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«Fuori cadeva fitta la neve... Dalla Vistola soffiava un vento gelido, ma nella casa di studio ardeva la stufa di terracotta. I mendicanti arrostivano patate sulle braci. I ragazzi che studiavano di notte... ascoltavano le storie». Da suo padre ne ha ascoltate, di storie, il piccolo Isaac – e da quelle sono poi nate le sue. In questi ipnotici racconti il narratore incantato che è Singer porge orecchio alle voci di altri narratori incantati, che a loro volta aprono squarci su vicende, esistenze, universi interi. Sfilano così personaggi indimenticabili: dall'ex attore amico di Kafka allo spazzacamino che indovina i segreti di tutti, dalla donna dagli «occhi gialli» che attira su di sé le disgrazie a quella che è convinta di aver visto Hitler in una tavola calda di Broadway, dal rabbino in collera con Dio per la sofferenza che infligge agli uomini al professore il cui funerale viene accompagnato dai colombi che aveva sempre nutrito... Sullo sfondo, le strade, profumate «di panini appena sfornati, bagel, latte bollito e aringhe affumicate», del quartiere ebraico di Varsavia, o quelle polverose delle torride estati newyorkesi, e le sinagoghe, i bordelli, le case dei ricchi e i tuguri dei poveri, i villaggi e le grandi città: mondi che Singer fa rivivere sotto i nostri occhi con una capacità evocativa che è soltanto sua.

«Questo libro racconta la storia di una famiglia e di una corte rabbinica così vicine tra loro che era difficile dire dove finisse l'una e dove cominciasse l'altra» scrive Singer nella Nota introduttiva; e prosegue: «La corte rabbinica... era una specie di connubio fra tribunale, sinagoga, casa di studio e, se vogliamo, lettino dello psicoanalista, dove chi aveva l'animo turbato poteva venire a sfogarsi». Ne passavano a decine, nello studio del padre – il rabbino di via Krochmalna –, di uomini e donne perplessi, incolleriti, disperati o rassegnati: tutti in cerca di un consiglio, di un conforto, di un verdetto. In piedi accanto alla sedia del Rabbi – intermediario unico tra i fedeli e la Torah – o seminascosto dietro una porta socchiusa, il piccolo Isaac ascoltava avidamente ogni parola, e soprattutto si imbeveva di storie: quelle che avrebbe raccontato, molti anni dopo, nella lingua dei suoi avi. Mentre affronta l'arduo passaggio dall'infanzia all'adolescenza, prendendo parte attiva alle vicende della famiglia e insieme scoprendo con stupore il mondo esterno (in primo luogo quello dei libri «profani»), il ragazzino dai capelli rossi e gli occhi azzurri fa scorta di immagini e personaggi formidabili, e impara a conoscere ciò che agita l'animo umano: il desiderio, la paura, la cupidigia, la scaltrezza, la meschinità, la generosità, ma anche la nostalgia di Dio e il risentimento nei suoi confronti.

Un giorno, a una domanda sull'importanza che aveva avuto l'amore nella sua vita, Isaac Bashevis Singer rispose: «Grandissima, perché l'amore è amore della vita. Quando ami una donna ami la vita che è in lei». Ma che genere di amore è quello che lega Herman, il protagonista di «Nemici», a Jadwiga, la contadina polacca che lo ha salvato dalla deportazione nascondendolo per tre anni in un fienile, nutrendolo e curandolo, e che lui ha portato con sé a New York e ha sposato? E che genere di amore lo lega a Masha, la donna, scampata ai lager, del cui corpo non riesce a fare a meno, ma che percepisce come una minaccia – perché quel desiderio, più che alla vita, si apparenta alla morte? Ed è ancora amore il sentimento che lo lega alla moglie Tamara, che credeva morta e che gli riappare davanti all'improvviso? Di fronte a simili domande Herman è paralizzato, incapace di trovare una via d'uscita. A rendere tutto molto, molto più complicato è la fatica quotidiana del vivere, in quella New York che è sembrata un miraggio di felicità, ma che si rivela ogni giorno più inospitale e più aspra. Il lettore segue Herman nei suoi affannosi, sconclusionati andirivieni dal Bronx a Coney Island e da Coney Island a Manhattan, chiedendosi se e come riuscirà a tirarsi fuori da quella specie di guerra che le sue tre donne gli hanno dichiarato, e soprattutto dal groviglio di un'esistenza fatta di continue menzogne, sotterfugi, goffaggini e fughe – o se, come il Bunem di «Keyla la Rossa», finirà per cedere alla tentazione di disperare di Dio.

