Introduzione Gli adolescenti e i giovani adulti rappresentano una fascia di popolazione particolarmente importante per l’epidemiologia delle malattie invasive meningococciche. Infatti, un numero significativo di casi si registra in questa fascia d’età. Inoltre, in alcuni casi, negli adolescenti, i sintomi della patologia meningococcica sono riconosciuti tardivamente, con conseguente ritardo del trattamento e allungamento dei tempi del ricovero ospedaliero. La gamma degli esiti fisici e psicologici che seguono una patologia invasiva da meningococco negli adolescenti e nei giovani adulti è molto ampia e severa. Tra i pazienti non-anziani (< 65 anni) il tasso di letalità è più alto nei soggetti di età compresa fra i 15 e i 24 anni. Inoltre, i giovani adulti presentano i più alti tassi di stato di portatore di N. meningitidis, favoriti dai tipici comportamenti degli adolescenti e dei giovani adulti, con conseguente diffusione dell’infezione alla popolazione. Nonostante l’incidenza della malattia da meningococco non sia particolarmente elevata, la rilevante morbosità e mortalità negli adolescenti e nei giovani adulti sono a sostegno del razionale di adozione della vaccinazione anti-meningococcica in età adolescenziale. Per questo, la vaccinazione anti-meningococco C o ACYW135 è già prevista nel Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale (PNPV) 2017-2019. Per la vaccinazione anti-meningococco B negli adolescenti non è prevista attualmente nessuna raccomandazione a livello nazionale ma è auspicata una valutazione per la sua introduzione in futuro [1]. Il meningococco B risulta il sierogruppo identificato con maggiore frequenza in Italia, rappresentando circa il 36% dei casi di malattia invasiva da N. meningitidis nel periodo 2011-2017, nonostante un’inversione di tendenza a favore del meningococco C nel 2015-2016 e la crescita delle percentuali di casi attribuiti ad altri sierogruppi. Secondo la sorveglianza nazionale delle malattie invasive batteriche, coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), il meningococco B è responsabile di circa 62 casi di patologia invasiva all’anno nella popolazione generale, di cui 3 casi nella fascia 10-14 anni e 11 casi nella fascia 15-24 anni. Un nuovo vaccino anti-meningococco B (Trumenba®-Pfizer) è stato recentemente approvato per la prevenzione della malattia in soggetti d’età ≥ 10 anni. È un vaccino ricombinante, con aggiunta di una componente lipidica (con effetto adiuvante). Contiene due varianti delle sottofamiglie A e B della proteina legante il fattore H del complemento (fHBP). Il 96% dei ceppi di meningococco B circolanti in USA ed Europa esprimono una variante appartenente ad una delle due sottofamiglie di fHBP. Il vaccino, utilizzato con uno schema a tre dosi o due dosi, si è dimostrato immunogeno e capace di fornire una robusta risposta battericida contro le varianti eterologhe maggiormente prevalenti. La schedula a due dosi è raccomandata nella popolazione sana [2]. Lo schema a tre dosi rimane preferibile nelle situazioni di rischio epidemiologico e clinico. Il vaccino è co-somministrabile con tutti i principali vaccini utilizzati nell’età adolescenziale. L’estensione di un programma di vaccinazione anti-meningococco B per gli adolescenti potrebbe, quindi, essere presto valutata dai decision makers e stakeholders in Italia. In questo contesto, uno specifico report di Health Technology Assessment (HTA) eseguito da esperti in vaccinazione, economia sanitaria e HTA applicati ai programmi di immunizzazione potrebbe essere di grande utilità. Infatti, l’HTA è riconosciuto come l’approccio migliore per valutare l’introduzione di nuove vaccinazioni o nuove strategie vaccinali nei programmi di prevenzione [1, 3, 4]. Vista la crescente disponibilità di nuovi vaccini e l’ampliamento delle indicazioni di alcuni vaccini già disponibili, per poter compiere scelte adeguate che permettano di razionalizzare le limitate risorse disponibili per il Servizio Sanitario Nazionale e Regionale e massimizzare i risultati sanitari, è importante definire e utilizzare criteri chiari, solidi e condivisi per guidare i processi decisionali. L’HTA è l’approccio che meglio persegue questi criteri, come previsto dall’OMS [4] e dal PNPV 2017-2019 [1]. Secondo l’approccio HTA in ambito vaccinale l’epidemiologia delle infezioni e delle conseguenti malattie, il disease burden, gli interventi preventivi e terapeutici disponibili, l’efficacia e la sicurezza dei vaccini disponibili, le valutazioni economiche, gli aspetti etici, legali, sociali e organizzativi legati all’adozione della vaccinazione sono argomenti che dovrebbero essere valutati prima dell’introduzione di ogni nuovo vaccino o strategia vaccinale [5]. L’HTA prevede, pertanto, la raccolta e l’esame critico delle evidenze scientifiche disponibili per effettuare una valutazione completa del possibile impatto dell’introduzione del nuovo vaccino o della nuova strategia di vaccinazione. Pertanto, in considerazione della indicazione del PNPV 2017-2019 [1] sulla necessità di una futura valutazione dell’estensione della vaccinazione anti-meningococcica B alla fascia adolescenziale e nell’ottica del prossimo aggiornamento di tale documento, è stato condotto il presente report di HTA con lo specifico obiettivo di valutare la vaccinazione anti-meningococco B negli adolescenti (12° anno di vita) con il vaccino Trumenba®. È stata effettuata una revisione approfondita della letteratura scientifica a livello nazionale e internazionale, come previsto dai principali domini indicati da EUnetHTA [6] sull’epidemiologia della malattia meningococcica; sul disease burden della patologia invasiva con particolare riferimento all’impatto clinico ed economico delle sequelae; sull’immunogenicità, efficacia e sicurezza del vaccino Trumenba®; sulle attuali misure preventive adottate contro l’infezione meningococcica per gli adolescenti e sull’impatto organizzativo che tale vaccinazione può avere sui sistemi sanitari regionali. Non meno importante è la valutazione etica. Infine, è stata condotta una valutazione economica con lo sviluppo di un modello di Markov statico di costo-efficacia per valutare la strategia “vaccinazione” versus la strategia “non vaccinazione”., La malattia da Neisseria meningitidis La meningite, infiammazione delle membrane che avvolgono il sistema nervoso centrale, è generalmente di origine infettiva (batterica, virale o fungina). I principali organismi responsabili della meningite batterica sono: Neisseria meningitidis (meningococco), Streptococcus pneumoniae ed Haemophilus influenzae. Questi batteri sono anche associati ad altre gravi forme di infezioni sistemiche, tra cui la sepsi. N. meningitidis è un batterio che viene acquisito per via aerea ed è ospite delle prime vie respiratorie, anche nella popolazione sana. La prevalenza di portatori sani (chi ospita il batterio nel rinofaringe e può, quindi, essere fonte di contagio) varia con l’età, dal 4-5% nei bambini fino ad un picco sopra al 20% attorno ai vent’anni, per poi calare nuovamente con l’età [1]. Un recente studio condotto a Milano mostra una percentuale di portatori sani nella popolazione adolescente di età compresa tra 14 e 21 anni pari al 5,3% [2]. Sebbene esistano dei fattori di rischio predisponenti alla malattia (es. diabete, immunodeficienza, alcuni polimorfismi genetici, etc.), è la popolazione sana, soprattutto bambini e giovani adulti, ad essere principalmente colpita dalle malattie invasive (meningiti, batteriemie, polmoniti batteriemiche e altri quadri clinici) causate principalmente da cinque sierogruppi del batterio (A, B, C, W, Y). I sintomi sono inizialmente aspecifici (febbre, cefalea, inappetenza), mentre col progredire della malattia compaiono segni più specifici (rigidità nucale e altri segni di irritazione meningea). La malattia ha un rapido decorso (ore-giorni) con frequenti complicanze (tra cui setticemia, shock settico, coma) e sequele invalidanti (disabilità neurologica, sordità, amputazione di arti, cicatrici deturpanti, ecc., vedi capitolo 3). Secondo un recente studio italiano, nella popolazione pediatrica circa il 13% dei casi decede [3]. Per questi motivi è necessaria una diagnosi precoce che permetta di impostare quanto prima un’adeguata terapia antibiotica con antibiotici ad ampio spettro come cefalosporine di terza generazione o vancomicina. La tecnica standard per la diagnosi di meningite batterica è la coltura del liquido cerebrospinale, importante anche per verificare la suscettibilità del ceppo batterico agli antibiotici. Questo esame ha però scarsa sensibilità, richiede tempi lunghi e la somministrazione di antibiotici al paziente può alterarne il risultato. Negli ultimi anni la metodica real-time PCR si è dimostrata più sensibile rispetto alla coltura del liquido cerebrospinale, tanto che il suo utilizzo risulta aumentare il tasso di diagnosi di malattia batterica invasiva da meningococco fino a 3 volte [4]. Sistema di sorveglianza delle malattie invasive da meningococco in Italia Le malattie batteriche invasive, in generale, sono caratterizzate da un’elevata frequenza di gravi complicanze e, dal punto di vista clinico, presentano una sintomatologia scarsamente specifica per singolo agente eziologico. L’accertamento della loro eziologia è di estrema importanza, non solo ai fini terapeutici, ma anche per gli aspetti relativi alla prevenzione (eventuale profilassi dei contatti, strategie vaccinali). In Italia la sorveglianza delle malattie batteriche invasive è coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) [5] e richiede la segnalazione di tutti i casi di malattie invasive batteriche causate da N. meningitidis, Streptococcus pneumoniae ed Haemophilus influenzae. Sono inclusi nella sorveglianza i casi diagnosticati in Italia, in persone presenti sul territorio nazionale indipendentemente dalla loro nazionalità, residenza o domicilio. Gli obiettivi del sistema di sorveglianza sono quelli di monitorare l’andamento dei casi per agente patogeno, sierogruppo, regione e fascia di età, di valutare i casi di antibiotico-resistenza e quelli di fallimento vaccinale e di replacement vaccinale. Per quanto riguarda le malattie invasive da meningococco, sono sotto sorveglianza solamente i casi con conferma microbiologica che rispondono alle definizioni di caso adottate dalla Commissione Europea [6], ovvero un qualsiasi caso confermato dall’isolamento di N. meningitidis da un sito normalmente sterile o da lesioni cutanee purpuriche; dal rilevamento della presenza di acido nucleico di N. meningitidis in un sito normalmente sterile o in lesioni cutanee purpuriche; dal rilevamento di antigeni di N. meningitidis nel liquido cerebrospinale; dal rilevamento di diplococchi Gram-negativi nel liquido cerebrospinale mediante microscopia. Ogni caso di malattia batterica invasiva, secondo le definizioni di caso sopraelencate, è segnalato dal sanitario che pone diagnosi tramite una specifica scheda di segnalazione al Servizio di Igiene Pubblica competente. La ASL competente verifica la completezza dei dati ed effettua la registrazione del caso sulla piattaforma informatizzata delle Malattie Batteriche Invasive (MaBI). Allo stesso tempo, il sanitario o la struttura che ha osservato e notificato il caso provvede alla raccolta e all’invio del ceppo isolato e/o del campione clinico in caso di esame colturale negativo per la conferma di laboratorio a un Laboratorio di riferimento Regionale e/o al Laboratorio di riferimento Nazionale presso l’ISS, i quali provvedono ad integrare le informazioni inserite dalla ASL nella piattaforma MaBI. Il dato viene poi caricato, assieme a quello degli altri stati europei, sul sistema informativo europeo The European Surveillance System (TESSy) [7]. Incidenza delle malattie invasive da meningococco La malattia meningococcica si presenta in forma epidemica ed endemica, quest’ultima ad andamento stagionale con la maggior parte dei casi segnalata nei mesi invernali. Nel panorama europeo, l’Italia è tra i paesi con il tasso di notifica più basso [8], probabilmente per il sottoutilizzo di metodiche di real-time PCR [4]. Con un tasso di notifica medio europeo compreso tra 0,5 e 0,7 casi ogni 100.000 abitanti tra il 2011 e il 2016, l’Italia si colloca al di sotto della media, con tassi compresi tra 0,2 e 0,4 casi ogni 100.000 abitanti nello stesso periodo [9] (Tab. I). In particolare, in Italia il trend annuale d’incidenza della malattia da meningococco nel periodo 1996-2017, riportato in tabella 2, mostra un’incidenza media di 0,35 casi ogni 100.000 abitanti (minima 0,22 nel 2006 e massima nel 2005 con 0,61 casi ogni 100.000 abitanti), con una media di circa 200 casi notificati all’anno [10, 11] (Tab. II). Si osservano importanti differenze di incidenza tra le Regioni italiane [10], verosimilmente attribuibili a fenomeni di sotto-notifica e/o di sotto-diagnosi in alcune aree del Paese (Tab. III). Fino al 2014 alcune Regioni italiane mostravano tassi di notifica più alti (Emilia Romagna, Friuli-Venezia-Giulia, Lombardia, PA Trento, PA Bolzano, Piemonte, Veneto), ma dal 2015, a causa del peso dei casi notificati in Toscana, regione in cui si è verificata una epidemia di meningococco C e in cui si utilizza sistematicamente la real-time PCR per la diagnosi, la situazione si è invertita: l’incidenza nella popolazione italiana ha superato quella delle sette regioni che storicamente avevano il tasso di notifica più alto, come mostra la Tabella IV [12]. La Figura 1 [10] mostra che sia nella fascia d’età tra i 10 ed i 14 anni (media di 0,39 casi ogni 100.000 nel periodo 2011-2017) sia nella fascia tra i 15 ed i 24 anni (0,54 casi ogni 100.000) si ha generalmente un’incidenza maggiore di malattia invasiva da meningococco rispetto all’incidenza complessiva (0,29 casi ogni 100.000) [10]. Tale dato è confermato anche a livello europeo, dove le categorie a più alta incidenza sono, nell’ordine, < 1 anno, 1-4 anni, 15-24 anni, 10-14 anni per il periodo 2015-2016 [9]. È importante sottolineare che negli anni il sistema di notifica è diventato più sensibile: infatti, la mancata identificazione dell’agente eziologico (meningococco, pneumococco o Haemophilus influenzae) in caso di sospetta malattia invasiva batterica è stata pari all’1% nel 2016, < 3% del 2015 e < 6% del 2014. Incidenza delle malattie invasive da meningococco B Il meningococco B risulta il sierogruppo identificato con maggiore frequenza nella maggior parte degli anni dal 2011 al 2017 in Italia [10], sia negli adolescenti che in tutte le fasce d’età sebbene la quota di meningococco B si riduca generalmente con l’aumentare dell’età, come riportato in Tabella V. Mediamente, nel periodo considerato (2011-2017), circa il 36% delle malattie batteriche invasive da meningococco era causato dal sierogruppo B, responsabile di circa 62 casi all’anno nella popolazione generale, di cui 3 casi nella fascia 10-14 anni e 11 casi nella fascia 15-24 anni. Sempre nello stesso periodo, la percentuale media di casi di meningococco B, sul totale dei casi di malattia batterica invasiva da meningococco, era simile nella popolazione generale e nella fascia d’età 15-24 anni (circa 32%), mentre nella fascia d’età 10-14 anni era mediamente più bassa (circa 28%). I dati europei mostrano generalmente percentuali più alte di casi attribuibili a meningococco B, specialmente nelle fasce sotto i 25 anni, dove questo sierogruppo superava il 50% dei casi, sia nel 2015 che nel 2016 [9]. Negli anni 2015-2016 si è avuta in Italia una inversione di tendenza delle malattie meningococciche a favore del meningococco C, probabilmente dovuta ai casi registrati in quegli anni durante l’epidemia in Toscana, regione in cui è utilizzata sistematicamente la metodica real-time PCR per la diagnosi [13]. Questa inversione di tendenza non si è, infatti, verificata in Europa, secondo i dati ECDC [9]. In Italia, nel 2017, si è registrata una nuova inversione di tendenza a favore del ceppo B. Negli ultimi anni si registra una crescita delle percentuali di casi di malattia meningococcica attribuiti ad altri sierogruppi, in particolare W e Y, sia nella popolazione generale che tra gli adolescenti. Circa il 17% dei casi di N. meningitidis nella popolazione generale sono oggi legati a ceppi non-B-non-C. Tale dato è in linea con quanto accade negli altri Paesi europei [9]. La Figura 2 riporta il tasso di incidenza di malattia batterica invasiva da meningococco B in Italia, per fascia di età. Non si evidenziano rilevanti differenze d’incidenza tra la popolazione generale e la fascia 10-14 anni (0,11 casi ogni 100.000). Questo può essere spiegato dal fatto che l’incidenza nella popolazione generale è data dalla media delle incidenze molto alte nelle fasce di età giovanissime e incidenze più basse nei più anziani. È anche importante considerare l’alta percentuale di casi attribuiti ad altri sierogruppi in questa fascia d’età. L’incidenza di malattia batterica invasiva da meningococco B nella fascia 15-24 anni è invece più alta (0,18 casi ogni 100.000). Sommando all’incidenza di malattia invasiva da meningococco B anche una quota di casi non tipizzati pari alla percentuale di casi B tra i tipizzati, otteniamo incidenze di 0,12 casi per 100.000 abitanti nella popolazione generale e nella fascia 10-14 anni, mentre l’incidenza sale a 0,21 casi per 100.000 abitanti nella fascia 15-24 anni. Infine, applicando un fattore correttivo di 3,28 [4] relativo alla sottostima dovuta alla diagnosi con metodiche colturali, si otterrebbe un’incidenza pari a 0,40 casi su 100.000 abitanti per la popolazione generale, 0,41 casi su 100.000 per la popolazione in fascia 10-14 anni e 0,69 casi su 100.000 per la fascia 15-24 anni. Portatori sani e fattori di rischio La principale fonte di malattia sono i portatori sani, infatti i casi secondari, che si verificano dal contagio con un soggetto malato, sono pochissimi. Occorre considerare che la massima prevalenza di portatori sani di meningococco si verifica negli adolescenti e nei giovani adulti, con un picco di prevalenza attorno ai 20 anni [1]. Una recentissima metanalisi riporta che in Europa, la prevalenza complessiva dei portatori risulta variabile nei vari Paesi, in particolare si va dal 5,3% negli italiani di 14-21 anni al 61,9% degli studenti universitari inglesi. I sierogruppi B, Y e “altro tipo” sono i più importanti nella maggior parte dei Paesi della regione europea. Inoltre, i soggetti di 18-24 anni risultano essere più frequentemente portatori dei soggetti di 11-17 anni e i sierogruppi gruppi B (5,0%, IC al 95% dal 3,0% al 7,5%), Y (3,9%, IC al 95% dall’1,3% al 7,8 %) e “altri” (6,4%, IC 95% da 3,1% a 10,8%) sono i sierogruppi più comunemente presenti nella fascia di età più avanzata [14]. Poiché i portatori sono una importante fonte di infezione per la popolazione, non a caso, sono descritte sia a livello italiano che internazionale epidemie da meningococco B, tra gli adolescenti e i giovani, in particolare in contesti di forte aggregazione sociale (scuole, università) [15]. In Italia, ad esempio, in Sardegna, all’inizio del 2018, si sono verificati sette casi di meningite da N. meningitidis di tipo B provocati da un ceppo particolarmente virulento in soggetti che avevano frequentato una discoteca [16] (Tab. V). Conclusioni L’Italia è tra i Paesi con tasso di notifica di malattie da meningococco tra i più bassi in Europa, con importanti differenze di incidenza tra le diverse Regioni. Tali dati sono influenzati da una sottostima legata principalmente alle tecniche diagnostiche utilizzate. Il meningococco B risulta il sierogruppo identificato con maggiore frequenza dal Sistema di Sorveglianza delle Malattie Invasive Batteriche ed è responsabile di circa 62 casi all’anno nella popolazione generale (36%), di cui 3 casi nella fascia 10-14 anni (28%) e 11 casi nella fascia 15-24 anni (32%). Considerando la sottostima diagnostica, la reale incidenza può essere stimata in circa 3 volte superiore rispetto al dato ufficialmente registrato. Tuttavia, sebbene l’incidenza della malattia non sia particolarmente alta, è da sottolineare da un lato che si tratta di una patologia grave e spesso letale, dall’altro che negli adolescenti vi è un’elevata prevalenza di portatori sani del batterio, che sono fonte di contagio per altri, specialmente in contesti di aggregazione sociale, come testimoniano epidemie verificatesi sia a livello nazionale che internazionale., Introduzione La Neisseria meningitis è un batterio Gram-negativo, aerobio, che infetta esclusivamente la specie umana ed è la principale causa di malattia batterica invasiva nel mondo [1]. La trasmissione del microrganismo avviene per via aerea principalmente per contatto diretto o tramite secrezioni respiratorie. Usualmente il microrganismo risiede nella mucosa naso-faringea dove è tra i batteri commensali. Infatti, esiste per il meningococco lo stato di portatore asintomatico [2, 3]. Solo occasionalmente il microrganismo causa malattia invasiva, e il maggior rischio è associato al primo episodio di infezione [4, 5]. L’incidenza della malattia invasiva da meningococco è molto variabile in base alla zona geografica, al tempo e all’età [6]. Dei 13 sierogruppi attualmente conosciuti solo 6 sono in grado di provocare malattia invasiva (A, B, C, W-135, Y e X) [5, 6] e la distribuzione dei sierogruppi varia nelle diverse aree geografiche [6-8]. Generalmente i meningococchi patogeni sono circondati da una capsula di natura polisaccaridica, principale fattore di virulenza del patogeno e responsabile della sua complessa variabilità antigenica [7-9]. Sebbene la malattia sia rara nei Paesi sviluppati, essa determina un elevato impatto clinico, sociale ed economico dovuto alla sua alta letalità (8-15%) [9-12] (in caso di sepsi il tasso di letalità può raggiungere il 40%) [9] e al gran numero di soggetti che sopravvivono con sequele transitorie e/o permanenti (fino al 60%) [10]. Inoltre, molti soggetti sopravvissuti presentano sequele permanenti multiple: es. amputazioni e ritardo mentale, sordità e ritardo mentale, deficit motori e disturbi del linguaggio che influiscono pesantemente sulla loro qualità di vita e dei familiari [10, 11]. In questo capitolo è analizzato il burden della malattia meningococcica con riferimento alla fase acuta, alla letalità e alle complicanze. Inoltre, è valutato anche l’impatto sociale della malattia associato principalmente alle gravi complicanze che causano anche notevoli danni economici a carico di altri comparti dello Stato (es. educazione speciale, pensione di inabilità, assegno di invalidità e indennità di accompagnamento) e dell’intera società (perdita di produttività del paziente e del caregiver). Clinica della malattia invasiva meningococcica (esiti, fase acuta, diagnosi e terapia) La malattia invasiva meningococcica è caratterizzata da un’evoluzione rapida e, talvolta, difficile da diagnosticare. I sintomi iniziali non sono specifici e spesso mimano i sintomi influenzali come febbre, mal di gola e malessere generale [9, 13]. La malattia invasiva meningococcica presenta un’incubazione variabile da 1 a 14 giorni [13] e può presentare diversi quadri clinici: il più comune è la meningite che si verifica in seguito a disseminazione ematogena del meningococco. L’esordio dei sintomi specifici di meningite avviene in media dopo 12-15 ore dall’insorgenza della malattia, mentre i sintomi tardivi come perdita di coscienza, convulsioni e delirio avvengono in media dopo 15 ore negli infanti e 24 ore nei bambini più grandi. Uno studio di Thompson et al. ha evidenziato che alcuni sintomi precoci nei bambini e negli adolescenti compaiono già nelle prime 12 ore e sono dolore alle gambe, mani fredde e colore della pelle insolito [14]. La presentazione clinica della meningite meningococcica è simile alle forme di meningite purulenta: febbre a rapida insorgenza, cefalea, rigidità nucale, nausea, vomito, fotofobia e stato mentale alterato. La sepsi meningococcica (o meningococcemia) si presenta nel 5-20% dei pazienti ed è caratterizzata da febbre a rapida insorgenza, petecchie, rash purpurico, spesso associata ai segni tipici dello shock con ipotensione, emorragia surrenale acuta e insufficienza multiorgano [9]. Le manifestazioni cliniche meno frequenti sono polmonite (5-15%), artrite (2%), otite media (1%) ed epiglottite (< 1%) [9]. L’ultimo report italiano del sistema di sorveglianza delle malattie invasive batteriche [15] riporta che, nel periodo 2015-2017, la presentazione clinica più frequente della patologia meningococcica era la meningite (tra il 39% e il 45% dei casi) seguita da sepsi/batteriemia non associata ad altro quadro clinico (tra il 25% e il 30% dei casi) e da meningite associata a sepsi/batteriemia (tra il 23% e il 30% dei casi). Altri quadri clinici erano rari [15]. I dati suddivisi per fasce d’età riportano che negli adolescenti il quadro clinico più frequente era la meningite (40% nel 2015, 56% nel 2016) seguito da sepsi/batteriemia e meningite e sepsi. Il report non riporta il quadro clinico associato ai diversi sierogruppi [15]. Altro dato non riportato è l’associazione tra il quadro clinico della fase acuta e la probabilità di sviluppare sequele. Attualmente, non è pubblicato nessuno studio che riporti tale informazione. Solo pochi studi internazionali riportano il quadro clinico suddiviso per fasce d’età e sierogruppo, considerando anche la durata della degenza. Lo studio di Lecocq et al. ha stimato che nei bambini dai 5 ai 14 anni la presentazione clinica più frequente era la meningite (46,9%), seguita da sepsi e meningite (35,3%) e sepsi (16,3%); negli adolescenti dai 15 ai 19 anni la meningite era presente nel 56,5% dei casi, nel 31,3% dei casi era diagnosticata sepsi e meningite e la sepsi si presentava nell’11,8% dei casi [16]. Rivero-Calle et al. analizzarono i dati provenienti da un sistema di sorveglianza considerando bambini/adolescenti di età inferiore ai 15 anni e riportarono che il 38% dei pazienti aveva una presentazione clinica corrispondente a sepsi e meningite, mentre il 37,1% dei pazienti aveva sepsi e il 24,9% aveva meningite. Da questo studio emerse che la durata media del ricovero dei pazienti con malattia invasiva da sierogruppo B era di 12,4 giorni e la maggior parte dei pazienti richiedeva cure in terapia intensiva con una degenza media di 4,2 giorni [17]. Lo studio di Sadarangani et al. valutò l’associazione tra presentazione clinica e decesso/complicanze. Il tasso di mortalità più elevato era riscontrato negli adulti e specialmente in coloro che avevano una presentazione clinica di shock settico senza meningite (33%) rispetto a quelli che presentavano solo meningite (2,2%). Lo studio riportò una degenza mediana di 8 giorni (range 1-9 mesi). Nei bambini il tasso di complicanze era più elevato rispetto agli adulti, in particolare nei bambini che presentavano nella fase acuta shock settico senza meningite (38%) [11]. Viner et al. valutarono 246 casi di malattia invasiva meningococcica da sierogruppo B in bambini da 0 a 16 anni. La manifestazione clinica più frequente era la setticemia (63%), seguita da setticemia e sepsi (18%) e meningite (14%). Gli autori riportarono una durata di degenza mediana di 5 giorni; l’ammissione in terapia intensiva era richiesta per il 29% dei soggetti e la loro degenza nel reparto era compresa in un range tra 1-26 giorni (mediana 3 giorni) [18]. Risultati simili furono osservati nello studio di Wang et al. che analizzarono i casi di malattia invasiva meningococcica in bambini e adolescenti d’età inferiore ai 18 anni. Lo studio riportava il 41,6% di casi di malattia invasiva meningococcica da sierogruppo B con setticemia, il 32,5% dei casi con sepsi e meningite e il 26% dei casi con sola meningite. Il 41,6% dei pazienti necessitava di ricovero in terapia intensiva [19]. Stoff et al. condussero uno studio retrospettivo tra il 1999 e il 2011 e trovarono che il 48% dei pazienti aveva sviluppato un quadro di meningite. Lo shock settico (con o senza meningite) era più frequente nei bambini. In questo studio, la degenza mediana era suddivisa in fasce d’età: 0-6 mesi: 11 giorni; 6-24 mesi: 9 giorni; 2-4 anni: 9 giorni; 5-9 anni: 8 giorni; 10-19 anni: 9 giorni. La proporzione di pazienti ammessi all’unità di terapia intensiva era più elevata nei soggetti d’età > 10 anni (45%, con degenza da 2 a 5 giorni) rispetto ai bambini d’età < 10 anni. In particolare, la percentuale di accesso alla terapia intensiva era del 35% nei casi causati da sierogruppo B [20]. Lo studio di O’Brien et al. valutò la degenza media e i relativi costi suddivisi per fasce di età. Gli autori osservarono 1.654 soggetti nel triennio 1999-2001. In base alla presentazione clinica i soggetti erano divisi in due gruppi, quelli con sola meningite e quelli con meningococcemia. Gli autori osservarono una degenza media superiore nei pazienti con meningococcemia (9,2 giorni) rispetto a quelli con sola meningite (7,5 giorni). La degenza media per i pazienti con meningite era: < 1 anno: 8,6 giorni; 1-10 anni: 6,2 giorni; 11-17 anni: 7 giorni; 18-22 anni: 6,8 giorni; 23-49 anni: 8,3 giorni; ≥ 50 anni: 9 giorni. La degenza media per i pazienti con meningococcemia era: < 1 anno: 7,5 giorni; 1-10 anni: 9,3 giorni; 11-17 anni: 10,3 giorni; 18-22 anni: 9,1 giorni; 23-49 anni: 10,2 giorni; ≥ 50 anni: 8,8 giorni [21]. Generalmente, quadri clinici di shock settico sono associati ad una maggiore letalità e ad una maggiore probabilità di sviluppare sequele temporanee e/o permanenti [10, 20]. Fattori di rischio di malattia I fattori di rischio associati allo sviluppo di malattia meningococcica sono legati all’ospite e all’ambiente. I fattori legati all’ospite sono rappresentati da difetti immunologici, in particolare deficit della cascata del complemento, asplenia anatomica o funzionale e presenza di malattie croniche. Inoltre, sono a maggiore rischio i soggetti affetti da malattie immunologiche acquisite, come i pazienti HIV positivi. Per quanto riguarda i fattori ambientali, il principale è la permanenza in spazi sociali chiusi affollati. L’esposizione al fumo attivo o passivo sembra essere un fattore di rischio; in particolare, i bambini esposti al fumo passivo hanno un rischio maggiore di avere una malattia invasiva da meningococco [22]. Inoltre, è stato riscontrato che precedenti infezioni virali del tratto respiratorio possano aumentare il rischio di malattia meningococcica [23]. Per quanto riguarda gli adolescenti e i giovani adulti, il rischio di sviluppare malattia invasiva aumenta se si frequentano college (con un incremento del rischio nelle matricole) [24], pub o bar per l’affollamento e la convivenza in spazi ravvicinati [25]. Il rischio aumenta anche in caso di scambio di baci intimi, specialmente se con partner diversi, in quanto nella popolazione adolescente, la percentuale di carriage è maggiore rispetto alle altre classi di età [3, 22]. Infatti, gli adolescenti e i giovani adulti sono considerati i principali veicolatori del meningococco [20, 26]. Letalità Sebbene la malattia sia rara nei Paesi sviluppati determina un elevato impatto clinico, sociale ed economico dovuto anche alla sua alta letalità (8-15%) [9-12]; in caso di sepsi il tasso di letalità può raggiungere il 40% [9]. Relativamente all’Europa l’ultimo report dell’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) riporta i dati sulla malattia invasiva da meningococco riferiti al periodo 2011-2015. Per quanto riguarda il tasso di letalità riporta un valore globale pari al 9% e, nello specifico, un tasso di letalità pari all’8% per il sierogruppo B [12]. Nessuna valutazione dettagliata è riportata per fasce d’età; il report indica solo un tasso di letalità più elevato nei soggetti di età ≥ 65 anni seguito dalla classe 50-64 anni [12]. Risultati simili furono osservati da Sadarangani et al. [11] che riportarono un valore globale di letalità pari all’8,4%. Lo studio, condotto in Canada tra il 2002 e il 2011, analizzò il dato suddiviso per due fasce d’età: 0-18 anni (bambini) e > 18 (adulti) e per sierogruppo. Nello specifico il tasso di letalità era 4,1% nei bambini e 12,5% negli adulti. Considerando il dato suddiviso anche per sierogruppo i bambini presentavano un tasso di letalità per meningococco B di 4,4% e gli adulti dell’8,6% [11]. Anche uno studio olandese, condotto dal 1999 al 2011, osservò un tasso di letalità globale per meningococco B dell’8%. Gli autori riportarono valori suddivisi per fasce d’età ma riferiti solo alla malattia invasiva globale e non suddivisi per sierogruppo: 0-6 mesi: 2%; 6-24 mesi: 7%; 2-4 anni: 5%; 5-9 anni: 4%; 10-19 anni: 4%; 20-64 anni: 8% e ≥ 65 anni: 39% [20]. Una revisione pubblicata nel 2016 riportò che il 10-20% dei soggetti che contraevano la malattia moriva. Il tasso di letalità globale per meningococco B era tra il 5,3 e il 12,5%. Il dato suddiviso per classi d’età rilevava i seguenti valori: 8,1% per gli infanti < 1 anno; 2,7% per i bambini 1-4 anni; 16,6% per i soggetti 5-9 anni; 10-19 anni dato non disponibile; 20-64 anni: 9,5% e ≥ 65 anni: 41,3% [25]. Uno studio spagnolo, pubblicato nel 2016, analizzò il burden della malattia invasiva meningococcica nella fascia pediatrica (0-14 anni) nel periodo 2008-2013. Il tasso di letalità riscontrato era globalmente pari al 3,5% (< 1 anno: 2,5%; 1-4 anni: 4,2%; 5-9 anni: 4% e 10-14 anni: 3,2%); valore più basso rispetto ai dati pubblicati in letteratura [17]. Uno studio, pubblicato nel 2016, valutò l’impatto e la costo-effectiveness dell’introduzione della vaccinazione anti-meningococco B negli infanti in Francia. Gli autori riportarono tassi di letalità per meningococco B suddivisi per fasce d’età estratti dal sistema di sorveglianza francese. In particolare, la letalità era: per gli infanti < 1 anno: 9,7%; 1-4 anni: 10,7%; 5-14 anni: 5,7%; 15-24 anni: 7,8%; 25-59 anni: 6,6% e ≥ 60 anni: 21,3% [16]. Ad oggi nessun dato italiano relativo al tasso di letalità per meningococco B suddiviso per fasce d’età è pubblicato. Gli unici dati parziali provengono da sorveglianze eseguite in alcune Regioni come Piemonte ed Emilia Romagna. In Piemonte, il report del 2016 riportava un tasso di letalità di circa il 14%, con un numero medio di 2 morti per anno [27]. In Emilia Romagna, la letalità complessiva delle malattie da meningococco era pari al 9,7%. I tassi di letalità hanno mostrato una maggiore aggressività del sierogruppo C (15,1%) rispetto al B (8,6%) [28]. Sequele associate alla malattia meningococcica Il burden della malattia invasiva meningococcica in termini di salute è particolarmente pesante a causa delle sequele permanenti che affliggono un’elevata percentuale di sopravvissuti, specialmente bambini e adolescenti. Essi devono convivere con singole sequele di tipo fisico, neurologico e/o psicologico o sequele multiple. Queste conseguenze impattano negativamente sulla qualità di vita dei sopravvissuti, non solo nel primo periodo dopo la fase acuta, ma per tutta la vita. Al fine di reperire gli articoli scientifici utili per il presente report di HTA