1.La concezione nella quale per la gran parte siamo ancora immersi, di un fare architettura come di una operatività artistica di tipo romantico, favorisce l'originalità dell'atto creativo, la provocazione, l'individualità per differenziazione dell'oggetto architettonico ma al contempo scoraggia la didattica del comporre, implicitamente considerando innate capacità individuali o pregresse conoscenze culturali irrinunciabili premesse alla buona capacità di progettare. 2.Una nuova e conseguente reticenza in ambito tecnico-architettonico all'uso della parola "bellezza", ha portato il giudizio sulla architettura ad essere piuttosto di natura prestazionale e normativa, senza considerare però che, se un oggetto può essere giudicato a posteriori in base alla sua rispondenza a parametri quantitativi, viceversa alcun parametro quantitativo sarà mai sufficiente a determinare un oggetto. 3. Riprendere il concetto d’architettura come aspetto dell’arte non significa, rifiutare l’apporto della tecnica e dell’ingegneria. Al contrario le tecniche, le tecnologie, fino al virtuale e alle reti sono la nuova materia plastica a disposizione del progettista che pertanto deve conoscerne le leggi, . Entrando nel dibattito antico se l’architettura sia o non sia un aspetto dell’arte per il fatto di essere contaminata dal corrispondere ad una funzione, occorre ribadire l’essenzialità dell’abitare alla sua definizione, ovvero il carattere intrinseco dell’abitare all’architettura. Per questa via [cfr. S. Bettini; G. Klaus Koenig] si comprende l’architettura come “forma dell’essere”, o come “forma dell’abitare” [cfr. M. Heidegger], la cui materia è, come per la scultura, la pittura e, particolarmente, la musica, l’umano. 4. In ragione di queste considerazioni si elidono le distanze tra l’antico architetto ed il moderno edile.Tanto colui che si pone all’origine del processo determinandone le ragioni compositive (archi – tek-ton), tanto colui che lo intraprende in ragione del suo fine ultimo e concreto (la casa, l’aedesedile) agiscono mescolando due mondi: da un lato quello “delle idee” o delle intime proprie rappresentazioni dell’umano (A) , dall’altro quello della materia, delle tecniche e delle tecnologie attraverso le quali concretizzeranno il proprio prodotto finale (B) che sarà tanto più riuscito quanto corrisponderà essenzialmente ed esistenzialmente all’uomo che ne è dunque la causa finale. 5. Tra il termine (A) ed il termine (B) si snoda dunque il processo compositivo. E’ dunque nella relazione tra MONDO 1 e MONDO 3 [cfr. K. Popper] che interviene la dinamica del processo di composizione architettonica. Se si ritiene che il giudizio estetico intervenga solo sul prodotto finale, del tutto indipendentemente dal processo compositivo che è intervenuto a plasmare l’oggetto, si ricade sostanzialmente in una concezione romantica [cfr.KANT, Critica del Giudizio], per cui educare alla autentica libertà dell’atto compositivo è impossibile ed il solo criterio diviene l’adesione a un canone ideologicamente istituito e assunto come valido e “bello”. Paradossalmente il carattere storico o estemporaneo con il quale ogni scuola di architettura può in questo modo ideologicamente eleggere l’unicità del proprio riferimento ed il carattere assoluto di ciò che si stima come “bellezza”, dimostra al contrario tutta la relatività di un giudizio estetico che riposa, infine, solo in un giudizio di “stile” e non in una valutazione di processo. In altre parole, se le forme della bellezza possono essere molte, ciò mediante cui tali forme si determinano sono processi dalle caratteristiche ricorrenti che individuano processi di coerenza tra il termine (A) e il termine (B), tra Mondo 1 e Mondo 3. 6. Indipendentemente dal linguaggio architettonico, il giudizio estetico si determina dunque già in fase di processo compositivo. Questa concezione permette ed anzi istituisce la necessità di una didattica del progetto non solo in senso tecnico, qua...