Corre l'any 1911 quan la Keile, una prostituta jueva, coneix l'amor de la seva vida, en Iarme, un expresidiari. La jove parella somia fugir de la misèria del gueto de Varsòvia, on viuen sota l'amenaça constant dels pogroms, així que quan en Max, un antic conegut, els ofereix de participar en els seus negocis lucratius a Amèrica del Sud, no ho dubten ni un moment. Però en Max també se sent atret per en Iarme, i sorgeix un funest triangle amorós que turmentarà la Keile tant als carrers foscos del gueto com a les avingudes d'una gran ciutat nord-americana. En aquesta novel·la brillant, inèdita en català, Singer retrata, amb la mestria de Dickens o Dostoievski, els baixos fons de la comunitat jueva, poblant-los del ric elenc de personatges singulars amb els quals crea un fresc vívid de tota una societat i una època. «Un autor que va saber traslladar el batec exacte i complex de l'ésser humà i deixar testimoni d'un món exterminat per l'odi sense recórrer a la malenconia de saldo». J. C. Iglesias, El Periódico «No hi ha llibre de Singer que no mostri la qualitat d'un contador d'històries, d'un mestre de la creació de personatges i de la suggerent complexitat que resideix en el cor humà». José María Guelbenzu, Babelia

A Max basta vederla, quella Rashka appena quindicenne, per rimanerne abbagliato. E dire che finora tutto filava liscio: lui e la sua bella Flora, moglie e amica, complice e amante, sono tornati a Varsavia per procurarsi della «merce» per la loro fabbrica di borsette – in realtà, carne fresca per il florido bordello che gestiscono a Buenos Aires. Appena arrivati, si sono immersi, come un tempo, nel mondo di via Krochmalna, cuore pulsante del ghetto di Varsavia, sorta di corte dei miracoli, dove, all'inizio del Novecento, aleggia ancora un buon «odore di birra, mostarda, bagel caldi e pretzel» e trafficano i loro vecchi amici, gente come Meir Panna Acida, Leah Lingualunga, Itche il Guercio e Srulke il Tonto. Ma, come recita un antico detto yiddish, «dieci nemici non possono fare a un uomo il male che può fare a se stesso». E così sarà di Max Shpindler, un'altra delle indimenticabili figure della vasta commedia umana che Singer ha saputo mettere in scena: cinico e donnaiolo, in apparenza pienamente soddisfatto di sé e della propria ricchezza, pronto a finanziare un gruppo di anarchici se questo gli consente di far soldi, Max è in realtà tormentato da dubbi, e da domande a cui non trova risposta, e da tentazioni di morte – un tumulto che proprio l'incontro con l'irresistibile Rashka porterà con prepotenza alla luce. Dopo «Keyla la Rossa» e «Il ciarlatano», un terzo, strepitoso inedito del grande scrittore polacco.