sono state condotte ricerche bibliografiche sul motore di ricerca PubMed (www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed). Inizialmente è stata utilizzata la seguente stringa di ricerca: (Meningitis OR meningococcal disease) AND adolescent* AND (meningococcus B OR meningococcus type B OR Neisseria meningitidis B OR Neisseria meningitidis type B) AND (complication* OR sequelae) restringendo l’analisi al periodo temporale 2000-2018. Tale scelta è stata determinata dal fatto che gli studi condotti prima del 2000 riportavano solo dati globali sulle sequele senza dare indicazioni sulla tipologia (sequele fisiche, neurologiche, psicologiche), pertanto non idonei per il presente report. Sono stati considerati eleggibili i lavori italiani e internazionali limitando la ricerca ad articoli internazionali in lingua inglese ed escludendo gli studi condotti in Paesi ad alta incidenza (es. cintura africana della meningite). Poiché gli studi condotti esclusivamente sugli adolescenti erano pochi e non esaustivi, la ricerca è stata successivamente ampliata considerando tutte le fasce d’età. Successivamente si è proceduto alla ricerca manuale attraverso il controllo della bibliografia dei manoscritti inclusi nella presente overview per evidenziare eventuali fonti non rilevate attraverso la ricerca automatica. In seguito, è stato effettuato il reinserimento di ciascun manoscritto nel motore di ricerca di Google Scholar (www.scholar.google.it) al fine di identificare gli articoli che citavano gli studi inclusi. Una volta eliminati i duplicati sono stati valutati i titoli e i riassunti. Successivamente, sono stati esaminati i testi in extenso. In totale sono stati inclusi nella presente overview 27 articoli. Sono state considerate tre distinte categorie di sequele (fisiche, neurologiche e psicologiche). Inizialmente sono state valutate le revisioni sistematiche e successivamente sono stati analizzati i risultati dei singoli studi ritenuti conformi agli obiettivi del presente report. SEQUELE FISICHE Le sequele fisiche associate alla malattia invasiva meningococcica sono numerose e comprendono: esiti dermatologici (cicatrici cutanee, necrosi, eczema e psoriasi); esiti/condizioni muscolo-scheletriche (amputazioni, deformazioni degli arti, artrite e artralgia); malattie renali (insufficienza renale acuta e cronica, ritenzione urinaria); malattie cardiovascolari (fenomeno di Raynaud, trombosi venosa e vasculite) e altre condizioni fisiche (insufficienza surrenale, anemia, malattie polmonari, malattie autoimmuni, fatica cronica e insufficienza cardio-respiratoria). Gli studi pubblicati riportano dati molto variabili compresi in un ampio range. Nel 2018 è stata pubblicata una revisione sistematica [1] che ha incluso 31 studi condotti dal 2001 al 2016 nei Paesi ad alto reddito. I risultati dei diversi studi sono stati suddivisi per presentazione clinica e stratificati per età, quando possibile. La maggior parte delle ricerche sono state condotte in bambini e adolescenti e riportavano la probabilità di sviluppare sequele indipendentemente dal sierogruppo; solo pochi studi hanno valutato la malattia invasiva stratificata per sierogruppo. La revisione sistematica di Olbrich et al. [1] ha riportato tra le sequele fisiche più frequenti le amputazioni (fino al 8% nei bambini e al 3% negli adolescenti/adulti) e le cicatrici cutanee (fino al 55% nei bambini, il 18% negli adolescenti e il 2% negli adulti). Altre sequele fisiche includevano deformazioni degli arti, altre malattie cutanee e danni renali. Talvolta i danni a livello articolare e osseo emergono a distanza di diversi anni dalla fase acuta, specialmente durante il periodo adolescenziale, in cui si va incontro a una rapida crescita [29]. Un’altra revisione è stata pubblicata nel 2016 [25]. Gli autori sottolinearono la necessità di modificare l’approccio per valutare correttamente le conseguenze devastanti provocate dalla malattia invasiva meningococcica focalizzandosi anche su aspetti che frequentemente sono sottostimati compreso l’impatto a carico della famiglia e della società. Per quanto riguarda le sequele fisiche, le più frequenti erano le cicatrici cutanee (6,4-48%) e le amputazioni (0,8-14%) ed entrambe si verificavano in percentuali diverse in base all’età e alla severità della fase acuta di malattia. Altre sequele fisiche erano evidenziate come l’artrite e le vasculiti (4,7%), le disfunzioni renali (2-8,7%) e i disordini della crescita (6-13,1%). Nel 2013 Vyse et al. [30] pubblicarono i risultati di una revisione condotta con l’obiettivo di valutare l’impatto della malattia invasiva da meningococco in termini di mortalità, complicanze e sequele a lungo termine. Anche questi autori riportarono percentuali molto variabili nella probabilità di sviluppare sequele [30]. I singoli studi ritenuti affini all’obiettivo del presente report di HTA sulla vaccinazione anti-meningococco B negli adolescenti con Trumenba® sono stati valutati e descritti elencandoli per data di pubblicazione (dal più recente al meno recente). In Spagna è stato condotto, nel periodo 2008-2013, uno studio di coorte multicentrico retrospettivo che ha analizzato i dati provenienti da un sistema di sorveglianza considerando bambini di età inferiore ai 15 anni. Gli autori identificarono 368 pazienti con malattia invasiva meningococcica confermata in laboratorio. Su 269 casi fu eseguita la sierotipizzazione e nel 95,2% dei casi (256/269) fu identificato il sierogruppo B. Il 12,9% dei soggetti sviluppò almeno una sequela. Le sequele erano distinte in base alla presentazione clinica della malattia e in base all’età (< 1 anno, 1-4 anni, 5-9 anni, 10-14 anni). Le sequele più frequentemente rilevate erano i ritardi neurologici, la sordità neurosensoriale, le disabilità fisiche e cognitive, il mal di testa cronico, i segni neurologici focali, il ritardo mentale severo e l’epilessia. Con particolare riferimento alle sequele fisiche, lo studio ha mostrato che nei bambini di età < 1 anno le complicanze più frequenti erano le lesioni cutanee gravi (19%), altre lesioni cutanee (9,5%), le amputazioni (14,3%), le complicanze renali (4,8%) e una moderata ipertensione polmonare (9,5%). Nei bambini di età compresa tra 1 e 4 anni le complicanze più frequenti erano le lesioni cutanee gravi con conseguente innesto cutaneo (25,9%), altre lesioni cutanee di media entità (11,1%), le amputazioni (22,2%) e le complicanze renali (22,2%). Nei bambini di età compresa tra 5 e 9 anni erano riscontrate più frequentemente lesioni cutanee gravi (12,5%) e complicanze renali (12,5%). Nella fascia di età tra i 10 e i 14 anni le sequele più frequenti erano le amputazioni (33,3%). Gli autori riportarono che le amputazioni erano maggiormente associate a sepsi [17]. Uno studio canadese condotto da Sadarangani et al. tra il 2002 e il 2011 analizzò i dati clinici di 868 soggetti (48% di età < 18 anni e 52% di età ≥ 18 anni) ricoverati per malattia invasiva meningococcica, di cui il 55% dei casi era dovuto al sierogruppo B. Considerando solo i casi da sierogruppo B, globalmente il 19% sviluppava complicanze. Suddividendo il dato per fascia d’età, nei bambini la percentuale di soggetti con sequele era il 21,8% e negli adulti il 14,6%. Gli autori riportarono che, sul totale dei soggetti con complicanze, il 37% aveva sequele multiple. Considerando il dato suddiviso per età, il 33% dei bambini e il 42% degli adulti sviluppava sequele multiple. Il dato relativo al tipo di sequela è stato stratificato per sierogruppi. I soggetti di età < 18 anni riportavano come complicanze più frequenti le amputazioni (7,6%), le cicatrici cutanee (4,3%), le disfunzioni renali (1,4%) e problemi alle articolazioni (1%). Per i soggetti d’età ≥ 18 anni le complicanze più frequenti erano le disfunzioni renali (3,6%), le amputazioni (3,1%), le cicatrici cutanee (2,4%) e problemi alle articolazioni (1,6%) [11]. Uno studio inglese osservò tra il 1999 e il 2000 una coorte di adolescenti e giovani (fasce d’età considerate: 16-18 anni e 19-22 anni; età media: 19,3 anni) affetti da malattia invasiva da meningococco con una valutazione dopo 18-36 mesi dalla fase acuta. Furono reclutati 202 soggetti (101 casi e 101 controlli appaiati per sesso e età); 84 casi furono confermati in laboratorio per meningococco, di cui 47 (56%) attribuiti a meningococco B. Il 39,6% aveva avuto meningite e sepsi, il 32,7% solo meningite e il 26,7% solo setticemia. Il 57,4% dei soggetti riportò almeno una sequela. Per quanto riguarda le sequele fisiche gli autori riportarono che il 31% dei soggetti con sequele aveva cicatrici cutanee, il 6,9% riportava una riduzione della funzionalità degli arti superiori e il 5,2% aveva subito almeno una amputazione [31]. Stoof et al. [20] condussero uno studio retrospettivo su 879 isolati provenienti dalla sorveglianza sentinella olandese tra il 1999 e il 2011. Il sierogruppo era determinato nel 99% degli isolati e il sierogruppo B era il prevalente (77%). Analizzando il dato suddiviso per classi d’età la percentuale di casi da meningococco B era circa il 90% nei bambini da 0 a 4 anni e circa il 70% nella fascia adolescenziale. Globalmente il tasso di letalità era dell’8%. Dei soggetti sopravvissuti il 29% dei pazienti aveva almeno una sequela e le complicanze erano dipendenti dall’età e dalla manifestazione clinica nella fase acuta. La percentuale di soggetti con sequele era più alta nei soggetti adulti rispetto ai bambini. Le sequele alla dimissione o nell’anno seguente al ricovero erano suddivise in severe (stato vegetativo, ritardo mentale, necrosi cutanea con trapianto di cute, amputazione, sordità con impianto cocleare, insufficienza renale, insufficienza surrenalica, epilessia o paralisi/paresi periferica) e moderate. Considerando la classe d’età 10-19 anni il 24,7% presentava sequele moderate e il 4,5% riportava sequele severe [20]. Uno studio australiano analizzò i casi di malattia invasiva meningococcica nei bambini < 18 anni tra il 2000 e il 2011 al fine di valutare le sequele in seguito a malattia acuta e i relativi costi. Furono identificati 109 casi, di cui 102 tipizzati e il 70,6% era di sierogruppo B. Il 37,6% sviluppava sequele. Considerando solo i pazienti con sequele il 75,6% era affetto da meningococco B. Nello specifico, considerando solo i pazienti con sequele da sierogruppo B, il 25,8% dei casi aveva problemi ossei e alle articolazioni, il 6,4% aveva subito amputazioni, il 32,2% riportava complicanze a livello cutaneo (necrosi e cicatrici) [19]. Uno studio canadese analizzò i dati provenienti dal sistema di sorveglianza delle ammissioni ospedaliere dal 2002 al 2011 con l’obiettivo di valutare l’impatto della malattia invasiva da sierogruppo B. Furono analizzati 769 casi di malattia invasiva (356 adulti ≥ 20 anni e 413 bambini) e il sierogruppo B era il più frequente in tutte le fasce d’età contando per il 53,7% dei casi (413 casi: 278 bambini e 135 adulti). Il 24% dei casi aveva un’età compresa tra i 5 e i 19 anni di cui il 13,6% erano adolescenti con un’età compresa tra i 15 e i 19 anni. Tra gli adulti il 9% dei casi si verificava in soggetti di età 20-24 anni. Dei 391 sopravvissuti il 18,9% aveva almeno una complicanza. Il 23,3% dei soggetti con sequele aveva sequele multiple. Dei 278 bambini con malattia invasiva da meningococco di sierogruppo B i sopravvissuti erano 266. Nella fascia adulta i sopravvissuti erano 125. Lo studio ha analizzato le sequele da meningococco B, stratificandole in base all’età. Considerando solo i soggetti con sequele e valutando solo le sequele di tipo fisico nei bambini < 1 anno il 15% richiedeva amputazione, il 15% aveva cicatrici cutanee e il 5% aveva insufficienza renale. Nei bambini (1-4 anni) il 26,9% subiva amputazione, il 50% riportava cicatrici cutanee e l’insufficienza renale era riportata nel 3,8% dei casi. Gli autori riportarono che il 40% dei soggetti d’età compresa tra i 5 e i 19 anni aveva cicatrici cutanee e, infine, negli adulti (> 20 anni) il 27,7% aveva subito amputazioni, il 27,7% aveva esiti cutanei e il 33,3% soffriva di insufficienza renale [32]. Viner et al. [18] condussero uno studio caso-controllo nel periodo 2008-2010 nel Regno Unito per valutare l’impatto delle sequele nei bambini sopravvissuti alla malattia invasiva da meningococco B. L’età media dei casi era 6,5 anni. Per quanto riguarda le sequele fisiche gli autori riportarono che l’1% dei pazienti aveva subito amputazioni. Gottfredsson et al. condussero due studi in Islanda: uno retrospettivo (1975-2004) e uno di follow-up (gennaio 2007 - aprile 2008). Nello studio di follow-up furono intervistati 120 soggetti sopravvissuti alla malattia invasiva meningococcica, di cui 70 positivi per meningococco B. Considerando solo i soggetti con meningococco B l’età media al momento della fase acuta era 9,3 anni (deviazione standard ± 11,7) e l’età al momento dell’intervista era di 29,1 ± 13,3 anni. Considerando le sequele fisiche il 21,4% dei pazienti riportava esiti cutanei e il 2,8% artrite [33]. Buysse MP et al. pubblicarono nel 2010 i risultati di uno studio di follow-up (intervallo temporale medio di follow-up di 9,8 anni compreso in un range da 3,7 a 17,4 anni) condotto in Olanda su soggetti di età compresa tra 1 mese e 18 anni sopravvissuti alla malattia invasiva meningococcica con l’obiettivo di valutare l’associazione tra le sequele a lungo termine (fisiche e/o psicologiche) e la riduzione della qualità di vita dei pazienti. Gli autori classificarono i pazienti in 4 categorie: con maggiori sequele fisiche (cicatrici estese e/o amputazioni di arti), con medi danni neurologici (perdita di udito, mal di testa cronico, danni neurologici focali), con problemi comportamentali e con quoziente intellettivo (IQ) < 85. Nello studio sono stati seguiti 120 pazienti (il 79% dei casi erano affetti da Neisseria meningitidis B). Globalmente 73/120 (61%) era affetto da una o più sequele, di questi 47 riportavano sequele maggiori (64,4%) suddivisi in: 13 soggetti con sequele fisiche maggiori (27,6%), 19 con problemi medi neurologici (40,4%), 7 con problemi comportamentali gravi (14,9%) e 8 soggetti con IQ < 85 (17%). Inoltre, lo studio riportava che 26 dei 73 pazienti con sequele avevano sequele multiple (35%). Erano riportate le seguenti combinazioni: 8 pazienti con sequele fisiche maggiori e danno neurologico (8/26 = 30,8%), 2 con sequele fisiche maggiori e problemi comportamentali (2/26 = 7,7%), 4 soggetti con sequele fisiche maggiori e IQ < 85 (4/26 = 15,4%), 4 con danno neurologico e problemi comportamentali (4/26 = 15,4%), 5 con danno neurologico e IQ < 85 (5/26 = 19,2%), 2 con sequele fisiche maggiori, danno neurologico e problemi comportamentali (2/26 = 7,7%), 1 con danno neurologico, problemi comportamentali e IQ < 85 (1/26 = 3,9%). Il paziente con insufficienza renale cronica aveva subito anche amputazione di una gamba, aveva cicatrici estese e segni neurologici focali. Il soggetto con ritardo mentale grave IQ < 70 aveva anche cicatrici estese e amputazioni; un altro presentava cicatrici rilevanti e discrepanza di 13 cm tra gli arti inferiori. Globalmente il 48% aveva cicatrici cutanee, l’8% aveva subito amputazioni, il 6% era affetto da una discrepanza di crescita degli arti inferiori, il 35% presentava danni neurologici (ritardo mentale con epilessia, perdita dell’udito, mal di testa cronico, segni neurologici focali) e il 13,3% riportava danni renali acuti e di questi il 6% danni renali cronici [10]. Vermunt et al. condussero uno studio in Olanda per valutare gli outcome psicologici di 179 pazienti (8-17 anni) affetti da malattia invasiva meningococcica. Gli autori valutarono anche l’associazione tra la gravità delle sequele fisiche e i problemi psico-sociali dei pazienti. Tra le sequele fisiche le più frequenti erano le cicatrici cutanee (il 52% dei soggetti con età 8-11 anni e il 50% degli adolescenti d’età 12-17 anni), le amputazioni (7% nei bambini 8-11 anni e l’8% negli adolescenti 12-17 anni) e altre complicanze ortopediche (7% nei bambini) [34]. Lo studio americano condotto da Kaplan et al. [35] raccolse dati da 10 ospedali dal 2001 al 2005, considerando i casi di malattia invasiva meningococcica in età pediatrica. Furono identificati 159 casi, di cui il 44% era causato da meningococco di sierogruppo B. Lo studio descrisse la distribuzione della malattia in base alle fasce di età: il 25,7% dei casi erano bambini < 12 mesi, il 13,8% erano bambini di 12-24 mesi, il 24,5% erano bambini dai 2 ai 4 anni e il 35,8% erano bambini/adolescenti dai 5 ai 19 anni. Lo studio riportava che il 91,8% dei bambini era sopravvissuto (146/159) e le sequele di tipo fisico più frequenti erano: cicatrici (9,5%) e amputazioni (1,3%). Gli autori sottolinearono che le sequele a carico dell’apparato muscolo-scheletrico e i danni renali potevano insorgere anche diversi anni dopo la fase acuta [35]. La Tabella I riporta la probabilità di sviluppare sequele fisiche sulla base dei risultati ottenuti dagli studi inclusi nella presente overview. SEQUELE NEUROLOGICHE Le sequele neurologiche conseguenti alla malattia invasiva da meningococco sono numerose e comprendono: deficit del sistema sensoriale (sordità, cecità, paralisi dei nervi cranici, esotropia, tinniti, intorpidimento, parestesia, sensibilità alla luce); deficit motori (paralisi, paralisi cerebrale, debolezza muscolare, monoparesi/emiparesi, spasticità, problemi di mobilità, severo deficit neuromotorio, deficit di coordinazione); problemi di comunicazione (afasia, balbuzie, difficoltà nel linguaggio e nella comunicazione); problemi cognitivi (ritardo mentale con Quoziente Intellettivo (QI) < 70, ritardo mentale moderato con QI = 70-85, difficoltà di apprendimento, deficit cognitivi); attività cerebrali alterate (convulsioni epilettiche e non epilettiche, cefalea cronica, emicrania, stato vegetativo, vertigini); altri disordini neurologici (danni ai nervi cranici, idrocefalo, convulsioni febbrili, radiculopatia, empiema subdurale, infarto multi-cerebrale, ritardo nello sviluppo, disturbi del sonno, letargia). Gli studi fino ad oggi pubblicati che valutano le sequele neurologiche riportano dati molto variabili compresi in un ampio range. Olbrich et al. nella loro revisione sistematica riportarono che tra le sequele neurologiche la sordità era la più frequente (fino al 19% negli infanti, il 13% nei bambini, il 12% negli adolescenti e l’8% negli adulti). Furono, inoltre, considerate anche altre sequele come convulsioni, problemi cognitivi, deficit motori e deficit visivi [1]. Martinon-Torres et al. [25] nella loro revisione inclusero tra le sequele neurologiche i deficit della memoria, la sordità unilaterale e bilaterale, le convulsioni e il dolore cronico. Gli autori riportarono per la sordità range compresi tra 2-9,3%, per le convulsioni 1,4-13,9%, per i danni cognitivi 2,9-7,5%, per le disabilità neuromotorie 1,2-8,1% e per i danni neurologici range compresi tra 2,4-10,1% nei bambini e il 13,5% negli adulti. Inoltre, l’epilessia era diagnosticata nel 2% dei bambini sopravvissuti alla malattia invasiva da sierogruppo B. Molti soggetti con sequele riportavano anche moderati o severi danni cognitivi associati a difficoltà di concentrazione che si riflettevano nel basso rendimento scolastico con conseguenze anche nell’età adulta. In uno studio danese fu evidenziato che i soggetti sopravvissuti alla meningite meningococcica avevano meno possibilità di completare il ciclo scolastico superiore rispetto alla popolazione generale (11%) e di essere autonomi economicamente in età adulta [36]. Anche Vyse et al. [30] analizzarono nella loro revisione le probabilità di sviluppare sequele neurologiche e riportarono dati molto variabili compresi in un ampio range di probabilità. Uno studio inglese condotto da Kennedy et al. in soggetti d’età < 16 anni sopravvissuti a malattia invasiva meningococcica da sierogruppo B (periodo di osservazione: novembre 2012 - maggio 2013) riportò che la perdita di udito era registrata nel 20,2% dei pazienti, il 9,2% dei soggetti aveva convulsioni e il 5,5% perdita di memoria [37]. Lo studio spagnolo di Rivero-Calle et al. è uno dei pochi che ha analizzato la distribuzione delle sequele in base all’età. Considerando solo i sopravvissuti con sequele, le sequele neurologiche colpivano il 57,1% dei bambini d’età < 1 anno, il 29,6% dei bambini d’età 1-4 anni, il 25% dei bambini tra i 5 e i 9 anni e il 33% dei soggetti tra i 10 e 14 anni. Fu riscontrata un’associazione tra l’insorgenza di sequele neurologiche e la presentazione clinica acuta corrispondente a meningite [17]. Sadarangani et al. nel loro studio condotto tra il 2002 e il 2011 [868 soggetti (48%: età < 18 anni e 52%: età ≥ 18 anni) di cui il 55% dei casi dovuto a sierogruppo B] analizzarono le sequele neurologiche suddivise per due gruppi d’età: < 18 anni e ≥ 18 anni. Il 21% dei soggetti con età < 18 anni e il 15,4% dei pazienti con età ≥ 18 anni sviluppava sequele. Alcuni soggetti riportarono sequele multiple. Considerando solo i soggetti con sequele e suddividendoli per gruppo d’età si osservò che il 7,4% dei pazienti d’età < 18 anni sviluppava sordità, il 4,1% deficit motori, lo 0,7% convulsioni, il 2,1% disturbi visivi, lo 0,2% deficit cognitivo e il 1,4% problemi neurologici non definiti. Tra gli adulti i soggetti che presentavano sordità erano il 3,3%, i deficit motori erano registrati nel 0,9%, le convulsioni nel 1,3%, i disturbi visivi nel 3,6%, il deficit cognitivo era rilevato nell’0,9% e i problemi neurologici non definiti nel 2,2% dei pazienti [11]. Borg et al. nel loro studio riportarono che tra i pazienti con sequele il 29,3% presentava vertigini croniche, il 22,4% problemi di linguaggio, il 20,7% problemi di udito e 3,5% convulsioni [31]. Considerando solo i soggetti con complicanze da meningococco B, lo studio di Wang et al. evidenziò che le sequele neurologiche comparivano nel 25,8% dei casi mentre la sordità, le convulsioni/epilessia, la letargia cronica e l’emicrania erano osservate ciascuna nel 12,9% dei pazienti [19]. Bettinger et al. analizzarono le sequele stratificandole in base all’età. Considerando solo i soggetti con sequele e valutando solo le sequele di tipo neurologico nei bambini con età inferiore a 1 anno, il 45% presentava sordità, il 40% aveva le convulsioni e il 20% riportava altre complicanze neurologiche non definite. Nei bambini di età compresa tra 1 e 4 anni il 34,6% presentava sordità, il 7,7% aveva le convulsioni e l’11,5% riportava altre complicanze neurologiche non definite. Nei soggetti tra i 5 e i 19 anni il 30% era sordo e il 20% presentava altre complicanze neurologiche non definite [32]. Viner et al. valutarono gli esiti della malattia invasiva meningococcica da sierogruppo B nei bambini e negli adolescenti (da 1 mese a 13 anni) nel Regno Unito tra il 2008 e il 2010 conducendo uno studio caso-controllo. Furono reclutati 245 bambini sopravvissuti a malattia meningococcica e 328 controlli con un’età media pari a 6,5 anni per il gruppo dei casi e 6,9 per il gruppo dei controlli. Gli autori valutarono le sequele di tipo fisico, psicologico, neuro-cognitivo ed educativo. Per quanto concerne le sequele di tipo neurologico, la perdita di udito grave bilaterale era riscontrata nel 2% dei casi, mentre il 5% presentava una sordità bilaterale moderatamente severa; le difficoltà visive erano riscontrate in meno dell’1% dei casi; il 2% aveva avuto convulsioni e il 4% problemi di comunicazione. Nell’analisi dei problemi cognitivi risultò che i bambini sopravvissuti a malattia meningococcica avevano un quoziente intellettivo più basso. Nella sezione dedicata alla valutazione della memoria, furono presi in considerazione diversi indicatori: memoria a breve termine verbale (100,4 nei pazienti vs 106,5 nei controlli), memoria verbale a lungo termine (102,6 vs 106,9), memoria procedurale (97,8 vs 104,7), pianificazione e organizzazione (16,4 vs 18,5) e memoria visiva a lungo termine (8,2 vs 10,1). Gli autori giunsero alla conclusione che il 30% dei casi presentava problemi di memoria rispetto al 17% dei controlli e, sebbene il ritardo mentale grave fosse raro, l’11% dei casi presentava QI basso o borderline (QI < 85) e questi soggetti necessitavano di supporto educativo [18]. Gottfredsson et al. nello studio di follow-up (gennaio 2007-aprile 2008) riportarono che il 5,7% dei sopravvissuti aveva convulsioni, il 24,2% problemi cognitivi, il 4,3% deficit muscolari, il 12,8% presentava problemi d’udito e il 10% aveva emicrania [33]. Buysse et al. riportarono che il 35% dei soggetti aveva danni neurologici e il 17% registrava un QI < 85 [10]. Lo studio di Kaplan et al. rilevò che il 9,5% dei sopravvissuti erano affetto da sordità (4,1% aveva sordità unilaterale e il 5,5% sordità bilaterale) e che la perdita di udito era più comune negli infanti e nei bambini piccoli, rispetto a quelli con età maggiore di 2 anni. Inoltre, gli autori riportarono che il 6,2% dei soggetti aveva convulsioni, il 2,7% atassia e il 2% emiplegia [35]. La Tabella II riporta la probabilità di sviluppare sequele neurologiche considerando i risultati degli studi inclusi nella presente overview. SEQUELE PSICOLOGICHE Molto spesso gli effetti psichiatrici e psicologici insorgono dopo l’ospedalizzazione e sono frequentemente sottostimati nel medio e lungo termine. La maggior parte dei sopravvissuti è affetto da disordini post-traumatici da stress e a causa del forte impatto dovuto alle complicanze fisiche spesso le sequele psicologiche sono meno considerate [38]. Le sequele psicologiche e comportamentali si distinguono in: disordini di ansia (ansia generalizzata, ansia da separazione, disordine sociale, fobie specifiche); disordini comportamentali (negativismo sfidante, disturbi comportamentali); altri disturbi psicologici/dell’emotività/del comportamento (depressione, deficit di attenzione, disordine dell’attenzione/deficit e iperattività, disturbo post-traumatico da stress, disturbo dello spettro autistico, disturbi alimentari). Olbrich et al. nella loro revisione sistematica riportarono che le sequele psicologiche (ansia, difficoltà di apprendimento, disturbi emozionali e di comportamento) affliggevano la maggior parte dei sopravvissuti alla malattia invasiva meningococcica, i loro familiari e i caregivers sia nel breve che nel lungo periodo [1]. Martinon-Torres et al. [25] nella loro revisione valutarono gli effetti psichiatrici e psicologici correlati alla malattia meningococcica sia a breve che a lungo termine. Osservarono che le conseguenze a lungo termine erano più frequenti nei pazienti pediatrici e nei loro genitori. Anche la revisione pubblicata da Vyse et al. nel 2013 documentò disordini da stress post-traumatici nei pazienti, nei genitori e nei caregivers sottolineando l’importanza degli effetti da stress a lungo termine [30]. Nello studio condotto da Viner et al. il 26% dei bambini sopravvissuti alla malattia meningococcica da sierogruppo B e il 10% dei controlli presentavano disordini psicologici. Il 22% dei bambini mostrava significativi disordini psicologici a 3-5 anni dalla fase acuta, principalmente ansia e disturbi comportamentali. Gli autori giunsero alla conclusione che i casi avevano una probabilità maggiore del 50% rispetto ai controlli di sviluppare disordini mentali, ansia, problemi comportamentali e deficit d’attenzione e iperattività [18]. Gottfredsson et al. nello studio di follow-up (gennaio 2007 - aprile 2008) riportarono che il 20% dei sopravvissuti a malattia meningococcica da sierogruppo B aveva problemi mentali (5,7% depressione, 7,1% ansia e 2,8% ansia/depressione). La probabilità di avere problemi psichiatrici e psicologici era significativamente più alta rispetto alla popolazione generale [33]. Lo studio di Borg et al. analizzò i sintomi depressivi dopo 18-36 mesi dalla fase acuta mediante il test “Beck Depression Inventory II” (BDI-II), in cui i punteggi > 13 indicavano sintomi clinici di depressione. Il 20% dei pazienti riportava sintomi depressivi rispetto al 12% dei controlli [31]. Tra il 1999 e il 2000, Shears et al. [39] reclutarono 60 bambini tra 3 e 16 anni sopravvissuti a malattia meningococcica nel Regno Unito, coinvolgendo anche 60 madri, 45 padri e gli insegnanti. Lo studio aveva l’obiettivo di stimare le conseguenze psicologiche a breve termine della malattia invasiva meningococcica e a tal fine fu somministrato il “Strenght and Difficulties Questionnaire” (SDQ) ai familiari e agli insegnanti, al momento del ricovero e dopo 3 mesi dal ricovero. SDQ è un breve questionario di screening comportamentale utilizzato per i bambini/adolescenti di 3-16 anni; il questionario valuta 25 indicatori suddivisi in 5 ambiti di interesse: sintomi emotivi, problemi comportamentali, iperattività/poca attenzione, problemi di relazione tra pari e comportamento pro-sociale. Per ognuno dei 25 item è prevista una risposta su una scala Likert a tre punti («non vero», «parzialmente vero», «assolutamente vero»), indicando quanto ognuno dei comportamenti descriva il bambino preso in considerazione. Dalle quattro sub-scale che valutano i comportamenti problematici, escludendo la scala dei comportamenti pro-sociali (misura dei punti di forza del bambino), si ottiene un punteggio totale sulle difficoltà (punteggi più alti indicato maggiore difficoltà). Ai bambini d’età < 8 anni fu anche somministrato un questionario per valutare il disturbo post-traumatico da stress. Dal SDQ risultò che i bambini avevano punteggi più alti al follow-up (3 mesi) rispetto al momento della fase acuta nel campo dell’emotività, dell’iperattività e dei problemi comportamentali. Successivamente, gli stessi pazienti furono intervistati a un follow-up di 12 mesi per valutare le sequele psichiatriche a lungo termine: furono riscontrate difficoltà nel campo dell’emotività, del comportamento e specialmente nell’impatto sulla vita quotidiana. A 12 mesi dal ricovero, circa l’11% dei bambini era a rischio per disordine post- traumatico da stress [40]. Judge et al. nel 2002 pubblicarono i risultati di uno studio condotto in UK su bambini/adolescenti sopravvissuti a malattia meningococcica con l’obiettivo di valutare il rischio di disordini psichiatrici nei pazienti e nei loro genitori. Furono osservati 29 soggetti d’età compresa tra 2 e 16 anni (età media 5,7 anni) e intervistate 27 coppie di genitori. I pazienti furono seguiti per un periodo di follow-up di 3-12 mesi (media 8,9 mesi). Il 62% dei pazienti sperimentava sintomi da stress dopo la dimissione dall’ospedale e i sintomi più comuni erano incubi e ipereccitazione. Il 10% dei soggetti aveva marcati disordini da stress post-traumatico al follow-up. Il rischio globale di danni psichiatrici era doppio nei pazienti rispetto alla popolazione generale [41]. PROBLEMI PSICO-SOCIALI E QUALITÀ DI VITA NEI GENITORI E NEI CAREVIGERS Shears et al. [39] nel loro studio valutarono anche i problemi psico-sociali provocati dalla malattia invasiva meningococcica nei genitori dei bambini sopravvissuti (60 soggetti reclutati; età dei soggetti studiati: 3-16 anni). Furono coinvolti 60 madri, 45 padri e gli insegnanti. Dai risultati dei questionari somministrati ai genitori è emerso che le madri soffrivano di stress mentale sia al ricovero (59%) sia al follow-up (3 mesi dal ricovero) (43%), mentre il 42% dei padri soffriva di stress mentale al ricovero e il 24% al follow-up. È stato stimato che circa il 38% delle madri e il 19% dei padri era a rischio di disturbo post-traumatico da stress. Inoltre, era evidenziata un’associazione tra la lunghezza della degenza in terapia intensiva e il disturbo post-traumatico da stress dei genitori [39]. Gli autori proseguirono lo studio con l’obiettivo di valutare l’impatto della malattia ad un follow-up di 12 mesi e giunsero alla conclusione che il 24% delle madri e il 15% dei padri era a rischio per disordine post-traumatico da stress. Ai genitori fu somministrato anche il “Parental Assessment Questionnaire” e fu evidenziato un cambiamento nel comportamento, con tendenze più protettive nei confronti dei figli, maggiore preoccupazione per la loro salute e maggiore tendenza ad essere più permissivi [40]. Judge et al. nel loro studio valutarono i problemi psichiatrici nei genitori di bambini sopravvissuti a malattia meningococcica. Gli autori osservarono che il 40% delle madri aveva un incrementato rischio di disturbi psichiatrici, il 48% aveva disturbi da stress post-traumatico clinicamente significativi e il 29% necessitava di aiuto psicologico. I sintomi da stress nelle madri erano significativamente associati alla severità della malattia del figlio [41]. Ehrlich et al. condussero uno studio al fine di valutare lo stress psicologico dei genitori dei bambini con malattia invasiva meningococcica. I genitori erano sottoposti al “Goldberg General Health Questionnaire-30” (GHQ); in questo studio il cut-off fu fissato ad un punteggio pari a 5, i punteggi > 5 erano indicativi di stress psicologico. La media dei punteggi GHQ per le madri era pari a 8,71 dopo 3 mesi dalla fase acuta; 10,7 dopo 6 mesi; 6,96 dopo 12 mesi; 7,17 dopo 2 anni e 4,9 dopo 3 anni. Nello studio fu calcolata anche la percentuale di madri con stress psicologico: il 50% delle madri riportava segni di stress psicologico dopo 3 mesi; il 69% dopo 6 mesi, il 39% dopo 12 mesi; il 33% dopo 2 anni e il 31% dopo 3 anni. Nei padri la media dei punteggi GHQ era pari a 7,17 dopo 3 mesi; 6,69 dopo 6 mesi; 5,9 dopo 12 mesi; 6,25 dopo 2 anni e 5,43 dopo 3 anni. Le percentuali di padri affetti da stress psicologico erano: il 41% dopo 3 mesi; il 58% dopo 6 mesi; il 45% dopo 12 mesi; il 50% dopo 2 anni e il 29% dopo 3 anni [42]. Perdita di qualità di vita associata alla malattia meningococcica Il concetto di qualità della vita è stato introdotto negli anni ’80 nell’ambito degli studi sulle conseguenze delle malattie croniche degli adulti e più recentemente è stato anche applicato ai bambini. Nella valutazione della qualità della vita si includono: le funzioni fisiche, cognitive, sociali ed emotive. Con il termine di “Health-related quality of life” (HRQoL) si intende lo specifico impatto della malattia, dei danni subiti e dei trattamenti sul paziente e sulla sua qualità di vita. Nei pazienti pediatrici spesso l’effetto della malattia e del rispettivo trattamento aumenta la dipendenza dai genitori e, di conseguenza, diminuisce la partecipazione alle attività scolastiche e ricreative. Ciò ha un influsso negativo sullo sviluppo delle capacità del soggetto compromettendo la qualità di vita (QoL) [43]. Nei due seguenti sotto-paragrafi è descritto l’impatto della malattia meningococcica e delle sue possibili sequele sulla qualità di vita dei pazienti, dei familiari e dei caregivers. Nei pazienti si assiste a una riduzione della qualità della vita, in base alla gravità della fase acuta e al tipo di sequela temporanea e/o permanente [38]. Olbrich et al. [1] nella loro revisione sistematica sottolinearono che la malattia meningococcica influiva sulla qualità di vita di tutti i pazienti (compresi quelli senza sequele) e dei loro familiari per periodi di tempo molto lunghi [1]. Anche la revisione pubblicata da Vyse et al. nel 2013 documentò una qualità di vita più bassa nei sopravvissuti rispetto alla popolazione generale con effetti duraturi nel tempo (nell’intero arco di vita) [30]. QUALITÀ DI VITA NELLA FASE ACUTA DELLA MALATTIA MENINGOCOCCICA E NEL BREVE TERMINE Uno studio inglese condotto da Kennedy et al. su soggetti d’età < 16 anni sopravvissuti a malattia invasiva meningococcica (periodo di osservazione: novembre 2012 - maggio 2013) valutò, tramite la somministrazione del questionario EQ-5DY (5-dimensional questionnaire for youth sviluppato da EuroQoL), la perdita di QoL (Quality of Life) dovuta ai danni provocati dalla malattia da meningococco B durante il periodo peggiore della malattia e durante i mesi successivi (in media 134 giorni). Tale questionario è la versione pediatrica dell’EQ-5D (bambini d’età compresa tra 8 e 15 anni) e indaga vari aspetti della vita quotidiana come mobilità, indipendenza, svolgimento delle attività quotidiane, dolore e sfera emotiva. Ogni dominio è suddiviso in 3 livelli: senza problemi, problemi di moderata entità e problemi di entità severa. I risultati sono successivamente trasformati utilizzando pesi predeterminati per i singoli domini. La seconda valutazione considera un unico valore su una scala da 0 a 100 dove zero è la situazione peggiore. Furono intervistate 109 famiglie. Le sequele affliggevano il 36,7% degli intervistati e la sequela più frequente era la perdita di udito (20,2%). Dai risultati emerse che nei giorni peggiori di malattia il 69% dei pazienti aveva problemi gravi di mobilità, il 74% aveva problemi gravi di autonomia, il 75% non poteva eseguire le attività quotidiane, il 77% aveva dolore rilevante e l’80% era triste e infelice. La VAS (Visual Analogic Scale, che valuta l’intensità del dolore nei pazienti dove 0 è il valore peggiore) misurata al giorno peggiore era 6,5/100 e 95/100 alla data di follow-up (mediamente dopo 134 giorni). I soggetti con sequele a lungo termine avevano uno stato di salute significativamente peggiore al follow-up rispetto a quelli senza complicanze. Al follow-up il 93% dei pazienti affermava di non avere alcun problema di mobilità, il 92% riusciva a badare a sé stesso, il 91% riusciva a eseguire le solite attività quotidiane, l’86% dichiarava di non avere dolore e il 93% dichiarava di non essere preoccupato o infelice [37]. QUALITÀ DI VITA A MEDIO E LUNGO TERMINE Pochi studi hanno analizzato la qualità di vita correlata allo stato di salute a lungo termine nei sopravvissuti a malattia meningococcica. Sebbene l’impatto psico-sociale della malattia meningococcica sia importante, la stima della qualità di vita è influenzata anche dalle conseguenze socio-economiche derivate dalla malattia. Questi aspetti sono stati studiati in una ricerca condotta in Danimarca su 2.902 pazienti a cui era stata diagnosticata una meningite meningococcica. 