alle intense preghiere condotte da donne devote o eremiti, potevano “resuscitare” per il breve tempo necessario ad impartire loro il sacramento, dopo il quale morivano definitivamente nella grazia divina. Un miracolo molto contestato dalla Chiesa ma che consentiva ai genitori affranti di ritornare alle proprie comunità con attestati, spesso redatti con tutte le formalità dai notai del luogo, che certificavano l’avvenuto risveglio, il conseguente battesimo, e il nuovo decesso, documenti che consentivano la regolare sepoltura ecclesiastica dei piccoli e l’assicurazione a tutta la collettività che i familiari avevano fatto ogni cosa in loro potere per ricongiungersi con i propri bambini nell’aldilà.