Corre el año 1911 cuando Keyle, una prostituta judía, conoce al amor de su vida, Yarme, ex convicto. La joven pareja sueña con escapar de la miseria del gueto de Varsovia, donde viven bajo la constante amenaza de los pogromos, así que cuando Max, un viejo conocido, les ofrece participar en sus lucrativos negocios en Sudamérica, no lo dudan ni un momento. Pero Max también se siente atraído por Yarme, y surge un funesto triángulo amoroso que atormentará a Keyle tanto en las oscuras calles del gueto como en las avenidas de una gran ciudad estadounidense. En esta brillante novela, inédita en español, Singer retrata, con la maestría de Dickens o Dostoievski, los bajos fondos de la comunidad judía poblándolos del rico elenco de singulares personajes con los que crea un vívido fresco de toda una sociedad y una época. «La novela nos muestra a un Singer convencido de que salir del gueto psicológico es tan duro como escapar de las circunstancias adversas del origen. La idea de que el pasado siempre nos persigue está aquí en la entraña de la historia. Isaac Bashevis Singer es un consumado contador de historias y Keyle la Pelirroja es de esas novelas que consiguen mantenerse frescas, vivas y conmovedoras, pese al paso de los años». Lourdes Ventura, El Cultural «Padre fundador, es innegable que Singer inauguró la veta más fecunda, iluminadora, perversa, agresiva, inteligente, sutil y ambiciosa de ficción escrita en la segunda mitad del siglo XX. Keyle la Pelirroja se inscribe en el vitalismo amoral con el que el autor parece reescribir a Balzac en clave judía». Gonzalo Torné, La Lectura (El Mundo) «No hay libro de Singer que no muestre la calidad de un contador de historias, de un maestro de la creación de personajes y de la sugerente complejidad que reside en el corazón humano». José María Guelbenzu, Babelia (El País) «En sintonía con esta época tan especial entre el viejo y el nuevo mundo, la pluma de Isaac Bashevis Singer combina la ligereza y la violencia, el humor y la oscuridad, lo grotesco y lo sublime con una asombrosa naturalidad». Javier García Recio, La Opinión de Málaga «Un vivido retrato del gueto de Varsovia y de Nueva York como tierra de promisión, así como del avispero ideológico de comienzos del siglo XX». Iñigo Urrutia, El Diario Vasco «Como un elegante maestro de ceremonias, Singer ofrece en esta inquietante novela una mirada que, de alguna manera, va más allá del trasfondo político y muestra el corazón invisible del alma humana, intangible, oscura, tan oscura como los tiempos de guerra». Diego Gándara, La Razón «He aquí una historia colorida llena de fantasía, que forma parte de la tradición de los cuentos yidis tan queridos por el autor polaco. Una novela que hechiza por su aparente ligereza, pero a la vez tan cruda y tensa, teñida de cierta amargura». Javier García Recio, Abril (El Periódico) «Los buenos novelistas son eternos, y el judío polaco Isaac Bashevis Singer es uno de ellos. Por sus novelas no parece haber transcurrido el tiempo, y Keyle la Pelirroja es un buen ejemplo de esta permanente actualidad, porque Isaac Bashevis Singer huía de las explicaciones y se limitaba a los hechos, y los hechos nunca pierden vigencia». Fulgencio Argüelles, El Comercio «Singer analiza la compleja relación que tuvo con el judaísmo y hace que nos planteemos preguntas universales, como: ¿Dios existe? ¿Cuál es el sentido de la vida? ¿Qué valor tiene la moral y la ética?». David Valiente, Librújula

Isaac Bashevis Singer's Writings on Yiddish and Yiddishkayt: The War Years, 1939-1945, is the first major effort to fill the gap between the Nobel laureate's Yiddish and English oeuvre. Knowing that a whole world, a whole way of life, a whole cultural treasure bound up with Yiddish and Yiddishkayt--that they were all going up in flames before his very eyes--was crushing for Singer, driving him to put pen to paper and write. His wartime writing--appearing in an intensely urgent tone--sought to record not only the customs but also the immediacy of the loss that was taking place at that very moment.