2.077 pazienti furono seguiti fino al loro 20esimo compleanno e di questi 1.028 fino al 30esimo compleanno. Il gruppo di controllo era composto rispettivamente da 9.032 e 4.452 soggetti. I temi valutati furono: l’educazione, il lavoro e la sicurezza sociale ed economica. Per valutare l’educazione furono considerate le medie dei voti dell’ultimo anno di scuola primaria: i pazienti riportarono una media di votazione scolastica di 5,7 vs 5,9 dei controlli (OR = 1,58, 95% CI = 0,90-0,99). Confrontando i pazienti e i controlli all’età di 20 anni risultò che i controlli avevano completato l’istruzione secondaria in numero maggiore rispetto ai pazienti (43,8% vs 37,5%). All’età di 30 anni il 33,4% dei casi aveva frequentato l’università vs il 36% dei controlli. Riguardo all’attività lavorativa, all’età di 20 anni i pazienti avevano ricevuto una maggiore assistenza sociale (OR = 1,39, 95% CI = 1,00-1,93) e una percentuale più alta di persone riceveva la pensione di disabilità (OR = 2,52, 95% CI = 1,62-3,95). All’età di 30 anni il guadagno dei pazienti era statisticamente più basso rispetto a quello dei controlli (p = 0,001) [44]. Borg et al. nel loro studio [31] condotto su una coorte di adolescenti e giovani (16-18 anni; 19-22 anni; età media: 19,3 anni) affetti da malattia invasiva da meningococco valutarono anche la qualità di vita dopo 18-36 mesi dalla fase acuta. Il 56% dei casi era causato da meningococco B. Per ogni soggetto fu valutata la qualità di vita (Short Form 36 Health Survey - SF-36), la stanchezza quotidiana (11-item Chalder Fatigue Scale), lo stress della vita (Family Inventory of Life Events), il livello scolastico raggiunto (General Certificate of Secondary Education) e le funzioni cognitive. La qualità di vita fu valutata considerando i punteggi globali della componente fisica (48,4 nei casi vs 51,8 nei controlli) e della componente psicologica (46,6 dei casi vs 53,5 dei controlli); i punteggi più alti indicavano un migliore stato di salute. Per quanto riguarda il livello di fatica, il test valutava parametri quali la fatica fisica (punteggio da 0 a 21), la fatica psicologica (punteggio da 0 a 12) e la fatica globale (punteggio da 0 a 33) e punteggi più alti indicavano una condizione peggiore. Nel gruppo dei casi la fatica fisica era pari a 9 vs 8,3 dei controlli e la fatica psicologica era 4,6 nei casi vs 4 nei controlli. Per quanto riguarda il punteggio attribuito alla fatica globale, i casi ottennero un punteggio pari a 13,6 mentre i controlli 12,4. Inoltre, fu valutato il livello di stress considerando l’esperienza dei pazienti nei 12 mesi precedenti all’intervista (punteggi più alti erano correlati a un livello maggiore di stress); i punteggi dei casi non erano statisticamente superiori a quelli dei controlli (6 vs 7,1). Infine, è stato considerato l’ambito educazionale e scolastico: il punteggio rilevato nei casi era 8 vs 9 nei controlli. Inoltre, la percentuale di pazienti che non avevano raggiunto un livello di studio avanzato dopo la scuola secondaria era del 64%, mentre nei controlli era il 50%; la percentuale di pazienti che non aveva passato gli esami durante l’anno precedente era il 19% mentre nei controlli era l’8% [31]. In uno studio condotto in Olanda (1988-2001) Buysse et al. [45] valutarono la qualità di vita di 140 sopravvissuti alla malattia meningococcica utilizzando come indicatore HRQoL, che consiste in una scala che attribuisce un punteggio da 0 a 100 ai diversi domini di salute; punteggi più bassi corrispondono a uno stato di salute peggiore. Gli autori valutarono la qualità di vita dei pazienti e dei loro familiari tramite il “Child Health Questionnaire” (CHQ) (< 18 anni) e l’SF-36 per i soggetti d’età > 18 anni. IL CHQ misura il profilo di salute globale del bambino riferito ai domini fisici e psico-sociali, includendo i domini relativi alle abitudini di vita, all’autostima e agli effetti dello stato di salute del bambino sulla famiglia. La struttura è simile a quella dell’SF-36 utilizzato per gli adulti. Nello studio furono reclutati soggetti che avevano avuto malattia invasiva in un’età compresa tra 1 mese e 18 anni e intervistati a un follow-up mediano di 10 anni. Il CHQ era compilato dai familiari per tutti i pazienti d’età compresa tra i 4 e i 17 anni, inoltre i pazienti di età compresa tra i 12 e i 17 anni compilavano loro stessi il questionario. Per i soggetti ≥ 18 anni il questionario SF-36 fu compilato sia dai pazienti che dai familiari. Furono raccolti 140 questionari: 54 da pazienti di 4-11 anni, 38 da pazienti di 12-17 anni e 48 da pazienti con età ≥18 anni; l’età media dei pazienti al tempo del follow-up era di 14,6 anni. I punteggi dei soggetti arruolati furono confrontati con quelli relativi a un gruppo di controllo composto da bambini e adolescenti sani. I punteggi relativi al gruppo 4-17 anni (questionari compilati dai genitori) erano più bassi se paragonati a quelli dei bambini sani, in particolare riguardo ai domini fisici (92/100 vs 99/100), psico-sociali (76/100 vs 79/100) e sulla percezione globale dello stato di salute (64/100 vs 83/100). I pazienti con età compresa tra i 12 e i 17 anni avevano punteggi più bassi rispetto ai loro coetanei sani nella percezione dello stato di salute generale (66/100 vs 74/100). Per i soggetti d’età ≥ 18 anni i punteggi erano più bassi nei domini della vitalità (63/100 vs 71/100) e dello stato di salute fisico globale (49/100 vs 55/100). Nei pazienti d’età < 18 anni la percezione dello stato di salute globale era peggiore considerando sia i punteggi attribuiti dai pazienti stessi sia quelli assegnati dai familiari; questo risultato può essere correlato, non solo all’esperienza di salute associata alla fase acuta, ma anche alla preoccupazione per lo stato di salute futuro. I risultati dell’analisi relativi ai punteggi attribuiti dai genitori dei pazienti rilevarono che essi attribuivano punteggi più alti rispetto a quelli assegnati dai loro figli. Una probabile spiegazione potrebbe essere che, dopo il notevole stress provocato dalla fase acuta della malattia associata alla paura della possibile morte del figlio, essi siano più inclini a sottovalutare le sequele, in particolare se di lieve entità [39]. Globalmente la qualità di vita, con particolare riferimento ai domini fisici, era più bassa nei pazienti rispetto al gruppo di controllo in tutte le fasce d’età; gli autori ipotizzarono che i pazienti con gravi sequele fisiche (amputazioni e cicatrici estese) erano a maggior rischio di avere nel tempo una qualità di vita peggiore. Per meglio approfondire il problema gli autori proseguirono lo studio seguendo i pazienti per un periodo più lungo. I risultati ottenuti nello studio di follow-up, pubblicato nel 2010, rilevarono che livelli più bassi di qualità di vita erano associati con problemi comportamentali ed emozionali [10]. Vermunt et al. valutarono il possibile impatto dello shock settico meningococcico (la principale sequela erano le cicatrici) sull’autostima dei bambini e degli adolescenti tra gli 8 e i 17 anni a distanza di almeno 4 anni dalla fase acuta. In questo studio l’autostima fu valutata con la versione olandese del “Harter’s Self-Perception Profile for Children” (SPP-C) per i bambini tra gli 8 e gli 11 anni e tramite “Harter’s Self-Perception Profile for Adolescent” (SPP-A) per gli adolescenti tra i 12 e i 17 anni. Ogni questionario aveva l’obiettivo di indagare domini specifici: competenza scolastica, accettazione sociale, competenza atletica, aspetto fisico, comportamento e autostima globale. I punteggi più alti erano considerati migliori. Gli adolescenti maschi dai 12 ai 17 anni ottennero punteggi più bassi rispetto al gruppo di controllo riguardo alla competenza scolastica (13,4 vs 14,5), all’accettazione sociale (13,1 vs 15,3), alla competenza atletica (12,3 vs 14,8), all’aspetto fisico (12,7 vs 14,7), all’amicizia (12,1 vs 16,6) e all’autostima globale (12 vs 16). Le adolescenti dai 12 ai 17 anni conseguirono punteggi più bassi riguardo all’accettazione sociale (13,2 vs 15,4), all’amicizia (12,3 vs 17,7) e all’autostima globale (11,6 vs 14,9). Inoltre, fu anche valutata l’associazione tra sequele fisiche gravi e livello di autostima: risultò che i bambini con cicatrici cutanee avevano punteggi peggiori riguardo al dominio dell’accettazione sociale. Gli adolescenti con cicatrici, invece, avevano punteggi più bassi riguardo l’amicizia. Globalmente, lo studio evidenziò che gli adolescenti conseguivano risultati peggiori rispetto ai bambini; tale risultato può essere spiegato dal fatto che vivere l’esperienza di una malattia così grave determina nei pazienti in fase adolescenziale uno stato di vulnerabilità che può influenzare negativamente l’autostima [34]. Un successivo studio di Vermunt et al. valutò anche i problemi emotivi e comportamentali dei sopravvissuti a distanza di diversi anni (mediana di follow-up pari a 13 anni). Ai pazienti sopravvissuti fu somministrato il “Groninger Intelligence Test 2” per valutare la funzionalità intellettiva. La maggior parte dei pazienti mostrava buoni risultati nel test e una buona ripresa delle attività quotidiane e della frequenza scolastica o lavorativa. Ciò nonostante, il 5-20% dei sopravvissuti riferiva di avere ancora problemi comportamentali, problemi di funzionalità intellettiva e conseguenze sociali legate agli esiti della malattia [46]. Nello studio olandese di Groothenhuis et al., condotto su 38 bambini da 8 a 11 anni sopravvissuti a malattia meningococcica severa, seguiti per 1-7 anni dopo il ricovero in terapia intensiva, è emerso che nei sette domini analizzati per valutare la qualità di vita correlata alla salute, il 45% dei pazienti aveva difficoltà sul piano motorio e il 40% aveva problemi di autonomia. I risultati erano statisticamente significativi confrontati con quelli relativi a un gruppo di controllo composto da bambini sani [43]. Koomen et al. nel 2005 pubblicarono i risultati di uno studio che aveva l’obiettivo di descrivere la qualità di vita di bambini sopravvissuti a meningite batterica e di esaminare l’associazione tra le limitazioni in ambito scolastico e comportamentali. Furono osservati 182 bambini con età media di 9,7 anni (range 5,3-14,2) e confrontati con uno gruppo di bambini sani. Questi bambini non avevano avuto nella fase acuta malattia “severa” e non riportavano sequele invalidanti gravi. La qualità di vita fu valutata in media dopo 7,4 anni dalla fase acuta usando “Academic Achievement Test” e i loro genitori compilarono il “Child Behavior Checklist”, il “Child Health Questionnaire” e il “Health Utilities Index”. L’incidenza a lungo termine delle limitazioni in ambito scolastico e comportamentale era del 32%. Globalmente la qualità di vita nei bambini sopravvissuti era decrementata rispetto alla popolazione pediatrica di riferimento, specialmente negli aspetti psicosociali, cognitivi e di vita familiare. Gli effetti negativi sulla qualità di vita non erano significativamente influenzati dall’età, dal sesso, dal patogeno causale e dalla presenza di sequele neurologiche [47]. Focus su un caso clinico con gravi sequele permanenti L’amputazione quadrilaterale degli arti è una condizione assai rara che si rende inevitabile quando hanno luogo coagulopatie conseguenti alla sepsi, estese trombosi e gangrene. Nel 2004 Lowe et al. [48] pubblicarono il caso di un bambino australiano di 14 mesi, che in seguito a malattia meningococcica subì numerose amputazioni. In seguito all’infezione, il bambino fu ricoverato in terapia intensiva e dopo 3 settimane fu sottoposto ad amputazione dei quattro arti. Per richiudere le ferite e per sostituire i tessuti necrotici si resero necessari numerosi innesti cutanei. Tre mesi dopo la chirurgia, furono applicate delle protesi. Il paziente dimostrò di adattarsi velocemente alla sua condizione, cercando di compiere atti quotidiani come camminare o afferrare oggetti senza le protesi o l’aiuto di qualcuno, sebbene non riuscisse a seguire la terapia riabilitativa proposta. I giocattoli furono adattati alla sua condizione e alle sue capacità. Risultò difficile comprendere le sue esigenze psicologiche e valutare se le protesi potessero aiutarlo nei movimenti e nell’accettazione della sua nuova immagine corporea. Ritornò a casa dopo sei mesi di ricovero e la famiglia, coadiuvata da personale specializzato, riuscì a prendersi cura di lui. All’età di tre anni, la madre lo costrinse ad usare la sedia a rotelle quando fuori casa; questo non aiutò il bambino né dal punto di vista fisico né dal punto di vista psicologico. Quando possibile il bambino veniva lasciato libero di muoversi senza protesi. Le protesi furono adattate durante la sua crescita. Il futuro di questo bambino non è noto ma il suo caso ha richiesto un approccio multidisciplinare con il coinvolgimento di molte figure professionali (dal chirurgo allo psicologo) a supporto del bambino e della famiglia e notevoli sforzi economici. Conclusioni Attualmente nessuno studio ha analizzato l’impatto delle sequele da meningococco nel contesto italiano; pertanto, i risultati presentati nel seguente report di HTA provvengono da studi condotti in contesti internazionali in Paesi ad alto tenore socio-economico. Le principali sequele fisiche riportate negli studi sono: cicatrici cutanee, amputazioni (singole e multiple), deformazione degli arti e disfunzioni renali. Per quanto riguarda le sequele neurologiche le più frequenti e gravi sono: sordità (uni o bilaterale), deficit cognitivi, comunicativi e motori. Non di secondaria importanza sono i danni psichiatrici e psicologici provocati dalla malattia meningococcica nei pazienti e nei familiari, infatti molti sopravvissuti sono affetti da disordini post-traumatici da stress (fino al 62% dei pazienti). L’ansia e la depressione rappresentano le sequele psichiatriche più rilevanti. Inoltre, circa il 60% delle madri e il 40% dei padri segnalano, nella fase acuta e post-acuta della malattia dei loro figli, disturbi psichiatrici/psicologici che richiedono supporto specialistico. Pertanto, sebbene l’incidenza della malattia meningococcica sia bassa nei Paesi sviluppati genera un elevato impatto clinico, economico e sociale associato all’alta letalità (8-15%), alla gravità della fase acuta e alle numerose sequele singole (fino al 60%) e multiple ad essa correlate (circa il 30-35%). Occorre precisare che, il pesante impatto è anche correlato al fatto che la malattia colpisce prevalentemente i bambini, gli adolescenti e i giovani adulti., Introduzione La malattia invasiva da Neisseria meningitidis genera un rilevante impatto clinico, sociale ed economico (vedi capitolo 3). Nonostante la disponibilità di terapie antibiotiche adeguate, la malattia invasiva meningococcica è ancor oggi associata ad una elevata letalità e ad una rilevante percentuale di soggetti che sopravvivono con complicanze temporanee e/o a lungo termine [1-5]. Si stima che fino al 60% dei pazienti sopravvissuti, soprattutto bambini ed adolescenti, sviluppi sequele permanenti, condizioni assai debilitanti che riducono la qualità di vita del paziente e dei familiari [2, 6, 7]. La qualità della vita (QoL) nei pazienti sopravvissuti alla malattia meningococcica si riduce in base al tipo e alla gravità delle sequele (vedi capitolo 3). La percentuale di soggetti che presenta complicanze varia a seconda dell’età [8], della gravità della fase acuta e del sierogruppo coinvolto: le infezioni da sierogruppo B e C sono le più gravi, come confermato da numerosi studi [9, 10]. Le sequele possono essere fisiche, neurologiche, cognitive e psichiatriche di diversa gravità e associate a ingenti costi diretti e indiretti. I costi diretti comprendono i costi a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e si suddividono in: costi della fase acuta (ospedalizzazione, riabilitazione e risposta di Sanità Pubblica), costi relativi alla fase post-acuta (fino a 6 mesi dalla fase acuta) e costi sanitari associati allo sviluppo di sequele temporanee o permanenti (Fig. 1). I costi indiretti comprendono: il costo della morte, i costi legati alla perdita di produttività del paziente e dei familiari e al supporto psichiatrico e psicologico necessario durante la fase acuta di malattia; i costi associati alla gestione del paziente nella fase post-acuta (i costi associati al supporto psichiatrico/psicologico dei familiari, perdita di produttività del paziente e di un genitore); i costi associati alla gestione a lungo termine del paziente con sequele (perdita di produttività del paziente, educazione speciale, visite mediche private, pensione di inabilità, assegno di invalidità e indennità di accompagnamento, costi relativi al supporto psichiatrico e psicologico a lungo termine del paziente e dei familiari) (Fig. 2). Per il presente report di HTA è stata effettuata una ricerca sui principali motori di ricerca (Pubmed, Embase, Scopus) al fine di reperire gli studi che riportavano i costi associati alla malattia meningococcica, con particolare attenzione alle ricerche condotte in Italia e negli adolescenti. Ad oggi, non sono disponibili studi esaustivi che abbiano stimato tutti i costi della malattia meningococcica nel contesto italiano. Infatti, gli studi farmaco-economici, riguardanti la prevenzione della malattia meningococcica applicati alla realtà italiana, riportano dati di costo estrapolati da contesti internazionali [11-13]. Costi diretti COSTI DELLA FASE ACUTA I principali oneri finanziari associati alla fase acuta della malattia sono: i costi di risposta di Sanità Pubblica, di ospedalizzazione e di riabilitazione. COSTI DI RISPOSTA DI SANITÀ PUBBLICA La gestione di un caso di malattia pone la Sanità Pubblica di fronte a notevoli oneri finanziari nell’ottica di mitigare gli effetti della malattia sia a livello individuale sia a livello di popolazione per la prevenzione dei possibili casi secondari. I costi sono principalmente correlati alla gestione dei contatti: individuazione dei soggetti che sono venuti a contatto con il caso di malattia invasiva e l’offerta di chemioprofilassi e vaccinazione. Il percorso ha inizio dalla notifica di malattia invasiva meningococcica, che è obbligatoria secondo il Decreto Ministeriale del 1990. Trattandosi di una malattia infettiva di classe seconda, la modulistica deve essere compilata ed inviata all’Azienda Sanitaria Locale (ASL) di competenza entro 48 ore dall’osservazione del caso [14]. La segnalazione di un caso sospetto comporta l’attivazione immediata di misure di profilassi specifiche: la prima azione da eseguire è l’indagine epidemiologica, che consiste nell’individuazione dei soggetti che sono stati in contatto col paziente nei 7 giorni precedenti la data di diagnosi e la valutazione del rischio per altri eventuali contatti [15]. In particolare, i contatti sono suddivisi in “alto rischio” e “basso rischio”. Al primo gruppo appartengono i conviventi del caso (particolare attenzione deve essere rivolta ai bambini di età inferiore ai 3 anni) e i contatti scolastici nel caso di malattia nei bambini, negli adolescenti e nei giovani. Nello specifico i “contatti scolastici” nelle scuole dell’infanzia sono i bambini della sezione e quelli che hanno condiviso i locali comuni (area riposo, refettorio ecc.) con il caso indice, gli insegnanti e il personale di assistenza. Nelle scuole primarie, secondarie di primo e secondo grado sono i compagni di classe e gli insegnanti del paziente. Inoltre, sono considerati “contatti ad alto rischio” i soggetti esposti alle secrezioni del paziente (baci, spazzolini da denti, ecc.) e gli individui che hanno mangiato o dormito nella stessa abitazione del paziente. Occorre, invece, valutare il rischio per i colleghi di lavoro, per coloro che hanno condiviso con il paziente attività ludiche e/o permanenza in luoghi chiusi (ristoranti, piscine, discoteche, ecc.), per il personale sanitario e l’utenza eventualmente presente durante il ricovero (pronto soccorso, ambulatorio ecc.). Tra i “contatti a basso rischio” sono compresi i contatti casuali. Il numero medio dei contatti per ogni singolo caso è quindi variabile e, in caso di frequentazione di luoghi pubblici, il numero di esposti cambia considerevolmente. Lo studio di Scholz et al. del 2019 riporta un numero medio di contatti pari a 16,4 riferito al contesto tedesco [16]. Per la realtà italiana, questo numero potrebbe essere sottostimato poiché, ad esempio, le classi scolastiche tedesche sono meno numerose di quelle italiane. Il dato ISTAT aggiornato al 2014 riporta un numero di alunni frequentanti la scuola secondaria di primo grado pari a 1.743.587 soggetti divisi in 81.443 classi su tutto il territorio italiano. Ne consegue un numero medio di alunni per classe pari a 21,4 [17]. Il numero di componenti medio di una famiglia invece è di 2,4 persone per nucleo familiare (dati aggiornati al 2016-2017) [17]. Considerando anche i possibili contatti esterni alla scuola e alla famiglia, il numero di contatti per ogni caso di malattia invasiva potrebbe essere compreso in un range tra 30 e 35 soggetti. Le linee guida per la profilassi dei contatti non differiscono per età e sierogruppo; unica differenza riguarda la terapia, cioè il tipo di antibiotico da somministrare in base all’età e alla condizione (es. gravidanza). Secondo le linee guida ESCMID 2016 la terapia proposta è: rifampicina (dosaggio in base a età e peso; durata della terapia due giorni; può essere utilizzato in gravidanza ma solo dopo il I trimestre), oppure ciprofloxacina (solo adulti; durata della terapia un giorno; non somministrabile in gravidanza), oppure ceftriaxone (un’unica dose per bambini, adulti e in donne in gravidanza) [18]. Il costo medio per il trattamento antibiotico dei contatti è di circa € 4,24 a persona [19]. La somministrazione della vaccinazione antimeningococcica può essere presa in considerazione a completamento della profilassi antibiotica [20]. La schedula vaccinale varia a seconda dell’età del soggetto [21, 22]. Nei costi relativi alla risposta di Sanità Pubblica occorre includere anche i costi associati al tempo medio di lavoro del personale sanitario afferente ai Dipartimenti di Prevenzione e Sanità Pubblica delle ASL per gestire l’emergenza. Attualmente non sono disponibili dati italiani esaustivi; pertanto, per il presente report HTA sono stati analizzati i dati provenienti da ricerche internazionali. I costi riferiti alla prevenzione dei casi secondari sono molto differenti e associati al tipo di Sistema Sanitario di ogni Paese. I costi non differiscono in base al sierogruppo, pertanto sono stati analizzati anche gli studi economici riferiti alla vaccinazione con il vaccino anti-meningococco C e con il vaccino quadrivalente ACWY. Un recente studio canadese ha valutato strategie alternative in termini di costo-efficacia per l’immunizzazione dell’infanzia contro la malattia meningococcica con il vaccino monovalente C e il vaccino coniugato quadrivalente ACWY [23]. Relativamente al costo di risposta di Sanità Pubblica, gli autori hanno considerato come riferimento il valore riportato in una precedente analisi di costo-efficacia condotta negli Stati Uniti [24]. Nello specifico il costo ammontava a $CAN 4.250. I costi si riferivano al 2014. Uno studio americano pubblicato nel 2005 riportò un costo globale di Sanità Pubblica di $ 4.317 (riferiti al 2003) e considerava il numero medio di contatti che richiedevano il trattamento di chemioprofilassi, il costo medio di un ciclo di chemioprofilassi e il tempo medio di lavoro dedicato dagli operatori sanitari dei dipartimenti di Sanità Pubblica per singolo caso di malattia meningococcica [25]. Anonychuk A et al. pubblicarono nel 2013 una revisione sistematica sui costi e sul burden di Sanità Pubblica associato alle epidemie di malattia meningococcica. Gli autori analizzarono i dati provenienti da diversi articoli che quantificavano la risposta di Sanità Pubblica in caso di epidemia. In particolare, in uno studio canadese da loro analizzato, i costi per la chemioprofilassi dei contatti stretti e per la vaccinazione a scuola ammontavano a $ 5.014 (costi in $ americani attualizzati al 2010) che comprendeva i costi per lo staff infermieristico, amministrativo e del personale addetto alle pubbliche relazioni. Citarono, inoltre, un altro studio che prendeva in considerazione la gestione di un outbreak in Svizzera e la risposta di Sanità Pubblica richiese $ 54.483 (costi in $ americani attualizzati al 2010) [26]. Lo studio italiano del 2016 di Gasparini et al. ha calcolato il costo della Sanità Pubblica per un caso di malattia invasiva meningococcica. Dagli autori venne considerato, per ogni caso di malattia da meningococco, il numero medio dei contatti che richiedevano chemioprofilassi, il costo medio di un ciclo di trattamento di chemioprofilassi e il tempo medio di lavoro dedicato dalla Sanità Pubblica per la gestione di un singolo caso. Il costo medio corrispondeva a € 3.223 (i costi si riferivano al 2013) [11]. Anche lo studio di Scholz et al. del 2019 analizzò i costi della Sanità Pubblica, tenendo in considerazione il costo dello staff e della profilassi post-esposizione. Il costo corrispondeva a € 824 per ogni caso di malattia invasiva da meningococco. I costi erano riferiti al 2015 [16]. COSTI DI OSPEDALIZZAZIONE Nel presente report di HTA, i costi di ospedalizzazione sono calcolati utilizzando i Diagnosis Related Group (DRG). Per i dettagli si rimanda al capitolo 6 e, in particolare, alla tabella dei dati di input del modello. Poiché per il presente parametro di costo sono disponibili dati italiani, anche se non completamente esaustivi, al solo fine di ampliare l’evidenza sono stati analizzati i dati internazionali provenienti da studi recenti e da Paesi ad alto tenore economico. Uno studio australiano pubblicato nel 2014 osservò 109 bambini ospedalizzati tra il 2000 e il 2011 con l’obiettivo di stimare i costi ospedalieri associati con la malattia invasiva meningococcica. Gli autori considerarono i costi di ospedalizzazione della fase acuta per tutti i pazienti e i costi associati alla riammissione ospedaliera per i soggetti con sequele. I costi di ospedalizzazione erano valutati in relazione al sierogruppo, all’età, al sesso, al quadro clinico, all’assenza o presenza di sequele. I costi di riammissione ospedaliera per i soggetti con sequele erano stimati considerando il sierogruppo, l’età, il sesso e il quadro clinico diagnosticato nella fase acuta. I costi erano riportati in AUD (dollari australiani) contestualizzati al 2011. Il costo di ospedalizzazione medio per paziente era stimato in AUD 12.311,50. I costi erano circa il doppio per i soggetti con sierogruppo B (no B: AUD 10.329,6; B: AUD 23.774,1) e significativamente più alti nei soggetti con sequele (con sequele: AUD 35.323,5; no sequele: AUD 8.250,0). Nello specifico, il costo dell’ospedalizzazione era associato al quadro clinico: costi maggiori erano registrati nei soggetti con meningite e setticemia (AUD 24.076,2) mentre il costo per la sola meningite era pari a AUD 18.701,1 e quello per la setticemia AUD 19.300,4. I costi erano riferiti al 2011 [7]. Uno studio francese pubblicato nel 2016 ha valutato i costi di malattia invasiva da meningococco B estraendo tutte le ammissioni ospedaliere con diagnosi principale di meningite meningococcica (ICD-10 A39.0) e setticemia (ICD-10 A39.1, A39.2 e A39.4). I costi erano distinti per fascia d’età. Per la fascia 5-14 anni, il costo associato alla meningite era di € 5.919 e € 9.230 per la setticemia; quando erano presenti entrambi i quadri clinici, il costo era quantificato in € 9.230. I costi erano riferiti all’anno 2011 [27]. La revisione di Wang et al. del 2018 analizzò i costi della fase acuta della malattia invasiva da meningococco in vari Paesi del mondo. Tutti i costi (riferiti al 2014) sono stati convertiti in stime ponderate per la parità del potere d’acquisto (dollari internazionali I$) utilizzando il metodo “Metodi di economia di Campbell e Cochrane” e il convertitore di costi. Il costo medio della fase acuta per ogni paziente era compreso in un range tra I$ 1.629 (Colombia) e I$ 50.796 (USA). Le variabili chiave, come la presenza di sequele, sono state associate a costi di ospedalizzazione più elevati e ad una degenza più lunga [28]. Lo studio di Scholz et al. del 2019 ha valutato i costi della malattia invasiva da meningococco di sierogruppo B tramite una coorte di 343 pazienti ricostruita dal database dell’Istituto di Sanità Pubblica Nazionale tedesco nel periodo 2001-2016. Gli autori hanno analizzato, per ogni caso, i costi della fase acuta considerando quelli per la degenza: per la fascia di età 10-14 anni corrispondevano a € 9.439; per la fascia 15-19 anni € 7.837 e per la fascia 20-24 anni € 7.374. I risultati sono stati suddivisi per fasce di età evidenziando un maggiore costo nei pazienti più giovani, attribuibile al costo della gestione delle sequele a lungo termine e alla mancata produttività del paziente e dei genitori [16]. COSTI DELLE SEQUELE TEMPORANEE E/O PERMANENTI Come riportato nel capitolo 3, le sequele si possono suddividere in: fisiche, neurologiche, psichiatriche/psicologiche. Secondo lo studio inglese di Wright et al. del 2013, i costi relativi a un caso grave di meningite sono stimati in un range tra 160.000 e 200.000 sterline britanniche (prezzi del 2008-2009 indicizzati al 2010-2011) solo per il primo anno dopo la dimissione ospedaliera. Inoltre, lo studio sottolinea l’importanza della riabilitazione per l’intero arco di vita ma, soprattutto, nei primi anni dopo la malattia e la dimissione ospedaliera e di quanto il costo della riabilitazione debba essere preso in considerazione nelle valutazioni economiche [29]. Da questa analisi è emerso che le sequele più costose erano quelle neurologiche, in particolare la disabilità neurologica grave e quelle a carico dell’apparato uditivo, seguite dalle sequele psicologiche e fisiche, come anche confermato da numerosi studi tra cui lo studio di Shepard [25], Gasparini [11] e Scholz [16]. COSTI DELLE SEQUELE FISICHE Le sequele fisiche associate alla malattia invasiva meningococcica sono numerose e comprendono: esiti dermatologici (cicatrici cutanee, necrosi, eczema e psoriasi); esiti/condizioni muscolo-scheletriche (amputazioni, deformazioni degli arti, artrite e artralgie); malattie renali (insufficienza renale acuta e cronica, ritenzione urinaria); complicanze vascolari (fenomeno di Raynaud, trombosi venosa e vasculite) e altre condizioni fisiche (insufficienza surrenale, anemia, malattie polmonari, malattie autoimmuni, fatica cronica e insufficienza cardio-respiratoria). Lo studio del 2005 di Shepard et al. considerò il costo totale per alcune sequele: $ 5.698 per le cicatrici cutanee, $ 166.317 per l’amputazione singola e $ 199.317 per le amputazioni multiple. Il costo dell’amputazione comprendeva la procedura chirurgica oltre al costo a lungo termine (tra cui la riabilitazione). I costi espressi in dollari americani ($) erano riferiti al 2003 [25]. Wright et al. per le cicatrici e gli innesti cutanei riportarono un costo pari a £ 21.793 (i costi erano quantificati in sterline inglesi e si riferivano al 2008-2009). Il calcolo era basato sulla valutazione di un caso clinico di un bambino di 12 mesi, con setticemia da meningococco, shock settico severo, grave sindrome respiratoria acuta e insufficienza renale. Il paziente aveva sviluppato gangrena degli arti a causa della purpura fulminans e riportava necrosi cutanee importanti [29]. Lo studio di Gasparini et al. del 2016 considerò il costo annuale delle sequele fisiche che corrispondevano a: € 7.339 per l’amputazione con disabilità sostanziale, € 1.184 per l’artrite, € 1.066 per le necrosi cutanee, € 533 per le cicatrici, € 56.126 per il danno renale. Occorre considerare alcune considerazioni fatte da questo studio: il costo per l’amputazione includeva anche il costo a lungo termine (per esempio la manutenzione della protesi, la riabilitazione, etc.); il costo dell’artrite era solo per un anno in quanto è una complicanza che frequentemente si risolve in breve termine; il