Ci sono scrittori così affascinanti, ha notato Manganelli, che riescono a cambiarti l'umore: scrittori come Singer, capace di creare personaggi simili a «figure da affresco, pantografie, immagini proiettate sulle nubi». È la grandezza che qui sprigiona il seducente e contradditorio Hertz Grein, tormentato da un'insaziabile sete carnale – si divide infatti fra la virtuosa moglie Leah, la minacciosa amante Esther e Anna, il nuovo amore – e insieme dal richiamo di un'osservanza religiosa al cui rigore non sa sottomettersi, pur riconoscendo che si tratta di «una macchina da guerra per sconfiggere Satana». Hertz sa bene che un ebreo, per quanto creda di essersi allontanato da Dio, non potrà mai sfuggirgli: sta soltanto girando in tondo, «come una carovana persa nel deserto». Intorno a lui e ai suoi dissennati grovigli amorosi – in una New York che sul finire degli anni Quaranta, per chi giunge da Varsavia o Berlino, ha le irresistibili attrattive di un gigantesco arazzo visionario –, una folla di personaggi in vario modo straziati dalla vergogna di essere vivi: come Boris Makaver, il padre di Anna, occupato durante il giorno dai suoi lucrosi affari ma sopraffatto la notte da una sofferenza terribile quanto «un dolore fisico»; o come il professor Shrage, matematico convertitosi alla parapsicologia, che vive nella speranza di ritrovare la moglie Edzhe, trucidata dai nazisti. Tutti turbati dal silenzio di Dio o – per usare ancora le parole di Manganelli – investiti «della grandezza del sacro, e della sua sproporzione».

El recuento del viaje espiritual de un hombre de La mano de uno de los más grandes novelistas Yidis de la historia. Joseph Shapiro, judío polaco, huye de su país en 1939. Deambula por Europa y acaba en Rusia, en 1945, donde se reencuentra con Celia, una vieja amiga con quien se acaba casando. En 1947, el matrimonio emigra a Estados Unidos. Shapiro empieza una nueva vida y acaba ganando una fortuna con sus negocios inmobiliarios. No obstante, no se siente cómodo con los valores de la sociedad que lo ha acogido, en la que se paga a la idolatría de todo género y parece que se desprecie la verdad. Como consecuencia de su malestar, inicia una incansable búsqueda de sí mismo y de las raíces de su cultura y su familia que, finalmente, lo llevará a establecerse en Israel.

Descubierto en 2018 por The New Yorker, este relato maravilloso describe sin complejos el destino, los traumas y las actitudes de los supervivientes del Holocausto. Reb Berish experimentó las dificultades de un inmigrante con una carretilla en el Lower East Side. Sobrevivió e incluso se retiró con una pequeña pensión, pero no'triunfó'en Estados Unidos como otros judíos de su generación. Morris Melnik, por otro lado, vivió una trayectoria histórica completamente diferente. Llegó a Estados Unidos en la era posterior a la Segunda Guerra Mundial, roto, sin esperanzas ni sueños, habiendo perdido a todos los que estaban cerca de él y experimentado las expresiones más bajas de la vida humana en la Tierra.

Formidabile personaggio Yasha Mazur, so­prannominato il Mago di Lublino: illusionista, saltimbanco, ipnotizzatore, capace di liberarsi da qualunque corda e di aprire qualunque serratura – ma anche minaccia­to dalla noia, malato di irrequietezza, sem­pre affamato di «nuovi trucchi e nuovi a­mori». E, come altre figure magistralmen­te tratteggiate da Singer, combattuto fra insaziabili appetiti carnali e nostalgia de­gli antichi riti della sua religione. Di don­ne, oltre alla moglie che lo aspetta pazien­temente nella casa di Lublino, Yasha ne ha almeno tre o quattro, e di una di loro, una vedova cattolica, è innamorato al punto di volersi convertire per sposarla (ma gli pia­ce parecchio anche la figlia: certo, ha solo quattordici anni, ma basta che cresca un po'...). Con lei vorrebbe partire per l'Ita­lia, che in questo scorcio del diciannovesi­mo secolo sembra potergli offrire tutte le opportunità che non avrà mai nel suo pae­se. E tuttavia non sa decidersi, i dubbi lo tormentano «come uno sciame di locu­ste». Finché un giorno non accadrà qualcosa – qualcosa di terribile – che indurrà il Mago di Lublino a intraprendere un cam­mino che non avrebbe mai immaginato di percorrere.

Appena arrivati a New York, nei primi anni della guerra, gli ebrei polacchi dicono tutti la stessa cosa: «L'America non fa per me». Ma poi, a poco a poco, la maggior parte di loro in qualche modo si sistema, «e non peggio che a Varsavia». Non così il protagonista di questo romanzo, Hertz Minsker, che gira a vuoto, si barcamena, vive alle spalle degli amici ricchi, o delle donne che riesce a sedurre. Di queste ultime Minsker non può fare a meno: le avventure amorose sono «il suo oppio, le sue carte, il suo whisky», ogni giorno deve portare «nuovi giochi, nuovi drammi, nuove tragedie, nuove commedie». Minsker – che pure è un erudito, è stato in relazione con Freud, può recitare «poesie in greco e in latino», conosce il Talmud – lavora a un libro da quarant'anni, «ma non ha nemmeno finito il primo capitolo», e sembra capace solo di cacciarsi nei guai. In genere, però, le catastrofi che provoca, a se stesso e a chi gli sta intorno, si risolvono in una strepitosa commedia – una commedia alla Lubitsch, con mariti traditi, amanti imbufalite, sedute spiritiche fasulle, crisi di nervi, mercanti di quadri falsi, audaci e fumose teorie edonistico-cabalistiche... Anche qui, come sempre in Singer, il comico e il grottesco si intrecciano mirabilmente con un pathos lacerante.

«Bashevis comienza esta novela con una ironía desconcertante:'Yo fui educado en tres lenguas muertas: hebreo, arameo y yiddish'. Esta irónica oración funciona como una invocación de los muertos que hablaron yiddish en Polonia. Nos invita a una sesión espiritista para escuchar sus voces; Shosha es un hechizo más que una novela» The Guardian A decir del propio autor, este'es un relato en el que se presentan unos cuantos personajes singulares en circunstancias singulares'. Uno de ellos es Tsutsik, quien está ligado sentimentalmente a cuatro mujeres: Betty, una talentosa actriz; Celia, una mujer casada y adinerada; Tekla, la muchacha campesina que asea su departamento; y Dora, la marxista, un peligro y una antigua pasión. Hasta que un día se reencuentra con su compañera de juegos de infancia, Shosha, una joven aún inocente que lo regresa a su pasado.

Alle soglie del 1666 si diffuse in Polonia la notizia che per gli ebrei la fine dell'Esilio era imminente: un uomo chiamato Shabbatay Tzevi si era rivelato come il Messia, e presto una «nuvola sarebbe apparsa e li avrebbe portati tutti in Terra Santa». I segni non erano mancati: nel decennio precedente i cosacchi dell'atamano ucraino Chmel'nitskij avevano massacrato quasi centomila ebrei, «scorticando vivi gli uomini, sgozzando i bambini, violando le donne per poi squarciarne i ventri e cucirvi dentro gatti vivi». Ma quegli orrori non erano altro se non «le doglie che annunciavano la nascita del Messia». Per accelerare la liberazione – così dicevano gli emissari di Shabbatay Tzevi – bisognava immergersi nell'oscurità del peccato: solo la discesa agli inferi avrebbe consentito l'ascesa delle anime, e la perfetta redenzione. Anche gli abitanti di Goraj, «la città nascosta tra le colline in capo al mondo», si abbandonano dunque all'idolatria e alla licenza, infrangendo ogni legge. Ma la sciagura si abbatte su di loro: dopo aver giaciuto, benché sposata, con il capo dei sabbatiani, Rechele la profetessa viene posseduta da un dybbuk, e finisce per essere ingravidata da Satana, mentre la disperazione stringe in una morsa la città, stremata dalla carestia. Perché a Goraj «vi sia contentezza» bisognerà che le forze demoniache vengano scacciate, e il nome dell'Onnipotente sia di nuovo santificato. «Che meraviglioso, meraviglioso mondo,» ha scritto Henry Miller «un mondo bello e terribile, quello di Isaac Bashevis Singer, benedetto sia il suo nome!».