costo per il danno renale includeva sia la dialisi sia il danno d’organo permanente che portava al trapianto renale, assumendo come aspettativa di vita 5 anni [11]. Uno studio canadese del 2017 valutò il costo di alcune sequele fisiche a lungo termine tra cui: cicatrici cutanee $ 6.827, amputazione $ 146.871, danno renale $ 1.001.960. Bisogna sottolineare che non è stato specificato se i costi includevano anche quelli indiretti. I prezzi riferiti al 2015 erano espressi in dollari canadesi [30]. Lo studio di Scholz et al. del 2019 analizzò i costi delle sequele nel tempo. Per non incorrere in errori di valutazione, è bene tenere presente che il Sistema Sanitario tedesco è strutturato in maniera diversa da quello italiano. In questo studio, furono considerati i costi delle varie sequele per ogni caso nel primo anno e negli anni successivi. I costi del primo anno per le sequele fisiche erano pari a: € 13.023 per l’amputazione, € 2.026 per le cicatrici cutanee e € 10.181 per il danno renale. I costi annuali delle sequele negli anni successivi al primo corrispondevano a: € 2.413 per l’amputazione, a € 20 per le cicatrici cutanee e a € 4.532 per il danno renale [16]. COSTI DELLE SEQUELE NEUROLOGICHE Le sequele neurologiche sono le più numerose e le più complesse. I costi ad esse associati risultano più gravosi per il SSN considerando soprattutto il lungo termine. Per i dettagli sulle singole sequele neurologiche si rimanda al capitolo 3. Lo studio del 2005 di Shepard et al. considerò il costo totale per alcune sequele: $ 68.640 per la sordità (comprendeva il costo dell’impianto cocleare e della sua manutenzione), $ 2.503.677 per la disabilità neurologica includendo il costo della residential care [25]. Il report di HTA di Di Pietro et al. del 2013, prendendo spunto dalla letteratura, riportò il costo annuale delle sequele neurologiche: € 23.679,47 per la disabilità neurologica severa, € 7.339,86 per il ritardo mentale (disturbi cognitivi), € 1.914,96 per l’epilessia/convulsioni, € 1.114,85 per la cecità, € 7.667,98 per il deficit motorio, € 9.585,67 per i disturbi comunicativi severi [13]. Lo studio di Gasparini et al. del 2016 considerò il costo annuale delle sequele neurologiche che corrispondevano a: € 7.682 per il deficit motorio, € 4.076 per la cecità, € 2.272 per l’epilessia/le convulsioni, € 94.880 per la disabilità neurologica severa, € 7.507 per il ritardo mentale, € 6.327 per la sordità con impianto cocleare, € 3.163 per la sordità moderata/severa bilaterale/unilaterale, € 9.796 per i disturbi comunicativi severi e € 892 per l’emicrania. È bene ricordare alcuni aspetti, come ad esempio, il costo della sordità con impianto cocleare comprendeva, oltre al costo dell’impianto cocleare, anche quello del mantenimento a lungo termine; per quanto riguarda il costo della disabilità neurologica severa era considerato anche il costo a lungo termine delle cure istituzionali [11]. Lo studio di De Wals del 2017 valutò il costo totale a lungo termine di alcune sequele neurologiche tra cui: la sordità ($ 84.325) e la disabilità neurologica ($ 2.999.968). Bisogna sottolineare che lo studio non specificava l’inclusione o meno dei costi indiretti [30]. Lo studio tedesco di Scholz et al. del 2019 analizzò i costi delle sequele neurologiche per ogni caso di malattia al primo anno e negli anni successivi. I costi al primo anno per le sequele neurologiche erano pari a: € 48.046 per la sordità con impianto cocleare, € 2.986 per la sordità moderata bilaterale, € 2.986 per la sordità moderata unilaterale; € 2.277 per la disabilità neurologica severa, € 2.003 per il ritardo mentale/basso quoziente intellettivo (QI), € 1.921 per i deficit comunicativi, € 486 per i deficit motori, € 4.532 per epilessia/convulsioni e € 742 per cecità/disturbi visivi. I costi annuali per gli anni successivi al primo erano pari a: € 1.269 per la sordità con impianto cocleare, € 1.343 per la sordità moderata bilaterale/unilaterale; € 122 per la disabilità neurologica severa, € 82 per il ritardo mentale/basso QI, € 41 per i deficit comunicativi, € 41 per i deficit motori, € 4.532 per epilessia/convulsioni e € 742 per cecità/disturbi visivi [16]. COSTI DELLE SEQUELE PSICOLOGICHE/PSICHIATRICHE Le sequele psicologiche sono, in percentuale, le più frequenti e spesso sono associate ad altre tipologie di sequele. Sono descritte nel dettaglio nel capitolo 3. Il report di HTA di Di Pietro et al. del 2013, prendendo spunto dalla letteratura, riportò un costo annuale delle sequele psicologiche/psichiatriche di € 2.923,16 per la depressione e € 1.065,68 per l’ansia [13]. Uno studio farmaco-economico italiano del 2016 valutò il costo annuale di questa tipologia di sequele in € 1.146 per l’ansia e € 3.192 per la depressione [11]. Uno studio tedesco valutò i costi delle sequele psicologiche per ogni caso. Per il primo anno e per gli anni successivi erano pari a: € 1.538 per la ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività), € 464 per la depressione, € 269 per l’ansia e € 2.487 per l’ansia da separazione [16]. Costi indiretti I costi indiretti comprendono: il costo della morte, i costi legati alla perdita di produttività del paziente e dei familiari e al supporto psichiatrico e psicologico necessario durante la fase acuta di malattia per la famiglia; i costi associati alla gestione del paziente nella fase post-acuta (i costi associati al supporto psichiatrico/psicologico dei familiari, perdita di produttività del paziente e di un genitore) e i costi associati alla gestione del paziente con sequele (perdita di produttività del paziente, educazione speciale, visite mediche private, pensione di inabilità, assegno di invalidità e indennità di accompagnamento, costi relativi al supporto psichiatrico e psicologico a lungo termine del paziente e dei familiari). COSTO SOCIALE DELLA MORTE Per valutare i costi sociali della morte di un paziente, gli approcci che solitamente si utilizzano sono: “willingness to pay” e lo “human standard capital”. Come anche considerato in precedenti studi, quali Gasparini et al. [11], in questo capitolo sono stati considerati i due metodi separatamente. Il costo è stato calcolato considerando l’età a cui è sopraggiunta la morte. I prezzi espressi in € sono stati aggiornati a gennaio 2018 (Tab. I). Secondo Scholz et al. [16] il costo della morte secondo lo “Human Standard Capital” varia molto in base all’età di decesso del soggetto: più alto nelle fasce d’età 1-4 anni e 10-14 anni, per poi decrescere significativamente al passare degli anni; in totale il capitale perso nell’arco della vita in media è pari a € 36.583 per ogni soggetto (prezzi aggiornati al 2015). COSTO INDIRETTO DELLA FASE ACUTA L’unico studio reperito che riporta i costi indiretti della fase acuta è quello di Scholz et al. [16] che attribuisce € 1.322 come costo medio per ogni singolo caso. COSTO DELLA TERAPIA PER IL DANNO PSICOLOGICO/PSICHIATRICO Attualmente non sono pubblicati studi che quantificano il costo complessivo delle sedute psicologiche/psichiatriche e dell’eventuale terapia farmacologica necessaria ai soggetti e ai loro familiari e che rientrino nella spesa familiare e non a carico del Sistema Sanitario Nazionale. COSTO DELL’EDUCAZIONE SPECIALE I soggetti colpiti da malattia invasiva e che riportano gravi sequele fisiche, neurologiche e psicologiche/psichiatriche, spesso necessitano di un supporto educazionale specifico durante l’attività scolastica. Lo Stato italiano mette a disposizione insegnanti di sostegno nelle scuole per coloro che presentano gravi deficit fisici, di apprendimento, deficit comunicativi e problemi comportamentali. Dalla letteratura sono disponibili dati che descrivono realtà diverse da quella italiana ma comunque comparabili. Secondo lo studio di Wright et al. [29], l’educazione speciale ammonta a € 5.311,67 per ogni anno scolastico e l’assunzione di un insegnante di sostegno dedicato costa € 17.640,68 all’anno (costi convertiti in € e aggiornati a gennaio 2018). Il servizio è garantito fino ai 19 anni di età. Gasparini et al. [11] riportano la cifra di € 14.566 riferita al 2013 per i costi annuali di educazione speciale. De Wals [30] nel suo studio del 2017 ha valutato l’educazione speciale pari a CAN$ 166.008 per la fascia d’età 10-17 anni. Il costo complessivo dipende dall’età del paziente, dal tipo di sequela e dalla sua gravità. PERDITA DI PRODUTTIVITÀ DEL SOGGETTO E DI UNO DEI GENITORI Risulta difficile quantificare la perdita di produttività del paziente e dei genitori, pertanto è solo possibile formulare delle ipotesi. Il valore dipende dall’età, dalla gravità della malattia e dal sistema assistenziale e previdenziale dei diversi Paesi. Gasparini et al. [11] hanno ipotizzato una perdita di produttività di uno dei genitori pari a € 870 per la fase acuta e € 24.500 annuali per gli anni successivi (diverso in base alla gravità della sequela). La perdita di produttività del paziente per la fase acuta era quantificata in € 1.426 e il costo annuale era uguale a quello dei genitori (costi riferiti a gennaio 2013). Lo studio di Scholz et al. [16] quantificò le giornate di lavoro perse in 92 giorni medi per il caso-base. Inoltre, suddivise gli introiti persi per sesso e fasce di età: i soggetti di sesso maschile nella fascia 10-24 anni avevano un guadagno pro-capite medio pari a € 16.728, dai 25 ai 64 anni € 43.070 e oltre 65 anni € 14.394; i soggetti di sesso femminile nella fascia 10-24 anni avevano un guadagno pro-capite medio pari a € 14.107, dai 25 ai 64 anni € 25.984,4 e oltre 65 anni € 8.382. SISTEMA PREVIDENZIALE ITALIANO Gli Enti Pubblici Previdenziali italiani, basati sull’art. 38 della Costituzione Italiana, si occupano di previdenza e di assistenza e comprendono una serie di prestazioni previdenziali quali pensione di vecchiaia, di anzianità, di invalidità, di inabilità, di reversibilità, ecc. Il principale ente previdenziale italiano è l’INPS (Istituto Nazionale Previdenza Sociale). Secondo la gestione INPS, la pensione di inabilità per invalidi civili è intesa come prestazione economica, erogata su domanda, in favore di soggetti ai quali è riconosciuta un’inabilità lavorativa totale (100%) e permanente (invalidi totali) e che si trovano in stati di bisogno economico. Il beneficio economico è corrisposto agli invalidi totali di età compresa tra i 18 e i 67 anni e che soddisfano i requisiti sanitari e amministrativi previsti. L’importo mensile ammonta a € 285,66 per 13 mensilità, con possibile maggiorazione che diventa assegno sociale superati i 67 anni. L’importo dell’assegno è pari a € 458,00 per 13 mensilità [31]. L’assegno ordinario di invalidità, invece, è corrisposto a coloro la cui capacità lavorativa è ridotta a meno di un terzo a causa di infermità fisica o mentale; all’età pensionabile si trasforma in pensione di vecchiaia. L’importo è variabile in base a un calcolo che considera il sistema contributivo e quello retributivo [31]. L’indennità di accompagnamento è una prestazione economica, erogata a domanda, a favore degli invalidi civili totali a causa di minorazioni fisiche o psichiche per i quali è stata accertata l’impossibilità di deambulare senza l’aiuto di un accompagnatore oppure l’incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita. Spetta ai cittadini per i quali è stata accertata la totale inabilità (100%), residenti in forma stabile in Italia, indipendentemente dal reddito personale annuo e dall’età. L’importo è di € 517,84 per 12 mesi. L’indennità di accompagnamento è inoltre compatibile e cumulabile con la pensione di inabilità, con le pensioni e le indennità di accompagnamento per i ciechi totali o parziali (soggetti pluriminorati) [31]. L’indennità speciale è una prestazione economica, erogata a domanda, in favore dei soggetti riconosciuti ciechi parziali. L’indennità spetta al solo titolo della minorazione, cioè è indipendente dall’età e dalle condizioni reddituali. L’indennità è corrisposta per 12 mensilità e per l’anno 2016 l’importo era pari a € 206,59 mensili [31]. L’indennità di comunicazione è una prestazione economica rilasciata su richiesta a chi è stata riconosciuta una sordità congenita o acquisita durante la crescita indipendentemente da età e reddito. La somma erogata è pari a € 256,89 in 12 mensilità. La prestazione è compatibile con lo svolgimento di un’attività lavorativa e con le altre prestazioni dirette concesse per invalidità di guerra, di lavoro o di servizio [31]. Attualmente non sono pubblicati studi che riportino la quantificazione dei costi previdenziali associati alla malattia meningococcica e alle relative sequele. Riuscire a correlare il costo a carico dell’ente previdenziale italiano con la malattia meningococcica è molto difficile e complesso, pertanto tale voce di costo non è stata considerata nel presente report HTA. Occorre però sottolineare che questi costi potrebbero assumere grande rilevanza per i soggetti con sequele gravi (danni neurologici gravi, sordità, amputazioni, cecità ecc.) poiché queste sequele sono molto invalidanti e, nei casi più gravi, i soggetti sono incapaci di svolgere autonomamente le attività quotidiane necessitando di un supporto costante. Inoltre, molti pazienti sono incapaci di svolgere attività lavorativa. Focus su alcuni casi clinici e relativi costi Lo studio di Benard et al. aveva l’obiettivo di descrivere due scenari di meningite meningococcica e setticemia con purpura fulminans, con i relativi costi (espressi in €, aggiornati al 2013), considerando i costi diretti e indiretti per l’intero arco di vita (caso A e caso B). Il caso A descrive la storia clinica di un bambino di 3 anni con presentazione clinica di setticemia e purpura fulminans, con esito di amputazione bilaterale sotto il ginocchio. Dopo la dimissione dall’ospedale, il bambino frequentò un centro di riabilitazione per 4 mesi, 5 volte a settimana. In seguito alla guarigione delle ferite, il paziente ricevette un trapianto di cute per riparare il danno dermatologico derivato dall’amputazione. Dopo il ritorno a casa, i genitori assunsero una collaboratrice domestica per 3 mesi. Inoltre, le medicazioni delle ferite furono trattate da un’infermiera a domicilio. Il paziente subì diverse altre operazioni a causa di complicazioni dovute all’amputazione. Prima della malattia, la madre del paziente lavorava a tempo pieno percependo il salario minimo francese, mentre il padre lavorava a tempo pieno con salario medio francese. In seguito alla malattia del figlio, la madre smise di lavorare per 6 mesi e successivamente riprese in regime part-time. La famiglia del paziente ricevette assegni parentali per 6 mesi e in seguito assegni da Handicapped Child Education Aid fino al raggiungimento dei 20 anni del paziente. Il paziente continuò a studiare per 3 anni dopo il diploma e a 21 anni trovò un impiego a tempo pieno in un ufficio e visse in autonomia dai genitori. Il paziente morì a 77 anni. Per il caso A, fu ipotizzato anche uno scenario alternativo in cui il paziente sviluppava un’insufficienza renale cronica e necessitava di 4 trapianti di rene nel corso della sua vita. La maggior parte dei costi erano riferiti alle protesi (€ 281.595), all’equipaggiamento speciale (€ 109.760), all’educazione (€ 100.315), all’aiuto domestico (€ 82.099) e all’assistenza ospedaliera (€ 58.694). La perdita di reddito fu ipotizzata pari a € 77.214. Il costo totale scontato del caso A era pari a € 768.875. Nel caso dello scenario con insufficienza renale cronica il costo scontato era pari a € 1.480.546. Il caso B riguardava una bambina di 3 anni con presentazione clinica di meningite meningococcica ricoverata in terapia intensiva. La paziente presentava convulsioni e complicanze da encefalite severa. In seguito alla malattia, la paziente presentava deficit cognitivi, emiplegia, emianopsia laterale, disturbi del comportamento e idrocefalo. In seguito alla dimissione ospedaliera, la paziente fu trasferita in un centro di riabilitazione per 5 mesi. Durante la sua vita, la paziente fu sottoposta a interventi neurochirurgici di shunt ventricolo-peritoneali. A causa della sua condizione clinica, la paziente, nel corso della sua vita, necessitò di una sedia a rotelle e un busto di supporto per i problemi di deambulazione. A livello scolastico, la paziente frequentò un centro specializzato (Medical-Educational Institute). Prima della malattia, il padre e la madre lavoravano a tempo pieno percependo il salario medio francese. In seguito alla malattia, la madre smise di lavorare per 7 mesi e poi tornò a lavorare in regime part-time. La famiglia ricevette un assegno parentale per 6 mesi e un contribuito Handicapped Child Education Aid fino al 20° compleanno della paziente. All’età di 20 anni la paziente fu inserita in una residenza protetta a tempo pieno fino al suo decesso, avvenuto all’età di 55 anni. Lo scenario alternativo prevedeva anche un trattamento farmacologico per trattare l’epilessia e l’inserimento di un impianto cocleare per la sordità grave. Il costo totale scontato, nello scenario B, risultò di € 1.924.475: la spesa maggiore era associata all’educazione (€ 835.922), alla permanenza in una residenza protetta (€ 669.308), alla perdita di reddito (€ 159.244) e all’equipaggiamento speciale (€ 130.660) [32]. Lo studio di Darbà et al. valutò i costi medici, educazionali e sociali dei sopravvissuti a malattia invasiva meningococcica nella prospettiva del Sistema Sanitario spagnolo. Gli autori descrissero due scenari di quadri clinici differenti: il paziente A con setticemia e il paziente B con meningite meningococcica. I costi non scontati erano espressi in € e aggiornati all’indice dei prezzi al consumo del 2012. Il paziente A, all’età di 12 mesi, presentò problemi respiratori, renali e purpura fulminans, in seguito alla quale dovette subire l’amputazione di entrambi gli arti inferiori sopra il ginocchio e di un braccio sopra il gomito con un costo pari a € 934.186 per gli impianti protesici oltre ai € 21.683 per la loro revisione e manutenzione. Il paziente A trascorse 31 giorni in terapia intensiva e altri 90 giorni nel reparto di pediatria con un costo totale pari a € 139.269. In seguito alla dimissione, il paziente A necessitò di appuntamenti regolari dal pediatra, dall’ortopedico, dal fisiatra, dal fisioterapista e dal chirurgo plastico fino all’età di 18 anni e di visite periodiche per le protesi per un costo totale di € 13.400 e di € 11.139 per l’equipaggiamento speciale. Il paziente A frequentò la scuola primaria e secondaria con l’aiuto di un insegnante di sostegno (€ 33.449) e necessitò di trasporti speciali per raggiungere la scuola (€ 6.013). Inoltre, necessitò di sedute di psicoterapia fino all’età di 20 anni (€ 34.934 per i farmaci). Anche i familiari necessitarono di sedute psicologiche. Uno dei genitori abbandonò il proprio lavoro per seguire il paziente, per cui il reddito familiare diminuì; per tale motivo la famiglia ricevette servizi sociali personali, un’indennità e una sovvenzione per servizi ai disabili (il costo totale per tutti questi servizi era pari a € 733.841). Il paziente frequentò 4 anni di Università e ottenne un lavoro grazie al quale divenne indipendente dai suoi genitori. Il paziente B fu colpito da meningite meningococcica all’età di 3 anni, con esiti neurologici gravi, tra cui epilessia e sordità. Il paziente B fu ricoverato in terapia intensiva per 26 giorni e nel reparto di pediatria per 100 giorni (costo complessivo € 112.840). A causa delle gravi sequele neurologiche ebbe bisogno di regolari visite dal neurologo, dal fisiatra, dal chirurgo pediatrico e dall’oftalmologo per un costo totale pari a € 43.126. Inoltre, a causa dei problemi di deambulazione, il paziente utilizzò la sedia a rotelle per tutta la sua vita e a causa della sordità furono necessari due impianti cocleari (sostituiti all’età di 13 anni) con un costo di € 11.715. Il paziente B frequentò una scuola speciale fino all’età di 18 anni e, in seguito, un centro diurno per disabili (€ 201.977). Uno dei genitori abbandonò il lavoro durante la fase acuta della malattia, per poter seguire il paziente, con conseguente decremento del reddito familiare. Per questo motivo alla famiglia furono attribuiti un’indennità, l’attivazione di servizi sociali personali e un aiuto economico per il trasporto del paziente. Il costo dei servizi sociali personali fu pari a € 1.240.281. Il paziente ricevette una pensione a causa della sua inabilità al lavoro, dall’età di 18 anni [33]. Conclusioni Sebbene rara nei Paesi ad alto tenore socio-economico, la malattia invasiva da meningococco e le sue complicanze a breve, medio e lungo termine generano ingenti costi diretti e indiretti. Al fine di fornire una valutazione dettagliata e approfondita dei costi della malattia sono stati considerati sia i costi diretti, ovvero a carico del SSN, sia i costi indiretti ovvero a carico della società (costi a carico di altri comparti dello Stato, della famiglia e della società in generale). Inoltre, per effettuare una valutazione ancora più precisa, ogni categoria di costo (diretti e indiretti) è stata suddivisa per le tre fasi di malattia: fase acuta; post-acuta e a lungo termine con sequele. L’impatto economico principale è generato dai costi diretti e indiretti associati alle sequele; in particolare, le sequele con un maggior impatto economico sono quelle neurologiche a carico dell’apparato uditivo e quelle che determinano un ritardo mentale. Tra i costi indiretti è necessario evidenziare i costi associati all’educazione speciale (sempre a carico dello Stato) necessaria a supporto del percorso scolastico del paziente. Inoltre, non di secondaria importanza sono i costi associati alla perdita di produttività del paziente e dei genitori che spesso sono costretti a lasciare il lavoro e alla necessità di un supporto psichiatrico/psicologico per il paziente e per i caregiver. Infine, occorre sottolineare le forti sottostime dei costi dovute alla mancanza di dati sulle frequenze delle sequele multiple e le loro combinazioni e alla mancanza di dati di costo relativi al contesto italiano. Pertanto, sarebbe importante programmare studi italiani per la valutazione dei costi diretti e indiretti della malattia meningococcica., Introduzione Trumenba® è un vaccino indicato per l’immunizzazione attiva di soggetti di età pari o superiore a 10 anni per prevenire la malattia meningococcica invasiva causata da Neisseria meningitidis sierogruppo B (Men B). È un vaccino costituito da due varianti ricombinanti lipidate della proteina legante il fattore H (fHbp). La proteina fHbp è presente sulla superficie del meningococco ed è essenziale al microrganismo per eludere le difese immunitarie dell’ospite. Le varianti di fHbp sono suddivise in due sottofamiglie immunologicamente distinte, A e B, e oltre il 96% dei ceppi di Men B isolati in Europa esprime sulla superficie batterica varianti di fHbp di entrambe le sottofamiglie [1]. L’immunizzazione con Trumenba® ha lo scopo di stimolare la produzione di anticorpi battericidi che riconoscano l’fHbp espressa dal meningococco [1]. Sfide nello sviluppo di un vaccino contro il meningococco di sierogruppo B I polisaccaridi della capsula di Neisseria meningitidis (N. meningitidis) sono importanti fattori di virulenza che inibiscono i meccanismi di protezione della cellula ospite. La maggior parte dei vaccini disponibili contro il meningococco utilizza un frammento derivato dai polisaccaridi capsulari per innescare una risposta immunitaria con produzione di anticorpi [2]. Sebbene questa strategia abbia avuto successo nello sviluppo di vaccini contro i sierogruppi A, C, W e Y, non altrettanto si può dire per il sierogruppo B poiché la capsula di quest’ultimo è composta da polimeri dell’acido N-acetilneuraminico α 2-8, che si trova anche sul neurone umano come molecola di adesione cellulare (NCAM), rendendo i vaccini mirati contro i polisaccaridi del sierogruppo B non immunogenici negli esseri umani. Poiché i vaccini polisaccaridici non sono efficaci contro il Men B, è stata ideata e implementata una nuova strategia per lo sviluppo di vaccini contro questo sierogruppo: è stato identificato un antigene proteico conservato esposto sulla superficie batterica con l’obiettivo di fornire un’ampia copertura contro i diversi ceppi di Men B [3]. Sviluppo di Trumenba® Lo sviluppo di Trumenba® è iniziato con l’identificazione di proteine esposte sulla superficie del batterio con la capacità di stimolare la produzione di anticorpi battericidi e conferire protezione immunitaria contro un ampio spettro di ceppi di Men B. La lipoproteina 2086 (LP2086), o fHbp, espressa sulla superficie del batterio, è stata identificata come importante fattore di virulenza. Infatti, durante un’infezione, fHbp è coinvolto nell’interazione di N. meningitidis con il sistema immunitario dell’organismo ospite legando un regolatore negativo del complemento, il fattore H, alla superficie del batterio e riducendo l’attività battericida mediata dal complemento [4, 5]. Le diverse varianti di fHbp sono suddivise in due sottofamiglie immunologicamente distinte, A e B, che mostrano limitata cross-reattività [6]. L’identificazione di fHbp ha portato allo sviluppo di Trumenba®, l’unico vaccino contro il Men B che contiene due antigeni fHbp: una variante da ciascuna sottofamiglia (A05 e B01) per conferire una più ampia copertura contro la malattia da Men B [1, 7-9]. Per valutare la potenziale dimensione di copertura del vaccino Trumenba® contro ceppi di Men B causa di malattia invasiva, sono state condotte ampie valutazioni su migliaia di isolati di N. meningitidis di sierogruppo B raccolti tra il 2000 e il 2006 dai laboratori di riferimento sulle malattie invasive da meningococco del Regno Unito, Norvegia, Repubblica Ceca, Francia, Stati Uniti, Germania e Spagna. Queste ricerche hanno permesso di comprendere la distribuzione e la diversità di sequenza di fHbp. Inizialmente, sono stati raccolti 1.263 isolati per stabilire un pool rappresentativo di ceppi Men B invasivi. Questo pool di ceppi di Men B rappresentativo è stato definito “pool di ceppi di Meningococco B valutati al test SBA (Attività Battericida Sierica)”. Il pool è stato successivamente integrato con 551 ceppi provenienti dalla Spagna e dalla Germania [10]. Un totale di 198 diverse sequenze amminoacidiche di fHbp (denominate varianti) è stato identificato nel pool esteso e circa l’80% degli isolati da malattia invasiva esprimeva una delle 10 varianti di fHbp prevalenti. Le sequenze amminoacidiche delle diverse varianti di fHbp sono state utilizzate per costruire alberi filogenetici al fine di descrivere la relazione delle sequenze delle singole varianti. Le varianti di fHbp segregano in due sottofamiglie distinte, denominate A e B. Il 30% dei ceppi di Men B ipervirulenti esprimeva varianti di fHbp appartenenti alla sottofamiglia A e il 70% varianti di fHbp della sottofamiglia B. La maggior parte degli isolati nel pool (77%) esprimeva una delle varianti di fHbp B24, B16, A22, B03, B44, B09, A19, A12, A05 e A07. Ceppi di Men B, causa di focolai recenti in Francia e negli Stati Uniti, esprimevano per la maggior parte varianti di fHbp simili eccetto che per due nuove varianti (B153 e B228) [9, 11-13]. Il livello di espressione di fHbp sulla superficie del batterio è un importante fattore che influenza la suscettibilità dei ceppi di Men B agli anticorpi battericidi sierici indotti dalla vaccinazione con Trumenba®. Per valutarlo è stato sviluppato e validato il saggio Meningococcal Antigen Surface Expression (MEASURE) che utilizza un anticorpo che si lega a tutte le varianti di fHbp di entrambe le sottofamiglie e ne quantifica accuratamente il livello. Il saggio è in grado di correlare il livello di espressione superficiale di fHbp all’uccisione dei ceppi Men B nei saggi dell’attività battericida sierica con complemento umano (hSBA). Dai risultati di uno studio multicentrico internazionale che ha valutato più di 2.150 isolati di Men B, raccolti nel periodo 2000-2014 in 7 Paesi europei, negli Stati Uniti e in Canada, è emerso che il 91% dei Men B isolati esprimevano livelli di fHbp sufficienti per essere suscettibili all’azione battericida degli anticorpi indotti dal vaccino [1]. Il test hSBA è stato utilizzato per misurare la quantità di anticorpi nel siero stimolati dal vaccino in grado di innescare l’attività battericida complemento-dipendente [1]. Sviluppo clinico Nell’ambito del programma di sviluppo clinico, Trumenba® si è dimostrato capace di stimolare la produzione di anticorpi verso diversi ceppi di Men B ipervirulenti. Nello specifico, la vaccinazione con Trumenba® stimola la produzione di anticorpi contro l’fHbp che si legano alla proteina target espressa sulla superficie di N. meningitidis. Trumenba® ha la capacità di indurre la produzione di anticorpi sia contro le diverse varianti appartenenti alla sottofamiglia A di fHbp sia contro quelle appartenenti alla sottofamiglia B. Come parte del programma di sviluppo clinico, Trumenba® è stato testato contro diversi ceppi di Men B, individuati durante gli studi preclinici, che esprimevano varianti di fHbp diverse da quelle contenute nel vaccino ma rappresentative (in termini di frequenza di espressione) dei ceppi circolanti ipervirulenti: in particolare, sono stati individuati 4 ceppi primari (A22, A56, B24 e B44) e 10 ceppi aggiuntivi (A06, A07, A12, A15, A19, A29, B03, B09, B15 e B16) [1, 9, 14]. A causa della bassa incidenza della patologia meningococcica invasiva, non è possibile valutare l’efficacia dei vaccini anti-meningococco direttamente tramite trials clinici. L’efficacia dei vaccini antimeningococcici è dedotta dimostrando l’induzione di anticorpi battericidi (immunogenicità). Immunogenicità L’immunogenicità è misurata tramite il test che valuta la capacità di induzione di anticorpi battericidi sierici in presenza di complemento umano (test hSBA). Il test SBA è una misura funzionale della capacità degli anticorpi indotti dal vaccino per determinare la morte di N. meningitidis. Titoli hSBA ≥ 1:4 sono accettati come risposta immunitaria protettiva contro la malattia da meningococco [1, 15, 16]. Nei trials più significativi l’immunogenicità di Trumenba® è stata valutata misurando la risposta anticorpale contro i quattro ceppi test che sono stati definiti primari. Ognuno di loro esprimeva varianti fHbp eterologhe rispetto a quelle contenute nel vaccino e, nello specifico: A22, A56, B24 e B44. Questi ceppi sono stati scelti per avere un panel rappresentativo di isolati di Men B circolanti in Europa e negli Stati Uniti (epidemiologicamente rilevanti in termini di frequenza). Nelle analisi di immunogenicità di Trumenba®, una risposta è stata definita protettiva quando si raggiungeva un titolo hSBA ≥ 1:8 o ≥ 1:16, a seconda del ceppo utilizzato come test. Gli endpoint primari erano rappresentati dall’aumento di quattro volte dei titoli hSBA. Inoltre, sono stati valutati anche i titoli compositi, che riflettono una risposta composita a tutti e 4 i ceppi primari [1]. I campioni di siero per l’analisi dell’immunogenicità erano prelevati dai soggetti arruolati negli studi clinici controllati prima della somministrazione della prima dose di vaccino (baseline) e approssimativamente un mese dopo la seconda o la terza dose (sulla base della schedula vaccinale utilizzata). Gli studi clinici controllati condotti per valutare l’immunogenicità e la sicurezza di Trumenba® sono riportati in Tabella I. La capacità di Trumenba® di indurre una robusta risposta immune battericida è stata dimostrata precocemente in studi clinici di fase I e II [17-24]. STUDI CLINICI DI FASE III Due studi clinici controllati di fase III multicentrici sono stati svolti per valutare l’immunogenicità e la sicurezza di Trumenba® in una popolazione di soggetti adolescenti di 10-18 anni (ClinicalTrials.gov number NCT01830855) e giovani adulti di 18-25 anni (ClinicalTrials.gov number NCT01352845) [16]. Entrambi gli studi erano di fase III randomizzati e controllati versus sostanza attiva (vaccino HAV/soluzione salina) o placebo (soluzione salina) [16]. In entrambi gli studi Trumenba® è stato testato contro 4 ceppi test di Men B (rappresentanti della diversità dei ceppi di Men B circolanti) ed è stato confermato contro 10 ceppi aggiuntivi. Per entrambi gli studi i cinque endpoint primari erano rappresentati dalla proporzione di soggetti con un aumento di almeno quattro volte del titolo hSBA per ciascuno dei ceppi test primari (4) e la proporzione di soggetti con una risposta composita definita come un titolo hSBA ≥ al limite inferiore di quantificazione (1:8 [A56, B24 e B44] o 1:16 [A22]) per tutti e quattro i ceppi test primari, ciascuno valutato un mese dopo la terza dose di vaccino. Gli endpoint secondari includevano la risposta immunogenica a 10 ceppi aggiuntivi misurati dai titoli hSBA al di sopra della soglia pre-definita. Nello studio relativo agli adolescenti dopo 3 dosi di Trumenba®, la proporzione di soggetti con aumenti nei titoli hSBA ≥ 4 variava dal 78,8% al 90,2%. La risposta composita ai 4 ceppi test dopo 3 dosi di Trumenba® era dell’83,5% (Fig. 1) [1, 16]. Un’alta percentuale di soggetti che avevano ricevuto 3 dosi di Trumenba® raggiungeva un titolo hSBA ≥ 1:8* per i 4 ceppi di test primari e i 10 ceppi aggiuntivi (≥ 1:16 per A06, A12, A19 e A22) (Fig. 2). Lo studio clinico condotto nei giovani adulti (18-25 anni) riportò che un mese dopo la terza dose di vaccino, una percentuale di soggetti compresa tra il 79,3% ed il 90,0% raggiungeva un incremento ≥ 4 volte nei titoli anticorpali hSBA. La risposta composita a tutti i quattro ceppi primari dopo 3 dosi di Trumenba® era del 84,9% (Fig. 3) [1, 16]. Un’alta percentuale di soggetti che aveva ricevuto 3 dosi di Trumenba® raggiungeva, inoltre, un titolo hSBA ≥ 1:8 per i 4 ceppi test primari e 10 ceppi aggiuntivi (≥ 1:16 per A06, A12, A19 e A22) (Fig. 4). In entrambi gli studi sono stati raggiunti gli obiettivi prefissati, dimostrando il potenziale di Trumenba® nel fornire una robusta risposta immunologica contro ceppi di Men B antigenicamente ed epidemiologicamente diversi [16, 17]. STUDI CLINICI DI FASE II In uno studio di fase II, controllato randomizzato e multicentrico, è stata valutata l’immunogenicità di una schedula a 2 o a 3 dosi di Trumenba® in adolescenti tra gli 11 e i 18 anni [21]. L’endpoint primario era rappresentato dalla proporzione di soggetti che aveva raggiunto titoli hSBA ≥ 1:8 per ciascuno dei 4 ceppi test primari di Men B dopo 3 dosi di Trumenba®. Gli endpoint secondari includevano la proporzione di soggetti con titoli hSBA ≥1:8 e la valutazione dei titoli hSBA per ciascuno dei 4 ceppi test primari di Men B dopo 2 dosi di Trumenba®. La proporzione di soggetti con titoli hSBA ≥ 1:8 (≥ 1:16 per A22) dopo un ciclo primario di Trumenba® a 3 dosi somministrato a 0, 1, 6 mesi o 0, 2, 6 mesi e dopo un ciclo primario a 2 dosi (0 e 6 mesi) è mostrata in Figura 5. In questo studio la vaccinazione con Trumenba® era in grado di stimolare una robusta risposta immune contro ceppi eterologhi antigenicamente