«El esclavo es un libro abrasadoramente radiante, intensamente hermoso. Singer responde a su época como un profeta» Ted Hughes Cientos de comunidades judías han sido destruidas por los cosacos ucranianos en Polonia del siglo XVII. Jacob, un hombre culto y piadoso, habitante de la ciudad de Josefov, huye de las matanzas, pero es apresado por unos bandoleros y luego vendido como esclavo a un granjero en un pueblo enclavado en las montañas. Es allí, ya convertido en un mozo de establo, donde conoce a Wanda, la hija de su amo, de quien se enamora perdidamente. Pero las leyes de la época, tanto las de los polacos como las de los judíos, impiden el amor de ambos y también su casamiento. El esclavo es una asombrosa novela que retrata con vehemencia las tribulaciones de un hombre que busca escapar de las toscas ataduras que lo sujetan.

El primer libro de relatos de Isaac Bashevis Singer, Premio Nobel de Literatura. La primera colección de relatos de Isaac Bashevis Singer, Gimpel, el tonto, es un hito en la literatura universal que ganó el aplauso unánime de la crítica desde su publicación en 1957. La historia que da título a este volumen nos acerca a las proezas de Gimpel, un ingenuo panadero que es sistemáticamente engañado por su comunidad pero se niega a tomar represalias contra sus victimarios. Los protagonistas que desfilan por estas páginas dan vida al prodigioso universo creado por la prosa inigualable de su autor. La crítica ha dicho... «Cuando leí por vez primera Gimpel, el tonto tuve la certeza de estar frente a un relato profundamente ingenioso y hermoso, que me permitía adentrarme en todas las capas de la historia como lo haría un arqueólogo en el campo. Es la integridad de la imaginación humana lo que Singer transmite con tantísima belleza» Alfred Kazin

Una antología de cuarenta y siete relatos seleccionados por el autor, el gran representante de la literatura yiddish, que incluye sus cuentos más célebres:'Gimpel, el tonto','El Spinoza de la calle Mercado'y'Un amigo de Kafka', entre otros. Los cuarenta y siete relatos de la presente antología, seleccionados por el propio Bashevis Singer entre un total de casi ciento cincuenta, comprenden los incluidos en la primera y ahora clásica recopilación'Gimpel, el tonto', de 1957, más los publicados hasta 1981. Dentro de esta antología se hallan cuentos sobrenaturales como'Táibele y su demonio'y'El violinista muerto'; estampas realistas de la vida en Varsovia y en los shtétlej de la Europa del Este, como los clásicos «Un amigo de Kafka» y «El Spinoza de la calle del mercado»; así como «Viejo amor» y «El reencuentro», que nos hablan de los judíos desplazados desde aquel viejo mundo al nuevo, desde el East Side de Nueva York a California y Miami. Isaac Bashevis Singer nació en Polonia en 1904, y sus inolvidables relatos dan cuenta de los mitos y la cosmovisión de una cultura que fue aniquilada durante la Segunda Guerra Mundial. Estas páginas transcurren en un universo sobrenatural, salvaje, entrañable a la vez que perturbador, que se nutre tanto de la tradición oral de la vida de las comunidades judías de la Polonia rural en los años previos al estallido de la guerra, como de las más oscuras obsesiones y preocupaciones de la mente prodigiosa de su autor. «Singer fue un humorista versado en la tragedia, un cronista posterior al Holocausto que a menudo escribía como si el exterminio no hubiera tenido lugar, un escritor judío en guerra con la cultura judía que él conmemoraba y, lo más notable de todo, un maestro yiddish que se convirtió en uno de los grandes escritores estadounidenses del siglo XX.» Jonathan Rosen