ed epidemiologicamente diversi di Men B sia in caso di utilizzo di una schedula a 2 dosi che dopo 3 dosi [21]. In particolare, nel gruppo vaccinato con la schedula a due dosi (0-6 mesi) la risposta anticorpale è risultata molto simile a quella ottenuta con la schedula a 3 dosi. Nello specifico la proporzione di soggetti con titoli anticorpali superiori ai limiti prestabiliti era: 93,2%, 98,4%, 81,1% e 77,5%, rispettivamente, per i ceppi principali A22, A56, B24 e B44. Inoltre, anche la risposta composita mostrava una percentuale superiore al 73% [21]. La possibilità di co-somministrare Trumenba® con i vaccini indicati nell’adolescenza è stata valutata in due diversi trial clinici. Nello studio di Senders et al. [23] è stata valutata la co-somministrabilità con vaccino anti-papilloma virus (HPV4) e nello studio di Muse et al. [24] è stata valutata la co-somministrabilità con il vaccino anti-difto-tetano-pertosse acellulare-polio inattivato (DTaP/IPV). Entrambi gli studi hanno dimostrato la non inferiorità della risposta immunitaria in caso di co-somministrazione nei confronti dei vaccini impiegati. Lo studio di Muse et al. ha anche valutato la co-somministrabilità di Trumenba® con il vaccino coniugato anti-meningococco quadrivalente A, C, Y, W (MenACWY) e, anche in questo caso, è stata dimostrata la non inferiorità della risposta immunitaria in caso co-somministrazione nei confronti dei vaccini impiegati [24]. Persistenza della risposta immunitaria È stato condotto uno studio di fase III (studio B1971033) per valutare la persistenza delle risposte hSBA fino a 48 mesi dopo il completamento di un ciclo primario con Trumenba®. Inoltre, è stata somministrata una singola dose di Trumenba® al 48° mese dopo il ciclo primario al fine di valutarne la risposta [1]. L’analisi ad interim ha dimostrato una riduzione della risposta immunitaria dopo un mese dall’ultima dose di Trumenba® ricevuta nel ciclo primario fino al 12° mese, successivamente i titoli anticorpali si stabilizzavano e rimanevano persistenti fino a 48 mesi sia nel gruppo vaccinato con il ciclo primario a 3 dosi sia in quello vaccinato con la schedula a 2 dosi. A seguito di una singola dose di richiamo di Trumenba®, somministrata circa 4 anni dopo il ciclo primario di vaccinazione, le risposte hSBA ai singoli ceppi test variavano dal 91,9% al 98,4% nei soggetti che avevano ricevuto il ciclo primario a 2 dosi e dal 94,9% al 100% nei soggetti immunizzati con il ciclo primario a 3 dosi. Questo studio ha dimostrato che una singola dose di Trumenba®, somministrata circa 4 anni dopo il ciclo primario, determina risposte immunitarie robuste, supportando la somministrazione di una dose di richiamo per ristabilire adeguati livelli di protezione [1, 9, 26]. Anche due studi clinici di fase II hanno valutato la persistenza dei titoli anticorpali dopo 48 mesi dal ciclo primario [19, 20]. Complessivamente, l’immunogenicità di un programma a 2 dosi (0, 6 mesi) appare simile al regime a 3 dosi alla luce della risposta composita, della persistenza anticorpale e della risposta a una dose di richiamo somministrata a 4 anni al ciclo primario. I risultati fin qui conseguiti suggeriscono che il regime a 2 dosi somministrato a 0 e 6 mesi potrebbe essere appropriato per i programmi di vaccinazione di routine [20, 26]. Sicurezza e tollerabilità Il profilo di sicurezza di Trumenba® si basa sull’analisi di oltre 15.000 soggetti (d’età maggiore o uguale a 10 anni) che sono stati vaccinati con almeno una dose di Trumenba® nell’ambito di 11 studi clinici [27]. In particolare, i dati di sicurezza di base del vaccino sono stati ricavati da otto studi clinici controllati [16, 17, 19, 22-25]. Questi studi avevano come obiettivo primario quello di valutare gli eventi avversi in un’ampia popolazione di studio [25]. Nei trial clinici gli eventi avversi sollecitati predefiniti (reazioni locali al sito di iniezione ed eventi sistemici) che si verificavano entro 7 giorni da ogni dose di vaccino erano registrati in un diario elettronico. In tutti gli studi, Trumenba® si è dimostrato ben tollerato negli adolescenti e nei giovani adulti con la maggior parte delle reazioni avverse lievi e moderate [27]. Le reazioni avverse più comuni osservate erano dolore, arrossamento e gonfiore al sito di vaccinazione, cefalea, affaticamento, brividi, diarrea, dolori muscolari, dolori articolari e nausea [16, 17, 19, 22-25, 27]. Il dolore aveva una durata mediana di 2-3 giorni [26]. Le segnalazioni spontanee di eventi avversi erano raccolte dal giorno della somministrazione della prima dose a circa 1 mese dopo la terza dose; la maggior parte delle segnalazioni erano lievi e moderate ed erano riportate in proporzione simile nei gruppi vaccinati e nei gruppi di controllo [26]. Gli eventi avversi gravi (SAE) erano raccolti fino a circa 6 mesi dall’ultima dose; nessuna differenza nella frequenza di SAE fu osservata nei gruppi vaccinati con Trumenba® rispetto ai gruppi di controllo. In particolare, il più grande studio condotto con l’obiettivo di valutare la sicurezza di Trumenba® dimostrò che il vaccino è sicuro e ben tollerato nei soggetti d’età compresa tra 10 e 26 anni: infatti, solo l’1,6% del gruppo vaccinato riportava SAE rispetto al 2,5% del gruppo di controllo (HAV/soluzione salina) [25]. Le reazioni avverse dopo una vaccinazione di richiamo sono risultate simili alle reazioni avverse manifestatesi durante la somministrazione del ciclo primario di Trumenba® ricevuto circa 4 anni prima [1, 26, 27]. Il buon profilo di sicurezza del vaccino bivalente meningococcico è emerso anche nello studio che ha valutato la co-somministrabilità con i vaccini DTPa e polio inattivato in adolescenti sani [22]. Inoltre, Trumenba® è stato testato in co-somministrazione con il vaccino quadrivalente HPV. Le reazioni locali e gli eventi sistemici non incrementavano dopo la somministrazione contemporanea in comparazione con la somministrazione del solo vaccino meningococcico [23]. Nessun problema di sicurezza è stato evidenziato dalle valutazioni post-marketing negli Stati Uniti dove Trumenba® è stato autorizzato nel 2014 per l’immunizzazione di soggetti tra i 10 e i 25 anni [26, 27]. Conclusioni Lo sviluppo del vaccino contro il Men B si è rivelata una sfida estremamente difficile per l’impossibilità di utilizzare antigeni capsulari, e la conseguente necessità di individuare un antigene proteico che avesse le caratteristiche adatte per essere incluso in un vaccino. La lipoproteina 2086 (LP2086), o fHbp, espressa sulla superficie del batterio, è stata identificata come importante fattore di virulenza. Gli studi clinici controllati hanno dimostrato che in un’elevata percentuale di soggetti vaccinati si registra una risposta anticorpale protettiva contro i componenti del vaccino. È stato, inoltre, dimostrato che la maggior parte dei ceppi di Men B isolati in Europa, Nord America e Canada esprime in sede subcapsulare livelli di fHbp sufficientemente elevati da renderli suscettibili all’uccisione mediata dagli anticorpi indotti dal vaccino. In conclusione, i dati disponibili dimostrano che Trumenba® è sicuro, capace di indurre una robusta risposta immunitaria e possiede la potenzialità di offrire un’ampia protezione contro ceppi di Men B circolanti in Europa. Pertanto, può essere uno strumento a disposizione nella lotta contro la malattia meningococcica da sierogruppo B., Introduzione La malattia invasiva da Neisseria meningitidis è un serio problema di Sanità Pubblica anche nei Paesi sviluppati per il suo alto tasso di letalità e l’elevata frequenza di sequele invalidanti che affliggono i soggetti sopravvissuti alla malattia [1-5]. Infatti, si stima che fino a circa il 60% dei pazienti sopravvissuti, soprattutto bambini, adolescenti e giovani, sviluppi sequele permanenti che riducono pesantemente la qualità di vita del paziente e dei familiari [2, 6, 7] generando un ingente impatto clinico, sociale ed economico. La percentuale di sopravvissuti con complicanze varia a seconda dell’età [8], della gravità della fase acuta e del sierogruppo coinvolto: le infezioni da sierogruppo B e C sono le più gravi, come confermato da numerosi studi [8-10]. L’incidenza della malattia meningococcica varia notevolmente in base all’area geografica, al periodo e all’età dei soggetti coinvolti [11]. In Europa si registrano tassi medi di notifica compresi tra 0,5 e 0,7 casi ogni 100.000 abitanti (dati riferiti all’intervallo temporale 2011-2016) [4]. In Italia si registra un’incidenza inferiore alla media europea; infatti il sistema di sorveglianza nazionale delle malattie batteriche invasive ha riportato un’incidenza globale di 0,31 casi/100.000 abitanti e 0,37 casi/100.000 abitanti rispettivamente nel 2015 e nel 2016. La distribuzione dei sierogruppi varia in base all’area geografica. In Europa il sierogruppo B è il più comune (più del 50% dei casi) [12]. Questa tendenza è visibile anche in Italia: infatti, nel periodo 2011-2017, circa il 36% dei casi era dovuto al sierogruppo B [13]. Inoltre, la distribuzione dei sierogruppi è dipendente dall’età; la percentuale più alta di casi da meningococco B si registra negli infanti ma, anche nei bambini e negli adolescenti la proporzione non è irrilevante (25-32%) [12, 13]. Occorre però considerare che in Italia circa il 20% dei casi non è tipizzato [13] e che vi è una sottostima della malattia dovuta principalmente alle metodiche di laboratorio utilizzate per la ricerca del microrganismo nelle diverse regioni italiane. Uno studio pubblicato nel 2016 da Azzari et al. riporta un valore di sotto-diagnosi pari a 3,28 [14]. Poiché la trasmissione del microrganismo avviene per via aerea e la principale fonte di contagio sono i portatori sani [15, 16], l’unica arma a disposizione nella lotta contro la malattia invasiva da Neisseria meningitidis è la vaccinazione. Attualmente sono disponibili vaccini coniugati monovalenti (MenA e MenC) e quadrivalenti (ACWY) [17] e due vaccini contro la malattia invasiva da Neisseria meningitidis sierogruppo B (Bexsero® e Trumenba®) [18, 19]. Nell’ambito del presente report HTA è stata condotta un’analisi di costo-utilità con l’obiettivo di valutare i costi e i benefici della vaccinazione anti-meningococco B con il vaccino Trumenba® (vaccino ricombinante, adsorbito, contenente fHbp di Neisseria meningitidis sierogruppo B, sottofamiglia A e sottofamiglia B) negli adolescenti confrontando la strategia di vaccinazione con la non vaccinazione nello scenario epidemiologico italiano. Materiali e metodi DESCRIZIONE DEL MODELLO Con l’obiettivo di valutare, nel contesto italiano, l’impatto in termini di costo-utilità della vaccinazione anti-meningococco B negli adolescenti con Trumenba®, è stato sviluppato un modello markoviano a stati di salute esclusivi considerando due scenari: nel primo è introdotta la vaccinazione e nel secondo non è introdotta la vaccinazione (standard of care). Nella Figura 1 è rappresentato il modello semplificato di introduzione del vaccino, con i relativi stati di salute e il flusso degli individui della coorte durante la simulazione. L’approccio costo-utilità permette di stimare l’efficacia della vaccinazione in termini di anni di vita guadagnati aggiustati per la qualità di vita (Quality-Adjusted Life Years, QALYs). Tramite il QALY è possibile quantificare i benefici della strategia vaccinale tenendo in considerazione i diversi esiti (outcomes) di salute che caratterizzano la malattia meningococcica sia in termini di anni di vita salvati sia in termini di miglioramento della qualità di vita. I benefici in termini di anni di vita guadagnati pesati per la qualità di salute sono stati valutati per tutta l’aspettativa di vita della coorte in studio. Il modello ha una durata «lifetime» e, pertanto, si conclude con l’estinzione della popolazione della coorte. Nel modello sono stati adottati due stati assorbenti: i) la morte a seguito di malattia invasiva da meningococco di sierogruppo B, e ii) la morte per altre cause (derivata dal tasso di mortalità per classe d’età) [20]. L’analisi è espressa tramite il rapporto incrementale di costo-efficacia (ICER) dove il denominatore è composto dalla differenza tra i QALY e il numeratore è composto dalla differenza tra i costi della strategia vaccinale e quelli riferiti alla strategia “non vaccinazione”. Per l’analisi è stato adottato un valore soglia di costo-efficacia di € 30.000/QALY, valore utilizzato nelle analisi economiche nel contesto italiano [21, 22] e in accordo con il reddito pro-capite italiano (€ 27.700 - anno 2016) [23]. La vaccinazione con Trumenba® [19] (vedi capitolo 5) è stata comparata con la strategia “non vaccinazione”, in quanto nel Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale 2017-2019 non è prevista la vaccinazione per il meningococco B negli adolescenti. Il modello di Markov ha analizzato la coorte composta dagli adolescenti di 11 anni residenti in Italia al 1° gennaio 2018, che corrisponde a 574.155 soggetti [20]. La schedula vaccinale considerata è quella a due dosi (0-6 mesi) [19, 24] (Tab. I). Nel presente modello è considerato per il caso-base un tasso di copertura del 70% e nell’analisi della sensibilità è previsto un intervallo di variazione (range) tra il 50% e l’90% (Tab. I). Nel modello la probabilità di contrarre la malattia invasiva nei soggetti vaccinati dipende dall’efficacia del vaccino (vedi sotto-paragrafo immunogenicità del vaccino e durata della protezione). È importante sottolineare che l’efficacia è solo dedotta dal dato di immunogenicità poiché a causa della bassa incidenza della patologia meningococcica invasiva, non è possibile valutare l’efficacia dei vaccini anti-meningococco direttamente tramite trials clinici. Inoltre, non sono disponibili dati di effectiveness (efficacia sul campo) per la mancanza, ad oggi, di programmi di utilizzo di Trumenba® su larga scala. È stata introdotta una specifica assunzione riguardo a un’efficacia (dedotta dai dati di immunogenicità) decrescente nel tempo fino al decimo anno (protezione minima dopo 10 anni: 25,29%). Dopo il decimo anno si assume un’assenza di protezione. Nei soggetti non vaccinati o non immunizzati (soggetti vaccinati e non protetti) la probabilità di contrarre la malattia è pari all’incidenza della patologia nelle diverse fasce d’età (vedi sotto-paragrafo incidenza della malattia e capitolo 2). Il soggetto che contrae la malattia ha due possibilità: sopravvivere o morire. I sopravvissuti possono: sopravvivere senza sequele o sviluppare sequele a breve e/o a lungo termine (vedi capitolo 3). Nel modello è stata inclusa solo la probabilità di sviluppare sequele singole. La probabilità globale di sviluppare sequele considerata nel modello è pari al 61% [2]. Relativamente a questo parametro è stata condotta un’analisi di sensibilità considerando un range compreso tra il 30% e il 70%. I soggetti guariti sono immuni poiché la malattia meningococcica invasiva ripetuta è molto rara ed è possibile solo in individui con deficienze immunitarie e anatomiche [25, 26]. Per rendere il modello più aderente alla realtà il periodo post-infezione è suddiviso in tre fasi: fase acuta (1 mese a partire dal momento del ricovero), fase post-acuta (successiva alla fase acuta fino a sei mesi dopo il ricovero) e fase a lungo termine (dal sesto mese in poi) (vedi sottoparagrafo Sequele della malattia). Sono state considerate due prospettive: quella del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) (in cui sono inclusi solo i costi diretti) e quella della società (in cui sono inclusi sia i costi sostenuti dal SSN sia quelli a carico di altri comparti dello Stato e della collettività) (vedi capitolo 4). Tutti i costi sono riferiti a gennaio 2018. Per l’attualizzazione dei costi e degli esiti di salute è stato considerato un tasso di sconto pari al 3,5% come riportato dalle linee guida italiane e internazionali [27-29]. Nella Tabella I sono riportati i dati di input generali utilizzati come parametri del modello. ANALISI ECONOMICA E ANALISI DELLA SENSIBILITÀ L’analisi è stata condotta utilizzando Microsoft Excel 2010® (versione 14.0.72325000 a 32 bit). Data la possibile presenza di variazioni nei dati di input è stata condotta un’analisi di sensibilità per valutare la variazione negli esiti di salute e nei costi. Inoltre, è stata verificata la forza dell’associazione tra le variabili e gli esiti di salute. È stata effettuata un’analisi di sensibilità deterministica (DSA) per valutare l’impatto di alcuni parametri del modello sull’ICER e un’analisi di sensibilità probabilistica (PSA) dove i parametri del modello, i costi e le utilità sono stati fatti variare secondo distribuzioni probabilistiche. La PSA, composta da 5.000 simulazioni, aveva l’obiettivo di verificare la costo-efficacia della strategia vaccinale al variare delle condizioni epidemiologiche, di costo e di politica sanitaria. INCIDENZA DELLA MALATTIA Le stime di incidenza della malattia meningococcica da sierogruppo B utilizzate nel presente modello si basano sui dati del sistema di sorveglianza nazionale delle malattie batteriche invasive [13] (vedi capitolo 2). Per questo studio è stato calcolato il numero medio annuale di casi confermati da meningococco B considerando l’intervallo temporale 2011-2016. L’incidenza media su un periodo temporale di 6 anni è stata utilizzata per ridurre l’impatto delle fluttuazioni annuali di incidenza sui risultati del modello. Non è stato considerato l’anno 2017 perché i dati non erano completi al momento dell’analisi. I casi sono suddivisi in sette classi d’età: 0, 1-4, 5-9, 10-14, 15-24, 25-64 e > 64 anni. Poiché il modello prevede di valutare la costo-efficacia della vaccinazione anti-meningococco B negli adolescenti è stata considerata solo la probabilità di malattia nelle fasce d’età: 10-14, 15-24, 25-64 e > 64 anni. Per rendere il dato maggiormente aderente alla realtà sono stati considerati tre parametri correttivi associati alla sottostima dell’incidenza: la percentuale di casi con meningococco non tipizzato (periodo 2011-2016: media annuale 25,2%), la proporzione di casi di meningococco B tra i casi non tipizzati assumendo che sia uguale a quella evidenziata tra i casi tipizzati e il fattore di sotto-diagnosi pari a 3,28 [14]. Le incidenze considerate nel modello sono riportate in Tabella I. Il modello non considera la possibile sottostima dovuta alla non segnalazione dei casi al sistema sorveglianza nazionale. BURDEN DELLA MALATTIA Nel presente studio sono stati considerati tre esiti di salute (outcome) successivi alla fase acuta della malattia ovvero la morte, la sopravvivenza senza sequele e la sopravvivenza con sequele. Per quanto riguarda la fase acuta della malattia, sulla base dei dati di letteratura italiani e internazionali [3, 13, 31, 32], è stato ipotizzato che il 45% dei pazienti presentasse meningite, il 30% sepsi e il 25% entrambi le presentazioni cliniche (Tab. I). È stato considerato un tasso di letalità pari all’8% per tutte le fasce d’età poiché non sono disponibili in letteratura dati italiani suddivisi per età [4,33]. Nell’analisi di sensibilità è stato considerato un range tra il 6% e il 10% (Tab. I). Per il tasso di mortalità generale della popolazione italiana per fascia d’età è stato considerato il dato ISTAT [20]. Il burden della malattia invasiva meningococcica è particolarmente elevato, dovuto principalmente alle sequele permanenti che affliggono un’alta percentuale di sopravvissuti, specialmente bambini e adolescenti. Essi devono convivere con singole sequele di tipo fisico, neurologico e/o psicologico o sequele multiple. Considerando l’obiettivo di questo report HTA e la relativa analisi economica è stata effettuata una ricerca bibliografica per reperire articoli pubblicati su riviste internazionali e nazionali che descrivessero le possibili sequele derivanti dalla malattia invasiva da meningococco B negli adolescenti. Pochi erano gli articoli rispondenti al criterio di ricerca primario, pertanto sono stati ampliati i limiti della ricerca. Le modalità di ricerca sono descritte nel capitolo 3. Analizzando singolarmente gli articoli considerati idonei per il presente report HTA, è stato assunto per il caso-base una probabilità globale di sviluppare almeno una sequela del 61% [2]. Nell’analisi della sensibilità è stato considerato un range di 30%-70% (Tab. I). Le singole sequele considerate nello studio e le rispettive probabilità sono riportate in Tabella II. Nonostante la malattia da meningococco causi generalmente sequele multiple, nel presente studio, come in altri studi di natura farmaco-economica, sono state considerate le sequele come singole al fine di semplificare il modello. Alcune sequele minori quali: vasculiti, problemi cardiovascolari, ascessi cerebrali, idrocefalo, deficit/paralisi dei nervi cranici, psoriasi, dolore cronico non sono state considerate. L’esclusione è motivata dal fatto che si verificano con una percentuale molto bassa (pochi studi le riportano) e sono di difficile quantificazione sia in termini economici che in termini di salute. Pertanto, il modello è da considerarsi conservativo. QUALITÀ DELLA VITA In questo modello, è stata considerata la riduzione della qualità di vita nei soggetti colpiti dalla malattia invasiva meningococcica. Anche per questo parametro il periodo post-infezione è stato suddiviso in tre fasi: fase acuta, fase post-acuta e fase a lungo termine (vedi sotto-paragrafo burden della malattia). Questa suddivisione è stata fatta per meglio quantificare le conseguenze delle sequele sullo stato di salute. Poiché, in letteratura, pochi studi [40] hanno quantificato la riduzione della qualità di vita nei soggetti sopravvissuti alla malattia meningococcica, riportando anche il dato suddiviso per le diverse sequele, sono state considerate valutazioni derivanti anche da altre patologie simili. Queste assunzioni sono state fatte anche in altri studi farmaco-economici [25, 26, 41]. Nella Tabella III sono riportate le utilità residue di salute durante la fase acuta, fase più critica della malattia, nella quale il soggetto è ricoverato in molti casi in terapia intensiva. In Tabella IV sono riportate le utilità di salute residue della fase post-acuta e della fase a lungo termine in base al tipo di sequela. IMMUNOGENICITÀ DEL VACCINO E DURATA DELLA PROTEZIONE La strategia di vaccinazione considerata è quella con la schedula vaccinale a due dosi (0-6 mesi) [19, 24] (Tab. I) la cui immunogenicità è stata dimostrata in studi clinici controllati [30, 42-45]. Sulla base dell’analisi dei risultati di immunogenicità ottenuti nei vari studi clinici controllati è stata assunta un’efficacia pari al 73,5% [19, 42] nel primo anno dopo il ciclo vaccinale. Nell’analisi di sensibilità è stato considerato un range tra il 68,5% e il 78,1% [19]. Essendo il vaccino di recente commercializzazione al momento non sono disponibili dati di effectiveness e i dati relativi alla durata di protezione sono incompleti. Pertanto, sulla durata di protezione è possibile fare solo ipotesi: nel presente studio è stato ipotizzato un decremento di protezione pari al 20% nel secondo anno (58,8%) e successivamente un decremento annuale del 10% fino a 10 anni (Tab. I). Dopo 10 anni si assume una assenza di protezione. Inoltre, gli studi clinici controllati hanno dimostrato che il vaccino è in grado di conferire memoria immunologica: infatti, in seguito alla dose booster si raggiunge, ad un mese dalla sua somministrazione, un valore molto alto di titoli anticorpali battericidi pari al 91,8% (81,9-97,3%). COSTI ASSOCIATI ALLA MALATTIA Poiché lo studio è condotto per fornire uno strumento utile ai decision-makers per valutare il possibile impatto di una strategia di vaccinazione per il meningococco B negli adolescenti, è necessario considerare sia i costi diretti, ovvero a carico del SSN, sia i costi sociali legati alla malattia (costi a carico di altri comparti dello Stato, della famiglia e della società in generale). Tutti i costi sono espressi in €, convertiti se riportati in altra valuta, e contabilizzati al 1° gennaio 2018. Al fine di fornire una valutazione più precisa, ogni categoria di costo (diretti e indiretti) è stata a sua volta suddivisa nelle tre fasi di malattia: fase acuta, fase post-acuta e fase a lungo termine con sequele. COSTI DIRETTI Fase acuta I costi relativi alla fase acuta comprendono: i costi dell’ospedalizzazione, i costi relativi alla risposta di Sanità Pubblica e i costi associati alla riabilitazione in lungodegenza. I primi due costi diretti sono applicati a tutti i casi di malattia (100%) indipendentemente dal loro destino e, quindi, sono riferiti anche ai casi deceduti. I costi associati alla lungodegenza (massimo 20 giorni) sono applicati solo a coloro che sopravvivono e riportano sequele (Tab. V). I costi di ospedalizzazione sono stati valutati selezionando le SDO con i codici 036, 0360 e 0362 ovvero i codici più frequentemente associati alla malattia meningococcica, calcolando un valore medio dei rispettivi DRG suddivisi per soggetti d’età < 18 anni e individui > 18 anni [46] (Tab. V). Il costo della risposta di Sanità Pubblica è stato calcolato per singolo caso di malattia considerando il numero medio dei contatti che richiedevano chemioprofilassi, il costo medio di un ciclo di trattamento di chemioprofilassi e il tempo medio di lavoro dedicato dagli operatori di Sanità Pubblica per evitare casi secondari [25]. Fase post-acuta Nella Tabella VI sono riportati i costi relativi alla fase post-acuta (fino a 6 mesi dall’esordio della malattia). Nel modello per tutti i soggetti con sequele sono previste 5 visite ambulatoriali specialistiche di controllo. Il supporto psichiatrico/psicologico (applicabile nel 62% dei casi [48]) prevede una media di 20 sedute (una seduta a settimana). Relativamente ai costi associati ai soggetti con amputazioni, deformazioni degli arti, problemi ossei e delle articolazioni e deficit motori sono state considerate in media 40 sedute di riabilitazione: 2 sedute a settimana per 20 settimane. Per alcuni pazienti è stato previsto il costo della sedia a rotelle che si riferisce al costo medio di una carrozzina manuale; nella valutazione non sono state considerate le carrozzine di ultima generazione (es. elettriche). Per quanto riguarda i soggetti con deficit dell’apparato uditivo, nella presente valutazione economica, sono stati considerati i costi legati all’impianto cocleare per i pazienti con sordità grave e i costi degli ausili protesici per i soggetti con sordità bi/unilaterale di media entità. Per i pazienti con sequele cutanee gravi sono previsti, nel modello, tre interventi di chirurgia plastica ricostruttiva; questo parametro è da considerarsi sottostimato poiché nei casi gravi il numero degli interventi è maggiore. Infine, per i soggetti con danno renale severo sono state considerate 2 sedute settimanali di dialisi. Fase a lungo termine I costi annuali relativi ad ogni sequela considerata nel presente studio sono riportati in Tabella VII. I costi sono stati calcolati considerando i dati di letteratura e le tariffe DRG. Nel modello relativamente ai costi associati al supporto psichiatrico/psicologico è stato previsto, dopo una attenta valutazione dei dati di letteratura, di considerare che i soggetti con sequela necessitassero di tale supporto per 18 mesi prevedendo una seduta al mese. Il costo applicabile ai soggetti con deformazione degli arti comprende l’intervento chirurgico ortopedico [46], eseguito di norma entro due anni dalla fase acuta di malattia, e i costi della riabilitazione (1 volta alla settimana). Per la sequela “artrite” sono stati considerati i costi medici solo per un anno, poiché nella maggioranza dei casi tale complicanza si risolve in breve termine [25]. I danni neurologici severi generano elevati costi diretti in quanto includono anche il ricovero in strutture istituzionali specializzate [25]. Costi diretti elevati sono previsti per i soggetti con danno renale poiché per alcuni pazienti è prevista dialisi a lungo termine [37] e per altri trapianto renale [46]. Elevati costi sono anche associati ai soggetti sopravvissuti affetti da sordità grave per la manutenzione nel tempo del impianto cocleare [49]. Per la depressione e l’ansia i costi sono principalmente associati al prezzo dei farmaci usati [25]. COSTI INDIRETTI Fase acuta Nella Tabella VIII sono riportati i costi indiretti associati alla fase acuta di malattia. Sono stati considerati: il supporto psicologico (per la famiglia), applicabile al 20% dei pazienti fino a 25 anni; il supporto psichiatrico (per la famiglia), applicabile al 59% [51] dei pazienti fino a 25 anni d’età; la perdita di produttiva del soggetto, applicabile ai pazienti in età lavorativa dai 18 ai 64 anni e la perdita di produttività di un genitore, applicabile solo ai casi d’età < 18 anni. Per il calcolo della perdita di produttività del paziente è stato considerato il reddito pro-capite italiano al 2016 (€ 27.700 [23]) corretto per il tasso di occupazione (quarto trimestre 2017 [20]) alle diverse età (15-24 anni: 17,2%; 25-34 anni: 61,2%; 35-44 anni: 73,1%; 45-54 anni: 72%; 55-64 anni: 53,1%). Per il calcolo della perdita di produttività di un genitore è stato considerato il reddito pro-capite italiano al 2016 (€ 27.700 [23]) corretto per il tasso di occupazione femminile alle diverse età [20] (25-34 anni: 53,2%; 35-44 anni: 62,5%; 45-54 anni: 60,8%; 55-64 anni: 43,2%) poiché i dati di letteratura riportano che nella maggior parte dei casi è la madre che assiste il figlio in caso di malattia [25]. È stato ipotizzato che tutte le donne avessero avuto il figlio a 30,5 anni (età media primo figlio - 2006) [20]. Fase post-acuta Nella Tabella IX sono riportati i costi indiretti nella fase post-acuta. Il supporto psichiatrico/psicologico (per la famiglia), applicabile al 69% [53] dei pazienti con sequela e con età inferiore ai 25 anni, prevede in media 10 sedute. Per il calcolo della perdita di produttività del paziente, applicabile ai pazienti in età lavorativa dai 18 ai 64 anni, è stato considerato il reddito pro-capite italiano al 2016 (€ 27.700 [23]) corretto per il tasso di occupazione (quarto trimestre 2017 [20]) alle diverse età (15-24 anni: 17,2%; 25-34 anni: 61,2%; 35-44 anni: 73,1%; 45-54 anni: 72%; 55-64 anni: 53,1%). La perdita di produttività di un genitore, applicabile ai pazienti fino a 18 anni, è stata calcolata considerando che ad assistere il figlio sia la madre (tasso di occupazione femminile [20]) e che essa mantenga un contratto di lavoro part-time al 50%. Fase a lungo termine Nella Tabella X sono riassunti i costi indiretti riferiti a un singolo caso e aggiornati al primo gennaio 2018. Relativamente al supporto psichiatrico/psicologico (per la famiglia) è stato considerato il costo di una seduta mensile applicabile al 39% dei pazienti fino a 1 anno, al 33% fino a 2 anni e al 31% fino a 3 anni [53]. I costi associati al supporto psichiatrico/psicologico nei pazienti sono stati applicati ai soggetti con sequele dal 18° mese fino al 36° mese dalla fase acuta considerando in media una seduta al mese. La perdita di produttiva del soggetto (diversa per ogni sequela) espressa come costo annuale (applicabile ai pazienti in età lavorativa 18-64 anni) corrisponde al reddito pro-capite italiano al 2016 corretto per il tasso di occupazione [20] e per la percentuale di disabilità di ogni sequela (Tab. XI). Nel presente modello è stata considerata la perdita di produttività di un genitore per i soggetti di età < 18 anni con gravi disabilità permanenti (ritardo mentale, disabilità neurologiche gravi, problemi gravi di comunicazione, epilessia, danni visivi gravi, deficit motori, amputazioni con sostanziale disabilità e sordità). Il valore è stato calcolato considerando il reddito pro-capite italiano al 2016 corretto per il tasso di occupazione femminile [20] e ipotizzando un contratto di lavoro part-time al 50%. Il costo per l’educazione speciale è stato considerato per i soggetti con sequele gravi d’età < 18 anni (deficit motori, danni visivi gravi, epilessia, disabilità neurologiche gravi, ritardo mentale, sordità, problemi di comunicazione). Il costo è annuale ed è a carico del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (MIUR). COSTO SOCIALE DELLA MORTE Per valutare il costo sociale della morte sono usati generalmente due approcci il “willing to pay” e l’“human standard capital” [25]. Nel presente modello non è stato incluso il costo della morte (modello conservativo). ALTRI COSTI INDIRETTI ASSOCIATI ALLE SEQUELE PERMANENTI Le sequele permanenti associate a percentuali differenti di disabilità generano costi molto variabili a carico degli enti previdenziali dello Stato (vedi capitolo 4) e risulta molto difficile generalizzare e attribuire un importo medio univoco. Pertanto, è stato deciso di non considerare i costi indiretti previdenziali nel computo dei costi generali della malattia meningococcica (modello conservativo). COSTI ASSOCIATI ALLA VACCINAZIONE I costi associati alla vaccinazione sono riportati in Tabella XII. È stato considerato per ogni singola dose di vaccino il prezzo scontato a carico del SSN. Il costo di somministrazione pari a € 5,91 è applicabile a ogni seduta vaccinale. Sono state considerate le possibili reazioni avverse lievi/moderate o severe dopo la somministrazione del vaccino. Le probabilità derivano dai dati di studi clinici controllati considerando il valore medio delle probabilità rilevate negli studi clinici controllati di fase III. Le probabilità di eventi avversi lievi/moderati erano: 29% dopo la 1° dose e 22% dopo la 2° dose [30]. Relativamente agli eventi avversi gravi gli studi clinici controllati non hanno evidenziato nessun problema di sicurezza; infatti la probabilità di eventi avversi seri nel gruppo dei vaccinati era simile a quella osservata nel gruppo di controllo (1,9% - nessuna differenza tra il gruppo vaccinato rispetto al gruppo di controllo) [30]. Risultati I risultati dello studio permettono di affermare che la vaccinazione degli adolescenti (undicesimo anno di vita) con il vaccino Trumenba® è costo-efficace: infatti, l’ICER è risultato di € 7.911,98/QALY nella prospettiva del SSN e di € 7.757,73/QALY nella prospettiva della società. Entrambi i valori sono ampiamente sotto la soglia di € 30.000/QALY, valore di riferimento di costo-efficacia. La vaccinazione degli adolescenti determina una riduzione di casi da meningococco B in uno dei periodi di maggiore incidenza di malattia (adolescenti/giovani adulti). Nello specifico, considerando i parametri del caso-base, ovvero tasso di copertura del 70% e efficacia ipotizzata del 73,5% con decadimento di protezione nel tempo (ipotizzato) (Tab. I), il programma di immunizzazione determinerebbe una riduzione del 9% dei casi nella fascia d’età 11-21 anni. Questi parametri sono da considerarsi conservativi. Il modello ha permesso di calcolare il costo medio di un caso riferito ad un singolo soggetto che si ammala a 11 anni. Considerando la gravità della malattia e le sue conseguenze, il