«Escrito hermosamente por uno de los más grandes exponentes de la prosa yiddish, Satán en Goray es folclor transmutado en literatura» The New York Times El año designado por los cabalistas como el de'el fin de los tiempos'ha llegado, avivando las esperanzas judaicas en el advenimiento de su mesías. Y el redentor de los dispersos hijos de Israel aparece en Goray, una pequeña ciudad situada en la provincia de Lublin. Su nombre es Sabbatai Zevi, a quien todos se preparan para seguir sin reservas, abandonando sus hogares en el destierro, hasta que las dudas son más grandes que la fe y el temor a la muerte, más grande que el anhelo de la salvación. Satán en Goray es un retrato soberbio de la tradición del mesianismo judío, emparentada por su grandeza con historias como la de El golem, de Gustav Meyrink.

Una sofisticada historia sobre el sexo como obsesión. El mago de Lublin se ha coronado con el tiempo como la novela más importante de la literatura yiddish. Su protagonista, Yasha Mazur, un polaco medio judío y medio pagano, realiza actos de magia, acrobacia y escapismo a lo largo de la Polonia del este. Y mientras él va recorriendo los poblados, tendiendo entre la libertad y la amoralidad una simple soga que cruza cual equilibrista, su esposa, judía practicante, lo espera en casa sin creer en las habladurías que dan cuenta de la doble vida de Yasha. Pero no hay magia que resista el deterioro de la ilusión ni hombre al que no le toque la hora de luchar contra sí mismo. El mago de Lublin es un extraordinario relato sobre la eterna, y casi siempre sinuosa, búsqueda de la divinidad.'Hace cuarenta años elegí como inspirador a Knut Hamsun; si tuviese hoy que volver a empezar, tomaría como inspiración a Singer. Todo lo que hace es perfecto'Henry Miller

Non era affatto sicuro, Singer, di voler pubblicare questo romanzo in una lingua che non fosse lo yiddish: perché dentro ci sono cose che esitava a mettere sotto gli occhi dei lettori americani, e del resto del mondo. C'è, per esempio, il «lato oscuro» di quella via Krochmalna da lui resa un luogo letterariamente mitico, dove viveva, in condizioni di estrema miseria, la comunità ebraica di Varsavia (e la sua stessa famiglia): i bassifondi, i bordelli, i covi dei ladri, dei ricattatori e dei magnaccia; e un accenno a un argomento tabù: il traffico, a opera di malavitosi ebrei, di ragazze giovanissime, che dagli shtetl dell'Europa orientale venivano mandate a prostituirsi in Sudamerica; e, come se non bastasse, un ebreo che va a letto sia con gli uomini che con le donne: atto ignominioso, inammissibile. Ma tutto questo, per noi lettori di oggi, passa in secondo piano rispetto al nucleo incandescente del romanzo, che è una doppia storia di amour fou: quella tra Keyla la Rossa, una irresistibile puttana quasi trentenne, e suo marito Yarme, un seducente avanzo di galera; e quella, ancora più straziante e furibonda, tra la stessa Keyla e Bunem, il figlio diciannovenne di un rabbino, che con lei riuscirà a raggiungere l'America, la terra di tutte le speranze e di tutte le disillusioni. Sullo sfondo, la vita brulicante, ardente, odorante e maleodorante di via Krochmalna, prima, e poi delle miserabili strade di New York dove vivevano gli emigrati all'inizio del secolo scorso: affreschi possenti, che non a caso molti hanno accostato a quelli ottocenteschi di Dickens e Dostoevskij.