costo globale di un caso di malattia ammonterebbe a € 503.223,79 (costi non scontati) e a € 268.865,48 (costi scontati). Il costo di un caso non scontato è composto da: € 13.952,93 per la fase acuta, € 11.145,09 per fase post-acuta e € 478.125,76 per la fase a lungo termine. Se ai costi è applicato il tasso di sconto, il costo di un caso è composto da: € 13.952,93 per la fase acuta, € 11.145,09 pe la fase post-acuta e di € 243.767,46 per la fase a lungo termine. In Tabella XIII sono riportati i costi associati alla strategia “vaccinazione” versus la strategia “no vaccinazione”. Come si evince dalla Tabella XIII, i costi si riferiscono all’intera coorte e per l’intero arco temporale di simulazione, divisi per fase acuta, post-acuta e a lungo termine. Sono evidenti i benefici derivanti dalla strategia di vaccinazione. In particolare, la vaccinazione genera una riduzione di spesa in tutte le fasi di malattia (con rilevante impatto soprattutto nella fase a lungo termine) sia nella prospettiva del SSN sia in quella sociale. Per quanto riguarda i QALY la strategia di vaccinazione permette di risparmiare 5.906 QALYs per l’intera coorte considerata. Per valutare l’impatto dell’incertezza dei dati di input a livello di costi, di utilità di salute e di probabilità di transizione tra i vari stati del modello, sono state effettuate l’analisi di sensibilità deterministica e probabilistica. Le analisi sono state sviluppate considerando la prospettiva del SSN. L’analisi deterministica ha valutato l’impatto sull’ICER di alcuni parametri considerati singolarmente: l’incidenza della malattia (variazione -/+ 20% dell’incidenza media - Tabella I), l’efficacia ipotizzata del vaccino (variazione dal 50% al 90%), l’adesione della popolazione al programma vaccinale (variazione dal 50% al 90%), la probabilità di sviluppare sequele (variazione dal 30% all’80%), la letalità della malattia (variazione dal 6% al 10%) e i costi della malattia (variazione -/+ 20% dei costi relativi al caso-base). Nella Tabella XIV sono riportati i valori dell’ICER derivanti dall’analisi di probabilità deterministica considerando l’efficacia ipotizzata del vaccino, l’adesione vaccinale, l’incidenza della malattia, la probabilità di sviluppare sequele e la letalità. Si evidenzia una leggera variazione negli ICER per tutti i parametri considerati, ad eccezione dell’efficacia del vaccino, per il quale l’ICER varia da € 11.640,54 (corrispondente al valore minimo dell’intervallo di variazione) a € 6.450,87 (corrispondente al valore massimo dell’intervallo di variazione), rimanendo comunque sotto il valore soglia di costo-efficacia. Il parametro meno influente è la letalità a causa dell’assenza di costi legati alla morte (approccio conservativo). La Figura 2 riporta le variazioni dell’ICER al variare dell’efficacia del vaccino. L’analisi di sensibilità deterministica effettuata sui costi della malattia (-/+ 20%) evidenzia che solo i costi a lungo termine associati alle sequele influenzano l’ICER anche se in modo non rilevante. Questa bassa correlazione è dovuta alla bassa incidenza della malattia e all’ipotetico decadimento di protezione del vaccino nel tempo. L’analisi di sensibilità probabilistica è definita da una simulazione Monte Carlo, dove la variazione contemporanea di tutti i valori del modello avviene attraverso 5.000 simulazioni. Nella Figura 3 sono rappresentati i punti di costo incrementale ed efficacia incrementale derivanti da ogni simulazione. La nuvola di punti alla sinistra della linea rossa (valore soglia di costo-efficacia) include circa l’80% degli scenari simulati, indicando un’alta percentuale di scenari costo-efficaci considerando la soglia di costo-efficacia pari a € 30.000. Nella Figura 4 è rappresentata la curva di accettabilità di costo-efficacia dove sono rappresentate le percentuali di simulazioni costo-efficaci per le strategie “vaccinazione” e “non vaccinazione”. L’incertezza dei valori dei parametri di input mostra un modesto impatto sul modello: infatti, sotto il valore soglia di € 30.000 si trovano più dei tre quarti degli scenari. Discussione Questo studio è il primo che valuta la costo-efficacia della vaccinazione con Trumenba® negli adolescenti non solo nel contesto italiano ma anche in quello internazionale. Il modello ha dimostrato la costo-efficacia della vaccinazione degli adolescenti con Trumenba® confermata dall’analisi di sensibilità probabilistica. La vaccinazione determina, non solo una riduzione di casi di malattia, ma un risparmio nei costi diretti e indiretti associati principalmente alle sequele permanenti e invalidati che affiggono una percentuale rilevante di sopravvissuti [2, 3, 10, 32, 33, 36, 38]. Infatti, dall’analisi di sensibilità si evidenza che i costi a lungo termine sono quelli con un maggior impatto sul livello di costo-efficacia. La costo-efficacia del vaccino è principalmente associata ad un insieme di fattori quali l’incidenza e gli alti costi della malattia (in particolare quelli a lungo termine), l’efficacia del vaccino e la durata della protezione conferita e il prezzo del vaccino. Occorre sottolineare che i modelli matematici e farmaco-economici applicati alla prevenzione adottano necessariamente un approccio riduzionistico. Nel caso della malattia da meningococco questo è particolarmente vero, con particolare riguardo alla sottostima dell’incidenza di malattia in Italia [5, 14, 55] e alla valutazione delle possibili sequele (singole e multiple) e i loro costi. Sebbene il Sistema Italiano di Sorveglianza della Malattie Batteriche Invasive (SIMI) [13], coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), sia ben strutturato, ha delle limitazioni dovute ad alcuni parametri importanti: 1) sotto-utilizzo delle metodiche molecolari per la rilevazione di N. meningitidis in alcuni laboratori italiani; 2) non invio degli isolati all’ISS per la tipizzazione; 3) sotto-notifica dei casi derivata dal confronto dei dati provenienti dal sistema SIMI con i dati derivanti dalle schede di dimissione ospedaliera (SDO) [56]. Relativamente alla sottostima dovuta ai metodi laboratorio, lo studio di Azzari et al. [24] riporta che in Italia molti laboratori utilizzano per la rilevazione di N. meningitidis metodi colturali meno sensibili rispetto ai metodi molecolari, con un valore di sottostima pari a 3,28. Questo dato è stato ulteriormente confermato da un recente studio condotto dallo stesso gruppo di ricerca [57]. Inoltre, la coltura ha mostrato una sensibilità inferiore rispetto al metodo molecolare quando i pazienti sono trattati con antibiotici [58]. Relativamente alla non tipizzazione dei casi, nel periodo analizzato 2011-2016, la media annuale era del 25,2% [13]. Un altro parametro che condiziona la sottostima dei casi in Italia è quello rilevato da un recente studio che sottolinea come il numero di casi di N. meningitidis riportato dal Sistema SIMI sia più basso rispetto a quello rilevato dalle SDO [periodo 2007-2016-0,29/100.000 - dato SIMI vs 0,42/100.000 (tasso d’incidenza aggiustato)] [56]. Infine, molti casi fulminanti non sono registrati, in accordo con l’evidenza riportata dal OMS [59]. In questo contesto, i fattori correttivi applicati all’incidenza della malattia sono uno dei punti di forza dello studio che ha permesso di ottenere risultati più aderenti alla realtà poiché questo parametro è uno dei principali fattori che influenza l’ICER, come anche sottolineato da precedenti valutazioni economiche [25, 26, 60]. Per quanto riguarda la valutazione della probabilità di sviluppare sequele, uno dei punti di forza dello studio è stato quello di aver condotto una revisione approfondita di letteratura (vedi capitolo 3) al fine di ridurre la possibilità di sottostimare il peso delle sequele a breve e a lungo termine sia sulla salute dei pazienti sia sulla qualità di vita dei pazienti stessi e dei loro caregiver. Molti studi fino ad oggi pubblicati sottostimano questo parametro considerando solo le sequele più frequenti e, di conseguenza, tendono ad essere molto conservativi e poco aderenti alla realtà [26, 60-62]. Un ulteriore punto di forza dello studio è stato quello di aver suddiviso la malattia da meningococco nelle sue diverse fasi: acuta, post-acuta e a lungo termine; ciò ha consentito di descrivere la malattia stessa con maggior precisione, di rendere il modello il più possibile aderente alla realtà e di associare con maggiore rigore le sequele ai relativi costi e utilità di salute. Inoltre, questo studio è uno dei pochi che ha incluso nell’analisi l’impatto psicologico e psichiatrico della malattia sui pazienti e sui caregiver. Questo è sicuramente un elemento innovativo e non trascurabile come evidenziato nel capitolo 3 e supportato da numerosi studi [9, 10, 51, 63]. Nonostante la malattia da meningococco causi generalmente sequele multiple [2, 3, 39] nel modello le sequele sono state considerate come singole poiché non è stato possibile, analizzando i dati disponibili in letteratura, valutare con esattezza la frequenza delle sequele multiple e le possibili combinazioni. Anche i modelli fino ad oggi pubblicati hanno adottato questo approccio riduzionistico [25, 26, 61] e i pochi studi che hanno considerato le sequele multiple non le hanno considerate nel dettaglio [62, 64]. In quest’ottica, visto l’imponente impatto dei costi delle sequele multiple, il modello è da considerarsi conservativo supportato da numerosi dati di letteratura. Ad esempio, lo studio di Sadarangani et al. riporta che, sul totale dei soggetti con complicanze, il 37% aveva sequele multiple e, considerando il dato suddiviso per età, il 33% dei bambini e il 42% degli adulti [3]. Lo studio di Bettinger ha osservato che il 23,3% dei soggetti aveva sequele multiple [39] e Buysse et al. riportarono una probabilità di sviluppare sequele multiple pari al 35% [2]. Un altro aspetto importante da considerare è che lo studio ha analizzato l’impatto della vaccinazione, non solo nella prospettiva del SSN, ma anche nella prospettiva sociale: questo è rilevante per la malattia meningococcica in quanto genera alti costi indiretti associati principalmente alle gravi sequele invalidanti che determinano una perdita di produttività del paziente e dei caregiver e la necessità di un’educazione speciale per i pazienti affetti da severe complicanze (ritardo mentale, sordità, problemi di comunicazione ecc.). A supporto di questa scelta l’OMS raccomanda di considerare nelle valutazioni economiche la prospettiva più ampia al fine di ottenere una completa descrizione dell’impatto della malattia oggetto di studio [65]. Un ulteriore punto di forza dello studio è stato quello di aver utilizzato per parametrizzare il modello dati estrapolati da studi pubblicati, anche se non condotti nel contesto italiano, e non sempre riferiti al target di vaccinazione in esame. Solo per alcuni ambiti è stato fatto ricorso a “expert opinion”, che rappresenta una pratica di routine per gli studi di modellistica farmaco-economica [65]. Come tutte le analisi farmaco-economiche il presente studio ha delle limitazioni poiché i modelli sono semplificazioni del mondo reale. Le tecniche di modellizzazione comunemente utilizzate negli studi di determinazione dei benefici e dei costi includono alberi decisionali e modelli di Markov: una delle principali limitazioni degli alberi decisionali è la scarsa/mancanza di flessibilità nel modellare eventi a lungo termine (ad es. sequele) [64]. Per questo motivo è stato sviluppato un modello di Markov che ha consentito di fare una valutazione a lungo termine, specialmente per ciò che riguarda le sequele e i relativi i costi. Uno dei limiti dello studio è quello di aver utilizzato dati internazionali sulla probabilità di sviluppo delle sequele e i relativi costi, poiché ad oggi non sono disponibili studi esaustivi che stimino le sequele della malattia meningococcica e i relativi costi nel contesto italiano. Inoltre, sono stati utilizzati per alcuni parametri stime riferite a popolazioni diverse (bambini o adulti) rispetto a quella oggetto di studio (adolescenti), valori di utilità di salute residua per tipo di sequela non sempre riferiti alle conseguenze da meningococco [25] e stime di utilità per le sequele psichiatriche/psicologiche (generalmente impattanti sulla qualità di vita per periodi lunghi) riferite a studi che seguivano pazienti per un periodo limitato di tempo e, di conseguenza, tali parametri potrebbero essere sottostimati. Infine, è stata assunta una speranza di vita dei soggetti sopravvissuti alla malattia con sequele uguale a quella della popolazione della stessa età. Questo non è completamente vero, sebbene le differenze siano minime [66-68]. Un ulteriore limite dello studio è quello di non aver considerato il costo della morte: infatti, dalle analisi di sensibilità deterministica si evidenzia che all’aumento della letalità si riduce l’ICER in quanto non si sostengono per i soggetti deceduti i costi della malattia e non si considerano i costi sociali della morte stessa (approccio conservativo). Infine, poiché non sono disponibili dati per alcuni parametri, sono state effettuate delle assunzioni. In particolare, l’efficacia, la durata e il decadimento di protezione del vaccino sono stati ipotizzati considerando i dati disponibili derivanti dagli studi clinici controllati di immunogenicità. Trumenba® è un vaccino di recente autorizzazione e, pertanto, per il parametro “efficacia” sono utilizzati i risultati degli studi clinici controllati [19, vedi capitolo 5] e degli studi che avevano l’obiettivo di correlare il livello di espressione superficiale di fHbp all’uccisione dei ceppi Men B nei saggi dell’attività battericida sierica con complemento umano (hSBA) [19]. In futuro, quando nuovi dati saranno disponibili, sarà necessario confermare i risultati del presente studio includendo le nuove evidenze scientifiche. In quest’ottica implementare sistemi di sorveglianza efficaci sarà cruciale al fine di ottenere dati per alcuni parametri ancora incerti come l’effectiveness e la durata di protezione del vaccino. Infine, il modello essendo statico non considera l’herd immunity e non ha valutato un possibile impatto di Trumenba® sul carriage. Occorre, tuttavia, sottolineare che gli studi condotti al fine di valutare l’impatto dei vaccini anti-meningococco B sullo stato di portatore sono pochi e i dati non sono esaustivi [69]. Conclusioni In conclusione, il modello evidenzia la costo-efficacia della vaccinazione anti-meningococco B con Trumenba® negli adolescenti nell’undicesimo anno di vita. La vaccinazione determina, non solo una riduzione di casi di malattia, ma un benefico economico e sociale associato ai minori costi necessari per la cura della malattia e per la gestione delle sequele a medio e lungo termine. Sebbene i casi di malattia invasiva da meningococco B siano pochi, se si considera adeguatamente l’impatto globale della malattia, l’inserimento della vaccinazione anti-meningococco B nel programma di immunizzazione per gli adolescenti è fortemente raccomandato dal punto di vista economico., Introduzione Nel presente capitolo, per analizzare il ruolo della comunicazione nell’accettabilità della vaccinazione antimeningococcica tra gli adolescenti, saranno esaminati, attraverso i dati disponibili in letteratura, i seguenti aspetti: l’attuale comunicazione in ambito vaccinale, con particolare attenzione alle patologie meningococciche; l’attitudine alla vaccinazione nella popolazione generale e negli adolescenti; la vaccine literacy e vaccine hesitancy; l’utilizzo di nuovi mezzi di comunicazione e informazione per incrementare l’accettabilità delle vaccinazioni. Informazione e prevenzione sono oggi un binomio inscindibile in ambito sanitario: infatti, la corretta comunicazione è un fattore determinante per rendere efficaci gli interventi sanitari, quali quelli preventivi. Tuttavia, occorre considerare che oggi l’accesso all’informazione è diventato sempre più semplice grazie all'ampia diffusione dei nuovi mezzi di comunicazione (i.e internet e social media), a fronte di una qualità dell’informazione talvolta discutibile. Infatti, negli ultimi anni, insieme al crescente utilizzo di nuovi mezzi di comunicazione, come i social network, si sta assistendo ad un aumento considerevole della diffusione di fake news, ovvero notizie redatte con informazioni inventate, ingannevoli o distorte, rese pubbliche con il deliberato intento di disinformare o diffondere “bufale” attraverso i mezzi di informazione [1]. Questo fenomeno, in particolare, sta diventando sempre più rilevante per quanto riguarda le notizie relative alle vaccinazioni. Ad esempio, in un recente studio pubblicato su American Journal of Public Health, condotto nel periodo giugno 2014 - settembre 2017, è stata analizzata l’attività su Twitter di un gruppo di troll, ovvero di soggetti, solitamente anonimi, che interagiscono con gli altri tramite messaggi provocatori, irritanti, fuori tema o semplicemente senza senso e/o del tutto errati, con il solo obiettivo di disturbare la comunicazione. Lo studio dimostra l’esistenza di una rete organizzata che nel corso degli anni ha aizzato ed “avvelenato” il dibattito sui vaccini alimentando la “bufala” del legame fra vaccini e autismo [2]. La diffusione di una corretta comunicazione sulle malattie infettive prevenibili mediante vaccinazione, pertanto, diventa sempre di più un tema di rilevante importanza per la Sanità Pubblica, in un’ottica di incremento delle coperture vaccinali, fino al raggiungimento degli obiettivi previsti, come espresso nel Piano Nazionale della Prevenzione Vaccinale (PNPV) 2017-2019 [3]. La corretta comunicazione sulle vaccinazioni diventa oggi un aspetto ancora più rilevante considerando l’abbassamento delle coperture vaccinali che è stato riscontrato in Italia negli ultimi anni. Nel 2016, infatti, nessuno dei vaccini obbligatori o raccomandati ha raggiunto l’obiettivo del 95% di copertura vaccinale nazionale fissato nel PNPV in essere. In particolare, i tassi di copertura dei vaccini esavalente e contro morbillo-parotite-rosolia (MPR) erano diminuiti negli ultimi anni e nel 2016 si è riscontrata una loro riduzione del 2,8% rispetto al 2012 e del 3,6% rispetto al 2010 [4]. Tale riduzione delle coperture vaccinali in Italia può essere messa in relazione con il fatto che le malattie infettive oggi non fanno paura come nel passato e, di conseguenza, la vaccinazione non è più considerata uno strumento particolarmente importante e necessario per prevenirle. Da notare, infatti, come, secondo un’indagine condotta nel 2014 in Italia dal Centro Studi Investimenti Sociali (Censis), tra le patologie più temute per la vita futura, le malattie infettive rappresentino solo il 3,9%. In particolare, le malattie infettive sono al quinto posto dopo i tumori, le malattie che provocano non autosufficienza fisica, le malattie cardiovascolari e le malattie neurologiche progressive e demenze. Sempre secondo tale indagine, tra le strategie di prevenzione che i genitori italiani riferiscono di adottare, la vaccinazione viene dopo un’alimentazione sana, l’attività fisica, non abitudine al fumo e consumo di alcol, assunzione di vitamine/integratori alimentari [5]. Sebbene, secondo un’altra indagine condotta dal Censis nel 2014, l’offerta e la domanda di informazione scientifica nel nostro Paese siano molto elevate (la biomedicina copriva da sola il 55% dell’informazione sui quotidiani ed il 64% di quella trasmessa in televisione), occorre sottolineare che la comunicazione sanitaria si configura spesso come divulgazione di conoscenze e competenze e non come educazione, informazione sui rischi o promozione di comportamenti corretti [6]. Nonostante la disponibilità, è però opportuno assumere un atteggiamento critico riguardo le informazioni di ambito sanitario disponibili, valutando l’affidabilità delle fonti, nonché chiedendosi quali siano le prove scientifiche che avvalorano quanto affermato. D’altra parte, però non tutte le persone sono, ad oggi, in grado di poter fare questo tipo di valutazioni, anche in relazione al proprio livello di istruzione. Adeguati interventi di informazione ed educazione sanitaria, pertanto, diventano sempre più necessari per rendere consapevoli e responsabilizzare i cittadini nella difesa della propria salute e, in particolare, per far comprendere loro l’importanza degli interventi di prevenzione, come le vaccinazioni. Strategie comunicative puntuali ed efficaci avrebbero permesso di raggiungere gli stessi obiettivi di copertura che ad oggi sono stati raggiunti con la legge 119/17. Infatti, si è registrato un notevole aumento delle coperture nella coorte del 2015: il vaccino esavalente ha raggiunto la soglia del 95% in 13 regioni italiane, mentre le coperture della stessa coorte per morbillo, parotite e rosolia sono arrivate al 94% [7]. Patologia meningococcica e comunicazione La percezione del rischio di contrarre una determinata patologia e dei suoi esiti, come già anticipato, è uno dei determinanti favorevoli per l’accettazione di un programma di immunizzazione da parte della popolazione, specialmente se la malattia è particolarmente grave. Infatti, se nel periodo di “endemicità” della malattia, quando il rischio è medio-basso, la percezione di una patologia da parte della popolazione è praticamente nullo, in corso di epidemia il rischio viene percepito più elevato e può, quindi, risultare necessario gestire in maniera adeguata un fenomeno di allerta percepito con panico da parte della popolazione [8, 9]. In particolare, in questo ultimo contesto, con una percezione del rischio di malattia alta, l’accettazione della vaccinazione aumenta notevolmente. In caso di epidemie, pertanto, la comunicazione assume un ruolo determinante. Infatti, in queste situazioni, informazioni non sempre fondate o corrette si diffondono rapidamente in assenza di una comunicazione istituzionale precoce, e questa può essere una causa significativa di ansia nella popolazione coinvolta. Ad esempio, in seguito al ricovero di due ragazzi di 12 anni, con diagnosi di meningite da Neisseria meningitidis, frequentanti una scuola nel nord-ovest dell’Inghilterra, sono stati valutati, attraverso un questionario somministrato agli studenti dello stesso istituto, i metodi di comunicazione impiegati dall’Agenzia di Protezione Sanitaria (HPA). Le informazioni fornite dall’HPA attraverso la scuola sono state generalmente ritenute utili, ma tardive. In attesa di comunicazioni chiare da fonti ufficiali, molti partecipanti hanno dichiarato che le notizie circolanti hanno causato confusione e ansia negli studenti. Queste venivano diffuse attraverso dialoghi, messaggi e via web. Un’informazione accurata sarebbe stata utile per calmare l’ansia potenzialmente infondata nella popolazione [10]. Ansia nella popolazione per la patologia meningococcica è stata riscontrata recentemente anche in Toscana. Infatti, nel 2015-2016 è stato registrato un aumento inaspettato di casi di malattia invasiva da meningococco per un totale di 43 casi, di cui 10 fatali, a causa della circolazione di un ceppo ipervirulento di meningococco C. Seguendo il parere del Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (ECDC), sono state applicate le procedure operative standard per la gestione della salute pubblica della malattia meningococcica, compresa la tracciatura dei contatti e la somministrazione di chemioprofilassi per evitare la trasmissione tra i contatti. Inoltre, è stata raccomandata la vaccinazione alle persone non immunizzate [11]. In particolare, per fronteggiare l’incidenza crescente di casi di meningite registrati nel territorio toscano, una dose di vaccino quadrivalente anti-meningococco ACWY è stata offerta gratuitamente ai soggetti di età compresa tra 11 e 18 anni. Successivamente, l’offerta è stata estesa a persone di età compresa tra i 18 e i 20 anni e tra i 21 e i 45 anni che vivevano nelle zone dove si era verificato almeno un caso di malattia. A causa dell’elevato numero di casi tra persone di età superiore ai 45 anni, nel febbraio 2016, la vaccinazione contro il meningococco è stata estesa a tutte le persone di età superiore agli 11 anni a titolo gratuito nelle zone in cui erano stati segnalati i casi. Per i cittadini di età superiore a 45 anni che vivevano nelle altre zone della Toscana, i vaccini contro il meningococco erano disponibili con il pagamento di un ticket ridotto. Tale estesa campagna di immunizzazione è stata fortemente influenzata dalla grande richiesta, anche mediatica, della vaccinazione da parte della popolazione. Pertanto, è stata adottata anche una campagna di comunicazione per la popolazione che ha incluso diverse strategie per raggiungere gli obiettivi stabiliti dalle autorità sanitarie regionali (numero di telefono gratuito sulla vaccinazione, comunicati stampa su giornali, radio, televisione e siti web, lettere informative per sindaci, scuole, agenzie di istruzione locali e associazioni sportive, giorni di promozione dei vaccini). L’adesione della popolazione alla campagna di vaccinazione è stata soddisfacente: la copertura vaccinale per il meningococco C ha raggiunto il 47,1% per il target primario. In particolare, la richiesta di vaccinazione da parte della popolazione è risultata fortemente correlata alla comparsa di notizie sui media di nuovi casi tra la popolazione. Un aumento della percezione del rischio di meningite, ha favorito dunque la compliance alla vaccinazione, riconosciuta dalla popolazione come importante strumento di prevenzione di una malattia “che spaventa” [12]. Si comprende, pertanto, come una comunicazione chiara ed efficace sia fondamentale in periodi epidemici per una adeguata gestione dell’ansia nella popolazione anche se, quando la percezione del rischio è più tangibile, l’accettazione della vaccinazione risulta più facile da parte della popolazione. Occorre, però, non dimenticare anche l’adozione di una corretta ed idonea comunicazione anche nei periodi endemici per far comprendere quali possano essere le conseguenze di una patologia prevenibile con vaccinazione, sensibilizzando così la popolazione ai fini di una buona adesione ad una campagna di vaccinazione. È opportuno notare, tuttavia, che per le patologie da meningococco la percezione del rischio e della gravità della patologia, rispetto ad altre infezioni prevedibili mediante vaccinazione, è già di per sé elevato anche in periodi non epidemici, favorendo l’adozione di interventi preventivi. Infezione da meningococco B: l’attitudine alla vaccinazione e la percezione del rischio di malattia nella popolazione Nel 2012 è stato condotto un sondaggio nella popolazione australiana riguardo la conoscenza della malattia meningococcica da meningococco di tipo B e l’attitudine alla vaccinazione. Hanno partecipato 3.055 individui con età compresa tra 15 e 97 anni. Il 23,5% dei partecipanti (n = 717) non conosceva la malattia da meningococco ed il 9,1% (n = 278) credeva erroneamente che si trattasse di un’infezione virale. Il 36,6% (n = 1.114) aveva una scarsa conoscenza generale di questa patologia. Gli adolescenti (p < 0,050) e coloro che dichiaravano di avere un basso livello di istruzione (p = 0,019), un reddito familiare basso (p = 0,011) o uno stato socioeconomico basso/medio (p < 0,050) avevano più probabilità di avere una conoscenza generale inferiore della malattia meningococcica. Inoltre, coloro che non erano genitori (p < 0,001), erano di genere maschile (p < 0,001), single (p < 0,001), molto istruiti (p = 0,022) o avevano un reddito familiare elevato (p = 0,015), avevano una preoccupazione inferiore per la malattia meningococcica. Tra i 3.055 individui intervistati, 966 erano genitori. L’82,5% (95% CI: 79,7-85,4) dei genitori (797/966) era favorevole alla somministrazione del vaccino contro il meningococco B ai propri figli, mentre il 12,2% (95% CI: 9,7-14,7) (118/966) si dichiarava incerto. La principale preoccupazione dei genitori riguardo alla vaccinazione era relativa ai potenziali effetti collaterali (41,3%; 95% CI: 26,7-46,0) [13, 14]. In uno studio condotto tra il 1 maggio e il 31 dicembre 2013 in diversi ambulatori francesi di medici generici e pediatri e in asili nido sono state raccolte le opinioni di 1.270 genitori che avevano almeno un figlio di età compresa tra di 2 mesi e 16 anni, attraverso un questionario. Di questi, 671 (52,8%) genitori hanno dichiarato di essere a favore della vaccinazione contro il meningococco B. La loro scelta è stata principalmente giustificata dalla gravità della malattia (63,8%) e dalla volontà di proteggere il proprio bambino (51,7%). Nell’analisi multivariata, la giovane età dei genitori (OR = 0,949 per anno aggiuntivo, p < 10-3), la storia della vaccinazione contro le malattie invasive meningococciche da sierogruppo C (OR = 6,755; p < 10-3) e la precedente conoscenza del vaccino (OR = 2,081; p = 0,001) era associata all’accettazione della vaccinazione. Uno dei motivi principali del rifiuto era il timore di effetti collaterali a seguito della vaccinazione (45,5%) [15]. Uno studio simile è stato condotto nel 2015 anche in Italia, nell’area geografica di Napoli e Salerno, in un campione di 910 genitori, con un tasso di risposta del 59,7%. Quasi tutti i genitori avevano sentito parlare di meningite (95,8%); il 79,8% conosceva la modalità di trasmissione e il 62,5% conosceva la popolazione a maggior rischio (neonati, bambini e adolescenti). Inoltre, l’86% degli intervistati sapeva che il vaccino è una misura preventiva. I genitori sposati, che avevano un figlio, che non avevano ricevuto informazioni sul vaccino contro il meningococco B da parte dei medici e che avevano bisogno di ulteriori informazioni sul vaccino, avevano più probabilità di conoscere l’importanza del vaccino come misura preventiva della meningite. Riguardo all’atteggiamento nei confronti del vaccino anti-meningococco B, circa due terzi dei genitori consideravano utile il vaccino (67,2%) e hanno dichiarato che avrebbero vaccinato i loro bambini (64,1%). I genitori che avevano somministrato almeno una vaccinazione raccomandata ai loro figli, che consideravano utile il vaccino, che avevano bisogno di ulteriori informazioni sul vaccino e che sapevano che il vaccino era una misura preventiva della meningite, avevano una maggiore probabilità di avere un atteggiamento positivo verso la vaccinazione dei loro bambini [16]. Nell’ambito di un altro studio condotto in Italia nel periodo maggio-luglio 2013 a Milano, sono stati distribuiti 2.050 questionari riguardanti l’accettabilità della vaccinazione anti-meningococco B a genitori di bambini che si presentavano presso gli ambulatori vaccinali per l’immunizzazione con il vaccino esavalente. Di questi, 1.842 genitori (89,1%) hanno risposto al sondaggio; il 64,4% dei genitori era favorevole alla somministrazione del vaccino. L’analisi multivariata ha mostrato che il riconoscimento della gravità della meningite (OR = 2,3; CI: 1,4-3,6), la consapevolezza della vaccinazione come misura preventiva benefica (molto benefici vs non benefici OR = 6,4; CI: 3,0-13,7) e la conoscenza del vaccino anti-meningococco C (OR = 1,4; CI: 1,1-1,8) erano fortemente associati alla disponibilità a ricevere la vaccinazione. Al contrario, il livello di educazione era associato con il rifiuto dell’immunizzazione (livello universitario vs livello di istruzione inferiore alla scuola media OR = 0,68; CI:0,47-0,97) [17]. Contrariamente ad altre vaccinazioni, pertanto, nella popolazione, e in particolare tra i genitori, l’accettazione della vaccinazione contro il meningococco risulta favorevole per la percezione di un elevato rischio di malattia. Tale considerazione resta comunque fortemente correlata alla diffusione di una adeguata informazione sulla vaccinazione come intervento preventivo sicuro ed efficace. Meningococco B: l’attitudine alla vaccinazione e la percezione del rischio di malattia negli adolescenti In letteratura pochi studi analizzano l’attitudine alla vaccinazione anti-meningococco negli adolescenti. Nel 2017 è stato condotto uno studio trasversale in Italia su un campione di 771 adolescenti, di età compresa tra 11 e 18 anni, selezionati da un campione casuale di 5 scuole pubbliche di Napoli. È stato somministrato un questionario per indagare le conoscenze e l’attitudine degli adolescenti nei confronti delle vaccinazioni. Il 57,2% degli intervistati ha dichiarato di avere una conoscenza corretta/soddisfacente delle malattie prevenibili con il vaccino. Questa conoscenza era significativamente più alta in coloro che avevano almeno un genitore laureato, che avevano ricevuto informazioni sui vaccini dai medici e che avevano bisogno di ulteriori informazioni sui vaccini. Inoltre, il 41,3% degli adolescenti dichiarava di ritenere molto utili i vaccini, in quanto strumento di protezione verso malattie prevenibili. Per quanto riguarda le decisioni sulle vaccinazioni, il 47,2% riteneva che gli adolescenti debbano prendere autonome decisioni sulle vaccinazioni [18]. In uno studio condotto nel maggio 2014 in Australia, tramite sondaggio telefonico, finalizzato alla valutazione delle opinioni dei genitori e degli adolescenti sull’accettabilità del vaccino multicomponente contro il meningococco B, la meningite era considerata una malattia pericolosa dalla maggior parte degli intervistati e il 75% degli adolescenti (n = 138) ha dichiarato di essersi vaccinato o di avere intenzione di vaccinarsi. Gli adolescenti hanno segnalato come principali motivi sfavorenti la vaccinazione la mancanza di interesse, di tempo o di informazioni e la bassa sensibilità percepita relativa alla gravità della malattia [19]. Secondo uno studio condotto da Pelullo et al. su un campione di 771 adolescenti italiani, l’85,2% dei partecipanti aveva sentito parlare di meningite, il 57,2% era a conoscenza che gli adolescenti sono una popolazione ad alto rischio di malattia meningococcica e solo il 30,3% sapeva che la meningite è trasmessa per via respiratoria. Inoltre, il 40,5% degli adolescenti sapeva che la meningite è una malattia prevenibile da vaccino e che gli adolescenti sono una delle categorie target per la vaccinazione. Questa conoscenza era significativamente maggiore tra le ragazze, tra coloro che parlano con i genitori delle vaccinazioni, che hanno ricevuto informazioni sui vaccini dai medici, che hanno un atteggiamento positivo verso l’utilità delle informazioni ricevute sulle vaccinazioni e che non sentono il bisogno di ulteriori informazioni sulla meningite. Inoltre, il 25,7% degli adolescenti riteneva che il vaccino fosse molto utile. Adolescenti maschi, di età compresa tra 11 e 13 anni, che avevano l’atteggiamento positivo verso l’utilità delle informazioni ricevute sulle vaccinazioni e che avevano ricevuto almeno una vaccinazione nell’ultimo anno, avevano più probabilità di ritenere utile la vaccinazione [20]. Questi studi confermano, pertanto, che negli adolescenti che conoscono la meningite, l’attitudine alla vaccinazione contro il meningococco è alta grazie alle corrette informazioni che hanno ricevuto e all’alta percezione del rischio di malattia. La corretta informazione e l’educazione sanitaria della popolazione e, soprattutto, degli stessi adolescenti assume, pertanto, un ruolo fondamentale per incrementare l’accettabilità della vaccinazione antimeningococcica, soprattutto in quei gruppi di soggetti le cui conoscenze riguardo alla malattia meningococcica potrebbero essere non adeguate. VACCINE LITERACY E VACCINE HESITANCY Una adeguata informazione e una appropriata educazione sulle vaccinazioni sono oggi di fondamentale importanza, ma per essere efficaci devono essere messe in relazione alla capacità delle persone di recepire e comprendere i giusti messaggi forniti. La Health Literacy (HL) si riferisce alle conoscenze, motivazioni e competenze necessarie alle persone per accedere, capire, valutare ed utilizzare le informazioni sulla salute, al fine di esprimere opinioni e prendere decisioni nella vita di tutti i giorni riguardo all’assistenza sanitaria, alla prevenzione delle malattie e alla promozione della salute e di mantenere o migliorare la qualità della propria vita [21]. La health literacy influenza i comportamenti e l’uso dei servizi sanitari, con conseguenze in termini di outcomes di salute e di costi per l’individuo e la collettività. Un livello non adeguato di health literacy, infatti, viene associato ad una ridotta capacità di comprendere le informazioni sanitarie, ad una non corretta adesione alle terapie, ad una limitata attenzione verso la prevenzione, ad un maggior numero di ricoveri ospedalieri, ad un peggior stato di salute e ad un tasso di mortalità più elevato [22]. In particolare, un’alfabetizzazione sanitaria limitata o insufficiente è associata ad una riduzione dell’adozione di comportamenti protettivi, come la vaccinazione [23, 24]. Il concetto di “vaccine literacy”, pertanto, considera l’health literacy dal punto di vista degli atteggiamenti e dell’esitazione verso l’immunizzazione al fine di definire e comprendere meglio i principali determinanti dell’accettazione della vaccinazione. Nello specifico, “vaccine literacy non è semplicemente una conoscenza dei vaccini, ma anche lo sviluppo di un sistema con una minore complessità per comunicare e offrire vaccini come condizione sine qua non di un sistema sanitario funzionante” [25]. In una recente revisione di letteratura condotta da Lorini et al. nel 2018 è stata considerata la relazione tra health literacy e adesione alla vaccinazione. In particolare, questa relazione sembra essere influenzata dalla percezione che la popolazione ha dei rischi legati alla malattia. Laddove, infatti, il rischio di malattia è percepito come probabile e con possibili complicanze a breve termine, l’health literacy influenza positivamente l’adesione alla vaccinazione. Nei casi, invece, in cui la percezione del rischio di malattia è bassa, l’health literacy influisce negativamente o non influisce sull’adesione alla vaccinazione [26]. Questo aspetto diventa particolarmente importante per infezioni come la meningite, che è percepita dalla popolazione come una patologia ad elevato rischio per la salute. In Italia, nel 2016, è stata condotta un’indagine tra i genitori di bambini di età compresa tra 16 e 36 mesi per stimare la titubanza nel vaccinare i figli e indagarne i relativi determinanti. Sono stati analizzati 3.130 questionari: l’83,7% dei genitori era a favore dei vaccini, il 15,6% era esitante e lo 0,7% era contrario alla vaccinazione. Dubbi sulla sicurezza dei vaccini sono il principale motivo di rifiuto (38,1%) o interruzione della vaccinazione (42,4%). Infatti, anche se la sicurezza dei vaccini era percepita come una preoccupazione per tutti i genitori, i genitori contrari alla vaccinazione e quelli esitanti erano molto più spaventati per le possibili reazioni avverse rispetto ai genitori favorevoli alle vaccinazioni. Tuttavia, i genitori favorevoli alle vaccinazioni e quelli esitanti consideravano la vaccinazione un importante strumento di prevenzione e consideravano come necessari adeguati interventi di comunicazione [27]. L’esitazione alla vaccinazione potrebbe essere in parte superata migliorando l’educazione e l’alfabetizzazione sanitaria, specialmente se mirata, non solo ai genitori e alla popolazione adulta, ma anche agli studenti, a partire dalle scuole primarie e secondarie [28]. Ulteriori considerazioni per incrementare l’accettazione delle vaccinazioni devono essere fatte sugli operatori sanitari. Uno studio, condotto in Veneto nel periodo giugno 2009 - maggio 2011, riguardo ai determinanti del rifiuto delle vaccinazioni ha mostrato un’influenza significativa del livello di istruzione sull’accettazione dei vaccini: il livello di istruzione di chi non vaccina i figli è significativamente più elevato: quasi la metà delle madri non vaccinatrici dichiarava di essere laureata. I risultati hanno anche dimostrato che molti di loro erano operatori sanitari: questo aspetto può essere messo in relazione con i tassi di copertura vaccinale bassi riscontrati tra gli operatori sanitari [29]. Pertanto, anche la formazione dei futuri operatori sanitari su questo tema diventa sempre più importante per affrontare qualsiasi dubbio e per promuovere maggiormente l’immunizzazione attiva tra la popolazione generale. Questo aspetto è particolarmente importante per patologie come quella meningococcica. Al fine di valutare la conoscenza di 118 studenti di medicina e biologia frequentanti l’Università degli Studi di Palermo sulla vaccinazione prima di un seminario su questo argomento e di valutare il loro miglioramento delle conoscenze dopo l’intervento educativo, è stato somministrato un questionario prima e dopo l’incontro. I risultati post-test hanno mostrato un miglioramento significativo delle risposte, con una percentuale complessiva di risposte corrette che aumentava dal 38,8% al 77,6% (p < 0,001). Lo studio evidenzia l’importanza della corretta istruzione/formazione degli studenti di medicina e biologia al fine di migliorare le conoscenze e gli atteggiamenti nei confronti dei vaccini e di prepararli a promuovere le vaccinazioni tra la popolazione generale [30]. Formare i professionisti della salute per fornire informazioni omogenee, in linea con le raccomandazioni nazionali, è fondamentale per rispondere alle preoccupazioni della popolazione riguardo ad un importante strumento di prevenzione come la vaccinazione. L’informazione oggi: adulti e social network Se nel passato, la principale fonte di informazione sulla salute (e anche sulle vaccinazioni) era il proprio medico di fiducia o quello del Servizio di Sanità Pubblica, oggi i nuovi mezzi di comunicazione sono sempre più diffusi. Per incrementare l’accettazione della vaccinazione, specialmente quando i target dell’immunizzazione sono gli adolescenti, occorrerà tenere conto di questo cambiamento. Oggi più della metà della popolazione mondiale si connette ad internet. Infatti, secondo il Report Global Digital 2018, basato su dati provenienti da 239 Paesi, attualmente il numero degli utenti connessi ad internet nel mondo ha sorpassato la soglia dei 4 miliardi di persone. In Italia l’utilizzo dei social media sta crescendo insieme al numero di soggetti che si connettono a internet, con il 73% della popolazione online (43 milioni di persone) e con 34 milioni di utenti attivi sui social media. Gli italiani trascorrono circa 6 ore al giorno online (quasi il doppio del tempo che trascorrono davanti alla televisione). Di queste ore, quasi due sono trascorse utilizzando una piattaforma social media, infatti, le app (applicazioni) più utilizzate risultano essere Facebook, Whatsapp e Instagram [31]. Negli ultimi anni il numero delle app sviluppate correlate alla salute, è aumentato. Nel 2013 nel mondo le app correlate alla salute erano circa 31.000 e il loro numero è in rapido aumento [32]. Secondo il report mHealth App Developer Economics 2014, che ha categorizzato 808 app in ambito sanitario presenti sui principali store, risulta che quasi un terzo di esse erano finalizzate al monitoraggio dell’attività fisica, il 16,6% forniva informazioni mediche (su malattie, sintomi, farmaci) ed il 15,5% erano dedicate al benessere (yoga, meditazione etc). Le app finalizzate a migliorare la compliance al trattamento erano solo l’1,6% [33]. Una criticità da evidenziare è che non esistono ad oggi forme di controllo o regolamentazione delle app sanitarie, per cui spesso i contenuti informativi sono poco accurati o non aggiornati [34]. In un sondaggio condotto nel giugno 2015 negli Stati Uniti, che ha coinvolto 1.604 persone che utilizzavano lo smartphone, è stato valutato l’utilizzo di app correlate alla salute. Poco più della metà (934/1.604, 58,23%) degli utenti ha scaricato un’app mobile correlata alla salute. Fitness e alimentazione erano le categorie più comuni di app di salute utilizzate. I motivi comuni per non aver scaricato app erano la mancanza di interesse, costi e preoccupazioni per le app che raccoglievano i loro dati personali. Gli individui che hanno maggiori probabilità di utilizzare app per la salute tendono ad essere più giovani e più istruiti. Il costo era una preoccupazione significativa con 41,3% di soggetti che indicava che non avrebbero pagato nulla per un’app di salute. È interessante notare che la maggior parte di coloro che avevano scaricato app per la salute riteneva che queste avessero migliorato la loro salute. Circa la metà degli intervistati (427/934, 45,7%) aveva smesso di utilizzare alcune app di salute, principalmente a causa dell’elevato onere di inserimento dati, perdita di interesse e costi nascosti. Questi risultati evidenziano che mentre molte persone usano app per la salute, una parte considerevole della popolazione non lo fa, e che anche tra coloro che usano app di salute, molti smettono di usarle. Questi dati suggeriscono che gli sviluppatori di app dovrebbero essere maggiormente sensibili alle esigenze dei consumatori, come i costi e l’elevato carico di dati. Inoltre, sono necessarie prove per testare l’efficacia delle app per la salute per ampliare il loro appeal e adozione [35]. Questo mondo in espansione dei social network e delle app può diventare un utile mezzo per comunicare la promozione della salute in ambito vaccinale, informare sui vaccini ed educare la popolazione. Infatti, secondo un’indagine condotta dal Censis nel 2017, il 17% dei genitori che vivono in Italia riferisce di ricorrere ad internet e ai social network per ricercare informazioni riguardanti le vaccinazioni. In particolare, il 42,8% lo fa per decidere se vaccinare o meno il proprio figlio [36]. Occorre, tuttavia, che la popolazione riesca a valutare l’attendibilità e la qualità delle notizie trovate su questi nuovi mezzi di comunicazione. Primo fra tutti, è importante controllare, come riportato in una recente indagine, chi sono coloro che pubblicano post sul tema vaccinale sui social, come Facebook e Twitter. Infatti, i post di specialisti e di istituzioni rappresentano ciascuno l’1% delle notizie scritte mentre i post pubblicati da persone contrarie alla vaccinazione costituiscono il 31%. Ciò può determinare una carenza di informazioni corrette sull’efficacia e la sicurezza delle vaccinazioni [37]. L’attenta valutazione della fonte che inserisce informazioni su social network diventa ancora più importante quando i post sono relativi a patologie che attirano particolarmente l’attenzione, come le malattie meningococciche. Dall’altra parte, quest’ultimo aspetto potrebbe essere sfruttato per trasformare i social network da un mezzo di comunicazione dannoso o fuorviante, a strumento particolarmente efficace per la promozione della salute mediante la prevenzione. L’informazione oggi: adolescenti e social network Le nuove tecnologie e, in particolare, i social network, svolgono oggi un ruolo particolarmente importante nella vita degli adolescenti. L’utilizzo sempre più diffuso degli smartphone da parte degli adolescenti rende difficile per i genitori quantificare il tempo effettivamente trascorso dai loro figli sui social network. Dall’indagine periodica Abitudini e stili di vita degli adolescenti italiani, promossa dalla Società Italiana di Pediatria (SIP) su campioni rappresentativi della popolazione nazionale, emerge che mentre nel 2000 solo il 5% degli adolescenti dichiarava di aver utilizzato almeno una volta internet, nel 2004 la percentuale era salita al 57%, per arrivare al 100% nell’ultima indagine effettuata e resa disponibile (2013-2014). Se nel 2008 il 42% degli adolescenti utilizzava internet tutti i giorni, nel 2014 questa percentuale era raddoppiata (81%). La quasi totalità degli adolescenti ha internet sempre a portata di mano, in qualunque momento della giornata. L’accesso a internet per questa fascia di popolazione vuol dire prevalentemente utilizzo di social network. L’estrema familiarità con il mondo web ha comportato una crescente socializzazione all’interno di piattaforme digitali e attraverso app che permettono di mettersi in contatto contemporaneamente con un numero pressoché illimitato di persone. Nel 2014, sempre in base alla ricerca della SIP, l’81% degli adolescenti aveva un proprio account su Whatsapp, il 42% era un membro attivo di Instagram e il 30% dei maschi e il 37% delle femmine risultava iscritto ad Ask, un social network che permette di comunicare mantenendo il proprio anonimato [38]. È necessario comprendere quanto gli adolescenti utilizzino questi mezzi per la ricerca di informazioni che riguardano la propria salute. A tale fine è stato condotto uno studio nel 2017 a Boston con la somministrazione di un questionario anonimo. Il questionario è stato compilato da 204 giovani, con un tasso di partecipazione dell’83,6%. Quasi tutti (98%) avevano utilizzato i social media nel mese precedente e solo il 51,5% aveva condiviso informazioni sanitarie in rete. Coloro che dichiaravano di avere problemi di salute avevano maggiori probabilità di condividere le informazioni sulla salute. Soltanto il 25% dei ragazzi che hanno risposto al questionario riteneva che i social media potessero fornire loro utili informazioni sanitarie. Il non considerare i social media come un’utile fonte di informazioni sulla salute potrebbe pertanto limitare l’utilità dei messaggi di Salute Pubblica attraverso la rete per questa fascia di popolazione [39]. Pertanto, se da una parte il web e i social network potrebbero rappresentare un utile strumento anche per la trasmissione di informazioni sanitarie per il loro ampio utilizzo tra giovani, dall’altra è importante far crescere la considerazione degli adolescenti riguardo al web come mezzo di comunicazione utile per la ricerca di informazioni sanitarie, tra cui la prevenzione vaccinale, e fornire un’educazione adeguata al fine di acquisire capacità nella ricerca di informazioni attendibili. Conclusioni Secondo una revisione sistematica di letteratura condotta da Yonker et al., i social media, se utilizzati in modo opportuno, possono essere considerati nuovi efficaci mezzi di comunicazione per coinvolgere, informare ed educare gli adolescenti e i giovani adulti in ambito di salute. I social media sono, infatti, già stati utilizzati con successo per coinvolgere questa fascia di età in tematiche riguardanti la salute, identificando i comportamenti a rischio e fornendo interventi e un’educazione adeguati [40]. Aumentare la conoscenza riguardo alla malattia meningococcica e alla possibilità di prevenzione della stessa con la somministrazione del giusto vaccino attraverso i nuovi mezzi di comunicazione potrebbe far crescere l’accettabilità della vaccinazione tra gli adolescenti. In questo senso, i social network, da strumenti di comunicazione che in alcuni casi contrastano l’accettazione della vaccinazione con la diffusione di fake news, possono diventare un utile strumento di promozione della salute. Anche la promozione di app correlate alla salute, ed in particolar modo alla prevenzione della malattia meningococcica, potrebbe svolgere un ruolo importante nell’accettazione della vaccinazione, come ad esempio la app “Liberi da meningite”, che ha lo scopo di informare i genitori sulla malattia, insegnare a riconoscerla e prevenirla [41]. Identificare le barriere e gli indicatori positivi per l’accettazione della vaccinazione in questa categoria di giovani è fondamentale per il successo dei programmi di immunizzazione. Attualmente una sfida importante per i programmi di immunizzazione nei Paesi sviluppati è proprio il miglioramento della compliance degli adolescenti, al fine di raggiungere e mantenere alti tassi di vaccinazione, per questa fascia di età. Di conseguenza diventa necessaria l’adozione di interventi educativi e alfabetizzazione per migliorare le conoscenze degli adolescenti sulla meningite e le relative vaccinazioni. Un ultimo rilevante aspetto riguarda l’importanza di coinvolgere direttamente gli adolescenti nelle decisioni sulla propria salute, non soltanto i loro genitori [42]. Nell’ottica di implementare la vaccinazione anti-meningococco B negli adolescenti dovrà essere considerata, pertanto, la possibilità di sviluppare una idonea campagna di informazione/comunicazione rivolta ai ragazzi in età adolescenziale ed ai loro genitori ricorrendo anche all’utilizzo di social media., Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2017-1019 (PNPV 2017-2019) L’adolescenza è una fase della vita particolarmente importante per le vaccinazioni, anche se spesso trascurata o non adeguatamente presa in considerazione. L’adolescenza, infatti, rappresenta il periodo elettivo in cui effettuare alcuni vaccini come quello anti-HPV, ma è anche un momento di verifica e di somministrazione di richiami di vaccinazioni già effettuate nell’infanzia (ad esempio, contro difterite, tetano, pertosse e poliomielite). Inoltre, in questa fase della vita, risulta fondamentale verificare anche lo stato vaccinale per morbillo, parotite, rosolia e varicella iniziando o completando eventuali cicli vaccinali incompleti. Per quanto riguarda la vaccinazione anti-meningococco (anti-Men) le strategie ad oggi messe in atto rispondono a diversi criteri di analisi che hanno portato in alcuni casi a delineare un’offerta vaccinale diretta prevalentemente all’infanzia, in altri casi ad individuare nell’adolescenza un periodo fondamentale anche per questa vaccinazione sia per la somministrazione di dosi booster al fine di mantenere elevato il titolo anticorpale, sia come ulteriore possibile popolazione target per la somministrazione del vaccino. In particolare, in Italia il Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2017-2019 (PNPV 2017-2019) [1] raccomanda nell’adolescenza una dose di vaccino quadrivalente anti-meningococcico ACYW135 (anti-Men ACYW135), sia a chi non abbia mai effettuato nell’infanzia la vaccinazione (anti-Men C o ACYW135), sia a chi abbia già ricevuto una dose di vaccino, in quanto il titolo anticorpale battericida tende a diminuire nel tempo riducendo la protezione nei confronti della malattia. Per la vaccinazione contro il meningococco B (anti-Men B), in considerazione della sua recente introduzione, il PNPV 2017-2019 definisce come prioritario il suo utilizzo nella prima infanzia, età in cui è massimo l’impatto della malattia. Tuttavia, considerando l’epidemiologia delle infezioni meningococciche, si sottolinea l’importanza di delineare in futuro politiche di offerta attiva di tale vaccinazione anche nella popolazione adolescente [1]. La valutazione di adozione di una immunizzazione anti-Men B negli gli adolescenti, infatti, deriva dalla considerazione che questi ultimi e i giovani adulti sono categorie a rischio per l’andamento epidemiologico delle malattie invasive meningococciche: essi rappresentano una percentuale significativa nel numero complessivo dei casi e il tasso di letalità tra i pazienti non-anziani (< 65 anni di età) risulta più elevato nei soggetti di età compresa fra i 15 e i 24 anni [2]. Nel 2017 il 17,3% dei casi di malattia meningococcica invasiva in Europa apparteneva alla classe di età 15-24 anni [3]. Inoltre, negli adolescenti, i sintomi precoci vengono riconosciuti più tardi, con prolungamento del ricovero ospedaliero e con conseguente presenza di una gamma di esiti fisici e psicologici molto ampia e severa [4, 5]. La vaccinazione anti-MenB nei Calendari vaccinali regionali Le Regioni e le Province autonome italiane hanno recepito le indicazioni del PNPV 2017-2019. In particolare, per quanto riguarda la vaccinazione anti-Men B, in tutte le Regioni è attualmente prevista la vaccinazione nell’infanzia mentre per le fasce di età superiori il vaccino è offerto solo nel caso di soggetti a rischio. La Regione Sicilia nel 2017 ha previsto un’offerta gratuita per la vaccinazione anti-Men B per le categorie considerate a rischio e, in generale, su indicazione da parte del pediatra di famiglia, tra i 5 e i 10 anni con la schedula a due dosi distanziate da almeno 30 giorni, ma anche un’offerta gratuita ai soggetti mai vaccinati prima, nel corso del dodicesimo anno di vita (undici anni e un giorno) a partire dalla coorte 2006 [6]. In Puglia dal 2018, nel nuovo calendario regionale, è prevista l’offerta attiva e gratuita della vaccinazione anti-Men B per i soggetti di undici-dodici anni in concomitanza con la vaccinazione anti-Men ACWY (numero di dosi in base all’età, secondo scheda tecnica) [7]. La Regione Campania nel 2019 ha stabilito che la vaccinazione anti-Men B debba essere assicurata con chiamata attiva e gratuita ai nuovi nati ma anche agli adolescenti nel corso del tredicesimo anno di età (dodici anni più un giorno) in concomitanza con l’offerta della vaccinazione anti-Men ACWY [8]. Calendario vaccinale per la vita 2019 Nella quarta ed ultima edizione del Calendario Vaccinale per la Vita (2019) [9] ovvero il calendario vaccinale elaborato dalla Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI), dalla Società Italiana di Pediatria (SIP), dalla Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP) e dalla Federazione Italiana Medici di Medicina Generale (FIMMG), viene raccomandata l’introduzione di una dose booster con vaccino anti-Men ACWY tra i 6 e i 9 anni di età, soprattutto in caso di particolari condizioni epidemiologiche di diffusione di ceppi ipervirulenti e in considerazione del fatto che dopo 5 anni dall’immunizzazione una rilevante quota di vaccinati non risulta protetta. Inoltre, è fortemente raccomandata una dose booster al dodicesimo anno di età per coloro che non avessero effettuato il richiamo a 6-9 anni. L’indicazione alla vaccinazione in età adolescenziale permane anche per i ragazzi vaccinati durante l’infanzia e per coloro che abbiano effettuato il booster a 6-9 anni, in considerazione della necessità di mantenere elevato il titolo anticorpale per contrastare la rapida invasività di ceppi ipervirulenti di meningococco. Il Calendario relativamente al vaccino anti-Men B raccomanda di mantenere l’offerta attiva e gratuita per tutti i lattanti e l’offerta attiva per i soggetti a rischio di tutte le età per patologie concomitanti, per attività lavorativa e, in caso di comparsa di focolai epidemici, ai contatti stretti dei soggetti affetti. Per quanto concerne l’età adolescenziale, considerando l’epidemiologia delle malattie meningococciche invasive e che la vaccinazione in questa popolazione è stata già utilizzata in caso di epidemie in comunità o per ridurre il rischio in Regioni ad alta endemia, dimostrando efficacia, sicurezza e tollerabilità, si raccomanda la valutazione in tempi brevi della possibilità di introduzione del vaccino in maniera estensiva in età adolescenziale. Si raccomanda, inoltre, che le Regioni già in grado di introdurre la vaccinazione in questa fascia d’età all’interno di progetti pilota, effettuino anche una valutazione puntuale della strategia. Le coperture vaccinali nell’adolescenza in Italia Nell’ottica di una valutazione della possibile introduzione della vaccinazione anti-Men B nell’adolescenza, viste le attuali raccomandazioni, occorrerà stimare i possibili livelli di copertura vaccinale raggiungibili dalla nuova strategia di immunizzazione. Nelle Figure 1 e 2 sono mostrate le coperture vaccinali raggiunte in Italia per le vaccinazioni anti-MenC e anti-Men ACYW135 effettuate nell’adolescenza nelle coorti dei sedicenni (coorte 2002) e dei diciottenni (coorte 2000) per l’anno 2018 [10]. I dati mostrano un’ampia difformità tra le diverse Regioni sia considerando la vaccinazione anti-Men C come singolo antigene, che analizzando la vaccinazione anti-Men ACYW135 [10]. Il Ministero della Salute, a seguito dell’emanazione del PNPV 2017-2019, al fine di garantire l’erogazione di tutte le vaccinazioni previste come Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) su tutto il territorio nazionale entro il 2018, ha anche definito nel 2017 sia la tempistica di introduzione dell’offerta attiva sia gli obiettivi di copertura delle nuove vaccinazioni. In particolare, per il 2017 era prevista l’introduzione della vaccinazione anti-Men ACYW135 (una dose) nell’adolescente con l’obiettivo di copertura vaccinale ≥ 60% e graduale aumento di copertura negli anni successivi (≥ 75% nel 2018, ≥ 95% nel 2019, ≥ 95% nel 2020) [11]. I livelli di copertura vaccinale per le coorti del 2000 e del 2002, quindi, non hanno raggiunto l’obiettivo target del PNPV 2017-2019 del ≥ 95% per la vaccinazione anti-Men ACYW135 in una coorte di adolescenti (range 11-18 anni). È necessario sottolineare che non è possibile effettuare una valutazione accurata del dato perché le diverse regioni hanno adottato strategie vaccinali anti-meningococco diverse e in tempi diversi. La vaccinazione anti-Men B potrebbe essere somministrata al dodicesimo anno di vita insieme alla vaccinazione contro l’HPV, come proposto nel Calendario della Regione Sicilia [6]. Tuttavia, i dati di copertura vaccinale contro l’HPV per ciclo completo in Italia evidenziano una compliance alla vaccinazione non ottimale e un’ampia variabilità tra le Regioni e le Provincie Autonome per tutte le coorti di femmine dal 1997 al 2005 (Fig. 3) [12]. In particolare, nessuna Regione o Provincia Autonoma ha raggiunto l’obiettivo di copertura del 95% [1], in nessuna delle coorti prese in esame. Le ultime coperture vaccinali per le ragazze sono comprese in un range tra 35,7-79,9% per la coorte 2003, 35,4-78,9% per la coorte 2004 e tra 30,5-75,5% per la coorte 2005, con valori medi italiani del 64,71%, 63,46% e 49,92% per coorte, rispettivamente. Anche la copertura vaccinale per i maschi relativa alle coorti 2003-2005 risulta molto lontana dall’obiettivo graduale: 60% previsto per il 2018 [11]. Tuttavia, coperture vaccinali migliori per i maschi (coorte 2004, ciclo completo: Veneto 60,0%; Friuli Venezia Giulia 52,7%; Puglia 53,2%) sono osservati nelle Regioni e nelle Provincie Autonome che avevano esteso l’offerta attiva e gratuita anche ai ragazzi già prima dell’approvazione del PNPV 2017-2019 [12]. Per aumentare il livello di compliance alla vaccinazione tra gli adolescenti si possono mettere in atto delle strategie mirate (ad esempio, requisito per l’accesso scolastico, invii di promemoria) [13]. Per esempio, in Toscana, a partire dall’aprile 2015, a seguito dell’incremento dei casi notificati di malattia meningococcica, è stata implementata una campagna vaccinale straordinaria anti-Men C che prevedeva l’introduzione di un’offerta attiva e gratuita del vaccino anti-Men ACYW135 e che aveva come target prioritario la popolazione con un’età compresa tra gli 11 e i 20 anni [14]. Per quanto riguarda la ex-ASL di Firenze, la campagna è stata attuata in 19 sedi fisiche (14 distretti e 5 ospedali). Sono stati inoltre coinvolti i medici di famiglia (68%) ed i pediatri di famiglia (80,7%), con adesione alla partecipazione alla campagna su base volontaria. È stata predisposta e realizzata una importante campagna informativa utilizzando i principali mezzi di comunicazione e coinvolgendo scuole e società sportive. Infatti, è stato attivato un numero dedicato gestito da assistenti sanitari per fornire eventuali informazioni alla popolazione e sono stati inviati SMS informativi ai ragazzi con età compresa tra 18 e 20 anni. La campagna è stata promossa su giornali, tv, radio, siti web, e sui canali di prenotazione delle prestazioni sanitarie durante i tempi di attesa. Sono state inoltre inviate lettere informative a scuole e società sportive. Come risultato a febbraio 2016 era già stato vaccinato il 47,1% della popolazione della ex-ASL di Firenze e il 46,3% di quella regionale per quella fascia d’età [15]. Le strategie di vaccinazione anti-meningococcica in Europa Nei Paesi europei la vaccinazione anti-Men C, utilizzando il vaccino monovalente o quadrivalente, è prevista durante l’adolescenza sia in raccomandazioni generali, che all’interno di strategie di catch-up. Per il vaccino anti-Men-B, invece, non sono ancora presenti raccomandazioni generali per la somministrazione nella fascia di età adolescenziale [16]. L’esempio della vaccinazione anti-meningoccoccica B negli Stati Uniti Negli Stati Uniti l’Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP) raccomanda la vaccinazione anti-Men C nell’adolescenza utilizzando il vaccino quadrivalente con una schedula a due dosi: la prima dose a 11-12 anni di età, la seconda a 16 anni. Sono inoltre fornite indicazioni per le strategie di catch-up: la somministrazione di una dose per i soggetti di età compresa tra 13 e 15 anni, seguita da una dose booster a 16-18 anni. Per i soggetti di età compresa tra 16 e 18 anni è prevista la somministrazione di una dose di vaccino. Per quanto riguarda la vaccinazione contro il meningococco B, l’ACIP riporta che possono essere utilizzati indifferentemente i due vaccini a disposizione MenB-FHbp (Trumenba®) o MenB-4C (Bexsero®), considerando che questi non sono intercambiabili per cui il ciclo di immunizzazione deve essere completato con lo stesso tipo di vaccino. Nello specifico la vaccinazione anti-Men B è prevista, in assenza di condizioni di aumentato rischio e secondo giudizio clinico individuale, per adolescenti e giovani adulti con età compresa tra i 16 e i 23 anni, preferibilmente da effettuare a 16-18 anni, utilizzando la schedula a 2 dosi (MenB-4C: 0-1 mese, MenBFHbp: 0-6 mesi). Per i soggetti con condizioni di rischio che determinano una maggiore suscettibilità all’infezione o in caso di epidemie è raccomandata la vaccinazione con una schedula a 3 dosi (0, 1-2, 6 mesi) per MenB-FHbp, e a 2 dosi a distanza di un mese per il MenB-4C dai 10 anni di età [17, 18]. La possibilità di utilizzare il vaccino anti-Men B nei giovani in caso di epidemia è già stata adottata negli Stati Uniti. Il vaccino MenB-FHbp, infatti, è stato utilizzato per la prima volta come misura di prevenzione durante un’epidemia che ha interessato un college del Rhode Island (USA) nel 2015. Un totale di 3.745 persone erano eleggibili per la vaccinazione e, a meno di 48 ore dall’inizio delle sedute vaccinali, erano stati vaccinati 3.061 soggetti. Ulteriori 464 soggetti sono stati vaccinati nella settimana successiva. Complessivamente, è stato raggiunto un tasso di copertura del 94% per la prima dose di vaccino. Questo intervento ha impedito l’insorgenza di ulteriori casi di malattia da meningococco B in questo college [19]. A seguito della campagna di immunizzazione effettuata, sono stati rilevati gli eventi avversi relativi alla somministrazione della vaccinazione in modo retrospettivo 2-4 mesi dopo ciascuna dose di vaccino. L’evento avverso più comunemente riportato è stato il dolore al sito di iniezione. I tassi di segnalazione di dolore al sito di iniezione, affaticamento, mialgia, febbre e brividi sono risultati simili a quelli riportati negli studi clinici e per la cefalea sono risultati inferiori [20]. Lo stesso vaccino è stato utilizzato in altre epidemie che si sono verificate all’interno di college ed in particolare una nello stato dell’Oregon nel 2015 [21] e una nello stato del New Jersey nel 2016 [22]. Anche in queste occasioni non si sono verificati ulteriori casi di patologia da meningococco B successivi alla campagna vaccinale. La vaccinazione anti-meningococcica B e lo stato di portatore Vaccinare gli adolescenti con il vaccino anti-Men B permette da una parte di proteggere un gruppo a rischio elevato di contrarre la malattia, e dall’altra di massimizzare la protezione della comunità andando potenzialmente ad interrompere lo stato di portatore. Un aspetto particolarmente rilevante dal punto di vista epidemiologico consiste nel fatto che i giovani adulti presentano i più alti tassi di stato di portatore di N. meningitidis, favoriti dai tipici comportamenti degli adolescenti e dei giovani adulti [23-26]. In base alle conoscenze attuali, l’impatto della vaccinazione anti-Men B sullo stato di portatore non è ancora chiaro [27]. Gli studi attualmente condotti non hanno dimostrato una riduzione o prevenzione nell’acquisizione dello stato di portatore né nel caso di utilizzo del solo vaccino MenB-FHbp [28] né laddove siano stati utilizzati sia MenB-FHbp che MenB-4C [29]. Questa tipologia di analisi è particolarmente complessa da condurre, necessitando di più campionamenti su numerosi soggetti per un lungo periodo di tempo. La capacità di prevenire lo stato di portatore da parte del vaccino anti-Men B dovrà essere, quindi, approfondita in futuro da studi su larga scala. Conclusioni La vaccinazione anti-meningococcica nell’infanzia permette di prevenire la malattia nella fascia di età con la più alta incidenza, ma richiede la somministrazione di più dosi di vaccino e di dosi booster per mantenere elevata nel tempo la risposta in caso di infezione. La vaccinazione nella fascia d’età adolescenziale, come già raccomandata negli Stati Uniti, invece, permette di proteggere un altro dei principali gruppi a rischio di contrarre la malattia meningococcica [30]. Inoltre, questa strategia permette la somministrazione di un numero inferiore di dosi ma presenta una difficoltà maggiore nel raggiungere i soggetti da vaccinare. Infatti, rispetto ai bambini, gli adolescenti accedono meno frequentemente al servizio sanitario e hanno in generale una compliance inferiore alla vaccinazione, come dimostrato dalle attuali coperture vaccinali nella fascia adolescenziale [31-33]. La pianificazione di strategie volte ad aumentare l’adesione degli adolescenti alla vaccinazione [13], insieme al fatto che le malattie invasive da meningococco hanno un forte impatto sulla collettività a causa della gravità degli esiti e delle sequele, potrebbe determinare un sostanziale miglioramento di questo aspetto critico. Pertanto, l’implementazione della strategia di vaccinazione anti-Men B tra gli adolescenti, dovrebbe comprendere anche interventi di informazione, educazione e alfabetizzazione sanitaria (vedi capitolo 7)., Introduzione L’arma migliore per sconfiggere alcune malattie infettive è la vaccinazione, che rappresenta uno degli interventi più efficaci, costo-efficaci e sicuri in Sanità Pubblica. Tuttavia, al fine di impostare correttamente un piano di prevenzione primaria è necessario, non solo avere a disposizione vaccini sicuri ed efficaci, ma anche adottare le strategie migliori per ottenere il massimo beneficio in termini di salute ed economici. Un’attenta valutazione epidemiologica e un’approfondita conoscenza del meccanismo di diffusione dei patogeni sono alla base della scelta delle possibili strategie vaccinali [1] che hanno come obiettivo: ridurre il rischio individuale di malattia e di morte, limitare la probabilità di trasmissione e ridurre i costi diretti e indiretti associati alla malattia. Negli ultimi anni la ricerca ha sviluppato nuovi vaccini sicuri ed efficaci e ha permesso di acquisire evidenze a supporto di nuove strategie di immunizzazione. Poiché le opportunità di prevenzione sono sempre maggiori, quando si prevede di inserire nel calendario vaccinale una nuova vaccinazione non si può non considerare l’impatto organizzativo che ne deriva. In tale contesto è necessario ipotizzare diverse modalità organizzative al fine di rispondere adeguatamente ai bisogni dei cittadini e dei servizi territoriali del Sistema Sanitario Italiano per aderire al concetto di “appropriatezza organizzativa”. Il Ministero della Salute definisce “L’appropriatezza come un intervento sanitario (preventivo, diagnostico, terapeutico, riabilitativo) correlato al bisogno del paziente (o della collettività), fornito nei modi e nei tempi adeguati, sulla base di standard riconosciuti, con un bilancio positivo tra benefici, rischi e costi. L’appropriatezza riguarda l’effettuazione di una procedura corretta sul paziente giusto al momento opportuno e nel setting più adatto” [2]. Pertanto, occorre delineare modelli organizzativi flessibili che possano adattarsi in modo efficace ed efficiente ai contesti locali e favorire una collaborazione attiva con i pediatri di famiglia e i medici di medicina generale nell’ottica di promuovere il valore della vaccinazione e permettere di raggiungere coperture vaccinali adeguate. La malattia invasiva da meningococco può condurre a esiti molto gravi: in particolare, le conseguenze a lungo termine (sequele fisiche, neurologiche e psicologiche/comportamentali) peggiorano la qualità di vita dei pazienti e delle loro famiglie [3, 4] (vedi capitolo 3) fino alla morte. La malattia colpisce prevalentemente i bambini, gli adolescenti e i giovani e, in queste due ultime fasce d’età si registrano i più alti tassi di letalità [5]. Inoltre, gli adolescenti e i giovani (15-24 anni) sono la principale riserva del microrganismo; in Europa si osservano tassi di prevalenza di carriage molto variabili dal 5,3% al 61,9% [6] e il sierogruppo B è il più frequente in questa fascia d’età [7]. I dati epidemiologici e clinici supportano il razionale di introduzione di strategie di vaccinazione anti-meningococco in età adolescenziale. Attualmente in Italia il Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale 2017-2019 (PNPV 2017-2019) [8] raccomanda la vaccinazione anti-meningococco con il vaccino quadrivalente coniugato ACWY. La vaccinazione anti-meningococco B è prevista solo per gli infanti ma, sulla base dei dati epidemiologici, clinici ed economici disponibili in letteratura, l’estensione della strategia di vaccinazione alla fascia adolescenziale dovrebbe essere presa in considerazione. Infatti, la quarta edizione del Calendario per la Vita (2019) [9] ne raccomanda la sua introduzione. Impatto organizzativo della vaccinazione anti-meningococco B negli adolescenti Il successo di una strategia di vaccinazione è associato al raggiungimento di adeguate coperture, le quali sono influenzate da molteplici aspetti come un’efficiente organizzazione dei centri vaccinali, idonei percorsi di sensibilizzazione con l’obiettivo di informare correttamente gli utenti e percorsi organizzativi innovativi e integrati (rafforzando la collaborazione tra la Sanità Pubblica e i pediatri di famiglia e i medici di medicina generale, vaccinazione nelle scuole). ORGANIZZAZIONE DEI CENTRI VACCINALI In una prospettiva organizzativa ottimale un nuovo programma di vaccinazione necessita di essere supportato da un’appropriata allocazione di risorse economiche, strutturali (es. numero di ambulatori vaccinali sul territorio) e di un adeguato numero di risorse umane. La vaccinazione anti-meningococco B in una politica di immunizzazione degli adolescenti andrebbe ad aggiungersi ad altre vaccinazioni già previste nel PNPV 2017-2019 (richiamo tetano, difterite, pertosse e polio, vaccinazione anti-meningococco con vaccino quadrivalente coniugato ACWY e vaccinazione anti-papillomavirus) [8] e, di conseguenza, potrebbe generare un sovraccarico di lavoro per i Dipartimenti di Prevenzione delle Aziende Sanitarie Locali (ASL) che, negli ultimi due anni, hanno già subito un aggravio di lavoro associato all’entrata in vigore della legge 119/17 sull’obbligatorietà vaccinale [10]. Una possibile soluzione potrebbe essere la co-somministrazione. Il vaccino Trumenba®, indicato per l’immunizzazione attiva di soggetti di età ≥ 10 anni, può essere somministrato in concomitanza con i seguenti vaccini: tossoide tetanico/tossoide difterico ridotto/pertosse acellulare/poliovirus inattivato (Tdap-IPV), vaccino contro il papillomavirus umano quadrivalente, vaccino anti-meningococco ACWY, tossoide tetanico/tossoide difterico ridotto/pertosse acellulare adsorbito (Tdap) [11]. Data la recente autorizzazione del vaccino contro il papillomavirus umano nonavalente, attualmente non sono disponibili studi di co-somministrazione, tuttavia, è ragionevole ipotizzare una possibile co-somministrazione poiché il processo di sviluppo del vaccino nonavalente è simile a quello del vaccino quadrivalente [12, 13]. Si auspica che a breve siano pubblicati studi a supporto di tale strategia. In merito all’organizzazione dei centri vaccinali una corretta allocazione delle risorse potrebbe favorire un’estensione degli orari di apertura dei centri stessi, la possibilità di organizzare sedute vaccinali in punti definiti “strategici” (es. centri giovani e ambulatori scolastici) [14, 15] migliorando l’accessibilità e favorendo anche il raggiungimento di gruppi di soggetti “difficili da raggiungere” (adolescenti) o “esitanti” (genitori) [16]. Per superare la criticità associata all’informazione sull’offerta vaccinale occorrerebbe utilizzare anche, oltre all’invio della comunicazione cartacea, e-mail o messaggi di testo utilizzando la telefonia mobile [17-19]. Studi internazionali hanno già applicato questa strategia chiedendo all’utente di indicare il mezzo di comunicazione preferito riuscendo ad essere più incisivi e raggiungendo un numero più elevato di assistiti [20]. ANAGRAFE VACCINALE NAZIONALE E SISTEMI DI SORVEGLIANZA DELLE MALATTIE Un ulteriore fattore associato alle criticità organizzative è la mancanza di un’anagrafe vaccinale nazionale informatizzata [15, 16] accessibile non solo agli operatori sanitari ambulatoriali delle ASL, ma anche ai pediatri di famiglia e ai medici di medicina generale. Già il PNPV 2017-2019 ne supportava un’urgente istituzione al fine di monitorare l’attuazione dei programmi vaccinali e appianare le difformità nelle rilevazioni statistiche e di certificazione sul territorio nazionale [8, 10]. Attualmente l’anagrafe vaccinale nazionale e le anagrafi regionali sono in fase di implementazione [21]. Inoltre, l’anagrafe vaccinale nazionale permetterebbe di migliorare la sorveglianza degli eventi avversi e supportare il sistema di farmacovigilanza [22], in quanto la registrazione in tempo reale della data di somministrazione del vaccino e, soprattutto, del nome commerciale del prodotto garantirebbe un’associazione corretta tra evento avverso e vaccino riducendo gli errori e le correlazioni non veritiere. Ulteriori risorse economiche dovrebbero essere disponibili per potenziare i sistemi di sorveglianza delle malattie batteriche invasive al fine di monitorare nel tempo l’effectiveness dei programmi di vaccinazione in associazione con le relative coperture vaccinali [23, 24]. COUNSELLING VACCINALE Altro aspetto di fondamentale importanza è il counselling vaccinale indirizzato sia agli adolescenti (popolazione target del programma di vaccinazione) sia ai genitori. Al fine di instaurare un rapporto di fiducia con gli utenti gli operatori sanitari devono essere costantemente aggiornati e formati in termini di strategie comunicative le quali devono essere appropriate per ogni gruppo di popolazione [15]. In tutti i Paesi dell’Unione Europea, gli operatori sanitari sono ancora identificati dalla popolazione come “la fonte più importante e affidabile di informazioni” [25-28]. Dato questo ruolo centrale dei professionisti della salute, è necessaria un’attenta preparazione per i colloqui con la popolazione target della strategia vaccinale (adolescenti) e con i caregiver al fine di svolgere al meglio l’attività. È necessario dedicare il giusto tempo al colloquio e lasciare spazio per il dialogo e, soprattutto, per l’ascolto; non è da sottovalutare anche la comunicazione visiva, non-verbale e para-verbale. La continua evoluzione della medicina preventiva e le conseguenti modifiche del calendario vaccinale hanno determinato nella popolazione confusione e, pertanto un efficace counselling dovrebbe anche prevedere ed affrontare questa criticità. PERCORSI ORGANIZZATIVI INNOVATIVI E INTEGRATI Il ruolo dei pediatri di famiglia e dei medici di medicina generale nella promozione delle vaccinazioni negli adolescenti In un’ottica di percorsi organizzativi innovativi e integrati appare evidente come siano ancora necessari sforzi al fine di consolidare una collaborazione forte e continua tra gli operatori di Sanità Pubblica, i pediatri di famiglia e i medici di medicina generale con l’obiettivo di sensibilizzare la popolazione sull’importanza della vaccinazione. Nel contesto di una strategia di immunizzazione rivolta agli adolescenti un ruolo fondamentale è quello del pediatra di famiglia. Ciò è legato soprattutto alla possibilità del medico di fiducia di mettere in atto un approccio di medicina di iniziativa e di popolazione; questo perché il pediatra di famiglia conosce i propri assistiti ed è in grado di agire in modo proattivo e offrire la vaccinazione alle categorie target cui è rivolta la strategia vaccinale. Un’indagine condotta nel 2016 e pubblicata nel 2019 su Eurosurveillance afferma che in Italia la maggior parte dei pediatri è favorevole alle vaccinazioni ma evidenzia gap tra il loro atteggiamento positivo generale e le loro conoscenze, attitudini e pratiche. Questo studio ha coinvolto un campione di 903 pediatri italiani. Dall’indagine è emerso che il 95,3% dei pediatri intervistati era completamente favorevole alle vaccinazioni e il 66% si riteneva sufficientemente informato sulle vaccinazioni e sulle malattie prevenibili per poterne discutere con sicurezza con i genitori. Tuttavia, un terzo di essi non era solito verificare sistematicamente che i propri pazienti fossero in regola con tutte le vaccinazioni previste dal calendario vaccinale e solo il 5,4% ha distinto correttamente tutte le controindicazioni vere da quelle false. Risulta quindi evidente, secondo gli autori dello studio, la necessità di interventi mirati per accrescere la fiducia dei pediatri nell’affrontare le preoccupazioni dei genitori e rafforzare la fiducia di quest’ultimi nei confronti delle istituzioni relativamente al tema delle vaccinazioni [29, 30]. La condivisione degli obiettivi e delle attività tra la Sanità Pubblica e la Pediatria risulta essere cruciale per aumentare le coperture vaccinali. Come affermato nel report italiano di Boccalini et al. il pediatra di famiglia ha un ruolo fondamentale nel couselling per tutte le vaccinazioni, ha frequenti opportunità di incontro e confronto con i familiari dei bambini e può effettuare esso stesso le vaccinazioni (con relativa registrazione). I pediatri di famiglia e gli operatori sanitari della Sanità Pubblica dovrebbero essere inclusi in un’unica rete con lo scopo di condividere gli obiettivi da raggiungere, i protocolli operativi, gli strumenti di promozione delle vaccinazioni e la gestione del dissenso vaccinale. Inoltre, dovrebbero essere coinvolti in un’efficace formazione congiunta, in incontri di monitoraggio, di analisi e valutazione critica di quanto fatto e dei risultati ottenuti in termini di coperture vaccinali. D’altra parte, gli operatori della Sanità Pubblica dovrebbero avere il ruolo fondamentale di garantire la governance della rete attraverso l’organizzazione delle campagne vaccinali, l’organizzazione della formazione continua in tema vaccinale e, infine, la raccolta dei dati di copertura vaccinale e la loro elaborazione informatica in forma aggregata [31]. Anche i medici di medicina generale ricoprono un ruolo fondamentale nel processo di sensibilizzazione della popolazione in tema vaccinale e hanno la possibilità di mettere in atto campagne di vaccinazione con un approccio di iniziativa e di popolazione, proprio perché essi rappresentano la figura che meglio conosce i propri assistiti, e sono in grado di agire in modo proattivo, personalizzando la prevenzione. Ragionare in termini di medicina di popolazione, rendendosi attivi nelle scelte di salute per i propri assistiti, conferisce ai medici nuove responsabilità, che comprendono la massimizzazione del valore tramite il raggiungimento degli outcome giusti, per i pazienti giusti, nel posto giusto e con il minor uso di risorse. Si va quindi, oltre i confini tradizionali di assistenza e prevenzione andando verso una medicina che produce “valore” in tutte le sue declinazioni [1]. Strategie vaccinali in ambito scolastico Campagne di informazione o ambulatori vaccinali nelle scuole sono, secondo la letteratura, una buona base per aumentare la compliance alle vaccinazioni. In ambito scolastico diverse strategie possono essere attuate: realizzazione di ambulatori vaccinali nelle strutture scolastiche o percorsi di sensibilizzazione svolti durante le attività al fine di promuovere la prevenzione e di conseguenza aumentare l’adesione vaccinale. L’implementazione di percorsi di sensibilizzazione nelle scuole, con l’obiettivo di fornire a insegnanti, studenti e genitori informazioni corrette, chiarire dubbi e insicurezze, diffusi soprattutto attraverso il web (fake news), potrebbero rappresentare un valido strumento di supporto per raggiungere target difficili come gli adolescenti e, in particolare, soggetti in situazioni di disagio sociale. Occorre, inoltre, sottolineare come gli adolescenti siano il gruppo di popolazione che ha meno contatti con il proprio medico. L’indagine della SIP (Società Italiana di Pediatria), “Abitudini e stili di vita degli adolescenti”, condotta sugli studenti dalla terza classe della scuola secondaria di primo grado, rivela che la maggioranza dei teenager italiani, pur essendo abbastanza preparata sull’argomento e pur avendo un’opinione positiva sulle vaccinazioni, non conosce la propria storia vaccinale [32]. Investire sulla conoscenza, a partire dai giovanissimi, può rivelarsi un approccio vincente, in quanto essi hanno un’idea positiva delle vaccinazioni e solo il 2% le ritiene inutili [32]. Rendere gli studenti ‘ambasciatori’ del messaggio positivo sulle vaccinazioni potrebbe diventare una priorità anche per sensibilizzare i genitori. Numerosi studi sia italiani sia internazionali hanno confermato che questi interventi sono fattibili ed efficaci e potrebbero generare benefici diretti sui vaccinati e indiretti sulla comunità. Studi prospettici per stabilire l’effectiveness di queste strategie di sensibilizzazione dovrebbero essere prioritari per la ricerca futura [33-35, 36]. L’azione attiva nelle scuole prevede l’istituzione di ambulatori vaccinali che, oltre a garantire la vaccinazione stessa, prevedono campagne di informazione rivolte a insegnanti, genitori e studenti. A questo riguardo in letteratura sono disponibili dati relativi a studi internazionali che confermano i risultati positivi che si ottengono in termini di compliance. Infatti, tutti gli studi giungono alla stessa conclusione: strategie integrate che comprendano programmi scolastici in cooperazione con il sistema scolastico locale e i Dipartimenti di Sanità Pubblica determinano un notevolmente aumento dell’adesione alle vaccinazioni [33-35]. In una nuova ottica organizzativa è fondamentale considerare i risultati ottenuti da esperienze di immunizzazione degli adolescenti in ambito scolastico per valutarne la fattibilità sul territorio nazionale italiano. Il tema della “vaccinazione a scuola” non è nuovo in Italia, già in passato sono state messe in atto campagne di informazione e/o vaccinazione direttamente negli ambulatori scolastici in giornate dedicate, al fine di raggiungere coperture adeguate del gruppo di suscettibili nel modo più rapido possibile, garantendo alle famiglie la presenza di personale adeguatamente formato e un luogo sicuro dove gestire le possibili, seppur rare, emergenze legate alla vaccinazione [36]. La strategia attiva in ambito scolastico, accompagnata da solleciti per chi non si presenta, è un’utile strumento per raggiungere gli obiettivi di copertura e allo stesso tempo essere un feedback per gli operatori (e quindi le istituzioni) sul grado di esitazione vaccinale delle famiglie [31, 36]. Inoltre, una solida organizzazione integrata (ambulatori vaccinali presso i Dipartimenti di Prevenzione e ambulatori scolastici) permetterebbe di offrire in modo sistematico alla popolazione le vaccinazioni all’età giusta e favorire le co-somministrazioni al fine di ottimizzare le sedute, massimizzare l’adesione e determinare un risparmio di risorse. Inoltre, questa opportunità potrebbe essere anche utilizzata come traino per altre campagne informative di prevenzione/promozione della salute negli adolescenti. Conclusioni Per ridurre i casi di malattia invasiva da Neisseria meningitidis di tipo B l’offerta attiva e gratuita della vaccinazione è fortemente raccomandata negli adolescenti, in quanto sono uno dei principali target di malattia [8, 9]. Gli aspetti organizzativi sono fondamentali nell’introduzione di un nuovo vaccino, pertanto è necessario porre particolare attenzione all’età nella quale si introduce il vaccino, per non sovraccaricare le strutture e, se possibile, favorire la co-somministrazione in un’unica seduta. Nel caso del vaccino contro il meningococco B nell’adolescente, sono possibili più co-somministrazioni [11]. Non è da sottovalutare l’aspetto che gli adolescenti sono un target di popolazione difficile da raggiungere poiché poco a contatto con le strutture sanitarie. Nonostante ciò, come dimostrato da un’indagine condotta in Italia essi assegnano alle vaccinazioni un ruolo importante. In un’ottica di percorsi organizzativi innovativi e integrati appare evidente come siano ancora necessari sforzi al fine di consolidare una collaborazione forte e continua tra gli operatori di Sanità Pubblica, i pediatri di famiglia e i medici di medicina generale. È necessario istaurare un clima di coinvolgimento attivo e proattivo di tutti gli attori interessati per propendere verso un modello organizzativo che integri i diversi punti di vista e le diverse possibilità di azione tra i vari livelli. La presenza di un’anagrafe vaccinale informatizzata che permetta una comunicazione tra Sanità Pubblica, medici di medicina generale e pediatri di famiglia, rendendo possibile una condivisione in tempo reale delle informazioni riguardo ai soggetti vaccinati/eleggibili alla vaccinazione, per singolo medico o pediatra di famiglia, potrebbe contribuire in modo efficace al raggiungimento dell’obiettivo comune di elevate coperture vaccinali [1, 10, 21, 30, 31]. Un sistema integrato e coordinato sarebbe totalmente in linea con i principi della medicina di popolazione e con il superamento dei confini dei livelli assistenziali, aumentando di conseguenza il “valore” della prevenzione. Quando parliamo di “valore” in prevenzione intendiamo, sia gli outcome di salute che si ottengono grazie all’implementazione di strategie vaccinali ottimali sia il framework per il miglioramento del sistema organizzativo. Infine, la somministrazione dei vaccini direttamente nelle scuole, mediante ambulatori istituiti nelle strutture scolastiche, permetterebbe un ulteriore aumento dell’adesione [33-36] e una crescita di conoscenza che potrebbe determinare nel tempo anche un’influenza positiva sull’intera popolazione., Valutazioni etiche ed HTA in ambito vaccinale Oggi, sempre più, ogni valutazione di HTA non può prescindere dalla inclusione di una valutazione etica e sociale del possibile impatto dell’adozione di una tecnologia sanitaria, così come previsto dai domini indicati da EUnetHTA [1]. Questo è particolarmente rilevante quando sono oggetto di valutazione le vaccinazioni, che, diversamente dai farmaci, sono interventi preventivi somministrati a persone sane, la cui salute deve essere in primis garantita e tutelata. La tutela della salute della popolazione è, tuttavia, oggi messa a rischio dalle attuali non ottimali coperture vaccinali registrate in Italia negli ultimi anni e correlate alla diffusione di informazioni non corrette e fake news sui vaccini attraverso i nuovi mezzi di comunicazione [2, 3]. Il dominio etico deve, pertanto, valutare le norme sociali e morali prevalenti e i valori rilevanti per la vaccinazione oggetto di studio. In particolare, la valutazione etica deve esaminare le possibili conseguenze dell’adozione o della mancata adozione della vaccinazione rispetto ai valori sociali prevalenti e rispetto alle norme e ai valori che la vaccinazione stessa determina quando utilizzata. Inoltre, la valutazione etica deve includere anche questioni morali ed etiche correlate alle conseguenze dell’esecuzione dell’HTA: ad esempio, domande sulle conseguenze etiche della scelta di obiettivi e parametri specifici e sull’esistenza di eventuali problemi etici relativi alla valutazione economica effettuata [1]. Per la valutazione etica della vaccinazione anti-meningococco B con il vaccino Trumenba® per gli adolescenti è stato utilizzato il “modello triangolare” [4]. Il “modello triangolare” di valutazione etica basato sull’approccio centrato sulla persona umana Il “modello triangolare”, utilizzato per le valutazioni etiche delle tecnologie sanitarie, è centrato sul concetto fondamentale della persona umana che viene considerata come il valore di riferimento attorno al quale sono coordinati tutti i giudizi etici [4]. Il modello triangolare si suddivide in tre fasi di analisi: raccolta dei dati (“momento scientifico”, con approfondita analisi dei dati, compresi quelli qualitativi e relazionali); aspetti antropologici (comprensione antropologica dei fatti, con analisi dei valori relativi alla vita umana, all’integrità e alla dignità della persona); valutazione etico-normativa (valutazione delle scelte pratiche che dovrebbero essere fatte). Con questo modello la spiegazione di un determinato argomento (passo descrittivo) viene seguita da una fase normativa, dalla quale è possibile trarre conclusioni all’interno di un dibattito biomedico, antropologico ed etico. In particolare, per la fase di analisi antropologica dovrebbero essere individuati i valori da promuovere e difendere e le norme che dovrebbero guidare l’azione umana a livello sia individuale che sociale. La valutazione normativa di questo modello [4-6] si basa sui seguenti principi: la vita fisica umana deve essere difesa nel suo complesso e nella sua integrità; devono essere seguiti e garantiti i principi di libertà (capacità della volontà umana) e di responsabilità (con valutazioni intra- e inter-soggettive degli atti e della volontà del soggetto stesso); deve essere seguito il principio terapeutico (la persona umana deve essere trattata come un insieme di realtà mente-corpo); devono essere valutati i principi di socialità e sussidiarietà (l’autorità pubblica o privata deve intervenire e aiutare la persona solo se esso non è in grado di gestirsi o salvaguardarsi) [4]. Fase conoscitiva biomedica In base al “modello triangolare” della valutazione etica delle tecnologie sanitarie, per la fase conoscitiva è necessario raccogliere i dati e le evidenze scientifiche relative alla patologia che si vuole curare/prevenire e alla tecnologia stessa oggetto di analisi. Di seguito sono, quindi, riassunte le principali evidenze scientifiche ad oggi disponibili, come descritto nei precedenti capitoli del presente report. La Neisseria meningitidis è un batterio ospite delle prime vie aeree dei portatori sani e può, in alcuni casi, causare malattia invasiva, che può risultare in gravi complicanze, sequele permanenti, con un’alta letalità. La diagnosi eziologica in Italia viene effettuata principalmente con due metodiche (esame colturale e real-time PCR) con diverse sensibilità, che possono portare a diversi tassi di diagnosi. La malattia meningococcica si presenta in forma epidemica ed endemica. L’Italia è tra i Paesi europei con uno dei tassi di notifica più basso (0,35 casi ogni 100.000 abitanti, con una media di 200 casi notificati all’anno) [7, 8] e con importanti differenze di incidenza tra le Regioni (a causa dei diversi metodi diagnostici utilizzati). Il meningococco B è il sierogruppo identificato con maggiore frequenza in Italia (36% delle malattie batteriche invasive da N. meningitidis nel periodo 2011-2017) insieme al meningococco C. Negli ultimi anni è, però, da segnalare anche la notifica di casi attribuiti ad altri sierogruppi. Il meningococco B è responsabile di circa 62 casi all’anno nella popolazione generale, di cui 3 casi nella fascia 10-14 anni e 11 casi nella fascia 15-24 anni. Il tasso di incidenza medio di malattie batteriche invasive da meningococco B per il periodo 2011-2017 era di 0,11 casi ogni 100.000 per la fascia di età di 10-14 anni e 0,18 casi ogni 100.000 abitanti per soggetti di 15-24 anni [7]. Considerando la percentuale di campioni non tipizzati dal sistema di sorveglianza delle malattie batteriche invasive italiano [8] e il tasso di sotto-diagnosi (fattore di correzione 3,28) della coltura cellulare (test diagnostico più frequentemente utilizzato) rispetto alla metodica real-time PCR [9], è possibile stimare un’incidenza più realistica di 0,41 casi su 100.000 per la popolazione di 10-14 anni e 0,69 casi su 100.000 per la fascia di età di 15-24 anni (vedi capitolo 2). Sebbene la malattia invasiva da meningococco abbia un’incidenza non particolarmente elevata nella popolazione generale, negli adolescenti determina un importante impatto clinico. Infatti, il tasso di letalità in questa fascia d’età è particolarmente elevato (8-15%): in caso di sepsi la letalità può raggiungere il 40% [10-13]. L’esordio dei sintomi specifici di meningite è estremamente rapido (12-15 ore) [14], rendendo spesso inefficaci le terapie antibiotiche. La sepsi si presenta nel 5-20% dei casi [10]. Di rilevante impatto clinico ed economico sono le sequele transitorie e/o permanenti di gravità variabile nei soggetti sopravvissuti: fino al 60% dei soggetti riporta almeno una sequela e molti sviluppano sequele multiple [11]. Le principali sequele fisiche sono le cicatrici cutanee (6,4-48%), le amputazioni (0,8-14%), le disfunzioni renali (2-8,7%) e le artriti/vasculiti (4,7%) [15]. Oltre alle sequele fisiche si possono presentare importanti sequele neurologiche. Infine, molti sopravvissuti sono affetti da disordini post-traumatici da stress (danno psichiatrico e psicologico rilevante) con riduzione della qualità della vita (ridotta energia, aumento di ansia, riduzione delle capacità a svolgere attività ricreative e riduzione dell’abilità nel lavoro), in base alla gravità dei sintomi e delle sequele. Le sequele determinano un forte impatto psicologico e psichiatrico indiretto anche sui familiari e sui caregivers con riduzione della loro produttività (vedi capitolo 3). La malattia invasiva da meningococco per la sua fase acuta severa e le possibili molteplici sequele genera ingenti costi diretti e indiretti sia per il SSN che per la Società (vedi capitolo 4). Occorre, tuttavia, non dimenticare che, oltre alla patologia invasiva, tra i giovani adulti sono registrati i più alti tassi di stato di portatore (fino al 20%) [16]. Essi, quindi, sono un’importante fonte di contagio, specialmente in contesti di aggregazione sociale tipici della fascia giovanile, come testimoniano epidemie verificatesi sia a livello nazionale che internazionale [17, 18]. Per prevenire la malattia invasiva causata da N. meningitidis sierogruppo B nei soggetti di età pari o superiore a 10 anni è ora disponibile in Italia il vaccino Trumenba®, un vaccino costituito da due varianti ricombinanti lipidate della proteina legante il fattore H (fHbp), che è essenziale affinché i batteri riescano ad evitare le difese immunitarie dell’ospite. Oltre il 96% dei meningococchi B isolati in Europa esprime sulla superficie batterica varianti di fHbp delle due sottofamiglie A e B. Trumenba® contiene una variante di ciascuna sottofamiglia A e B di fHbp e ha l’obiettivo di stimolare la produzione di anticorpi battericidi che riconoscano l’fHbp espressa dai meningococchi [19]. In base ai risulati dei trial clinici Trumenba® stimola una risposta ampiamente protettiva contro ceppi di meningococco B antigenicamente ed epidemiologicamente diversi sia in adolescenti sani (10-18 anni) che giovani adulti (19-25 anni) [20], con una schedula a 2 o 3 dosi [21] (vedi capitolo 5). Dal punto di vista economico, l’introduzione della vaccinazione anti-meningococco B negli adolescenti risulta avere un profilo favorevole. Infatti, il rapporto incrementale di costo-utilità (ICER) è risultato di € 7.907,08 per la prospettiva del SSN e di € 7.757,73 per la prospettiva della società rispetto alla non vaccinazione dimostrando la costo-efficacia dell’introduzione di questo programma di immunizzazione. Considerando la gravità della malattia e le sue conseguenze, il costo globale di un caso di malattia ammonterebbe a € 503.223,79 (costi non scontati) e a € 268.865,48 (costi scontati). Pertanto, la valutazione economica ha dimostrato che la vaccinazione anti-meningococco B negli adolescenti può ridurre l’impatto clinico della malattia, riducendo i costi diretti e indiretti e, di conseguenza, determinare un benefico globale sulla collettività (vedi capitolo 6). Fase valutativa antropologica Per la fase valutativa, secondo il “modello triangolare”, occorre effettuare una valutazione dei fatti da un punto di vista antropologico, con una analisi dei valori relativi alla vita umana, all’integrità e alla dignità della persona. Seguendo i topics e gli issues proposti dal dominio etico dell’HTA Core Model di EUnetHTA [1], è di seguito riportata la valutazione antropologica della vaccinazione anti-meningococco B per gli adolescenti. ANALISI RISCHI-BENEFICI 1. Quali sono i sintomi e il disease burden della patologia meningococcica per il paziente? I dati epidemiologici dimostrano che le infezioni meningococciche hanno una bassa incidenza nella popolazione generale. Tuttavia, gli adolescenti sono una fascia particolarmente colpita da questa rara malattia. In generale ciò è vero per tutti i sierotipi di N. meningitids ma anche, e soprattutto, per il sierotipo B. La patologia invasiva da meningococco B ha un decorso per il paziente particolarmente rapido, severo e con elevato rischio di morte o sequele gravi e permanenti (vedi capitoli 2 e 3). L’adozione di interventi preventivi specifici permetterebbe, quindi, di evitare tale impatto clinico devastante negli adolescenti. 2. Quali sono i benefici e i danni noti e stimati per i soggetti quando si vaccinano o non si vaccinano contro il meningococco B? La vaccinazione anti-meningococco B degli adolescenti permetterebbe di tutelare la vita e la salute dei soggetti vaccinati, evitando una patologia poco frequente ma particolarmente severa, con sequele irreversibili gravi e permanenti fortemente impattanti sulla qualità di vita del paziente e dei familiari. Tale beneficio è soprattutto rilevante quando la popolazione coinvolta è quella dei giovani adulti con una lunga aspettativa di vita davanti a sé, che potrebbe essere fortemente compromessa dalla malattia stessa. A fronte di reazioni avverse lievi e transitorie (dolore al sito di iniezione, arrossamento e gonfiore al sito di vaccinazione, cefalea, affaticamento, brividi, diarrea, dolori muscolari, dolori articolari e nausea), Trumenba® stimola una robusta risposta immunitaria verso la malattia invasiva causata da N. meningitidis sierogruppo B [19]. Oltre al beneficio clinico, la vaccinazione permette di evitare i danni psicologici e psichiatrici (stress post-traumatico) e sociali (perdita di lavoro e riduzione di attività ricreative) derivati dalla patologia invasiva meningococcica (vedi capitolo 3). La vaccinazione, inoltre, permetterebbe di evitare al soggetto vaccinato costi sanitari indiretti in caso di malattia (vedi capitolo 4). 3. Quali sono i benefici e i danni della vaccinazione anti-meningococco per parenti, altri pazienti, organizzazioni, entità commerciali, società, ecc.? Poiché la patologia invasiva da meningococco è particolarmente severa, sia durante la fase del decorso acuto che nella fase di guarigione e di riabilitazione (fase post-acuta e a lungo termine) per i soggetti che sopravvivono, il paziente necessita di attente e impegnative cure, oltre a quelle offerte dal SSN, anche da parte dei familiari e dei caregivers sia da un punto di vista assistenziale che riabilitativo-educativo e psicologico/psichiatrico. Poiché queste attività assistenziali possono richiedere anche molto tempo (mesi o anni), talvolta, i familiari sono costretti ad abbandonare il proprio lavoro per dedicarsi completamente a queste attività. Questo aspetto è particolarmente rilevante quando i pazienti colpiti da patologia invasiva sono soggetti giovani con una lunga aspettativa di vita, come è tipico per le malattie meningococciche. Inoltre, in alcuni casi, per il grande impatto emotivo è necessario un supporto psicologico post-traumatico sia per il paziente che per i familiari sia nella fase acuta che successivamente (vedi capitolo 3). L’ospedalizzazione, la cura, la riabilitazione, la rieducazione e il supporto del paziente generano un elevato impegno di risorse economiche e di personale sia dal punto di vista sociale (soprattutto per i familiari del paziente e l’educazione speciale) sia per il SSN. Tutti questi aspetti potrebbero essere evitati con la vaccinazione a fronte di reazioni avverse alla vaccinazione rare, lievi e transitorie [19]. 4. Ci sono altre conseguenze nascoste o non intenzionali della vaccinazione anti-meningococco B e delle sue applicazioni per i vaccinati, parenti, altri pazienti, organizzazioni, entità commerciali, società ecc.? La vaccinazione anti-meningococco B degli adolescenti permette di proteggere direttamente un gruppo di soggetti esposto ad un rischio di malattia più elevato rispetto ad altre categorie di soggetti. Inoltre, questa fascia di età presenta anche il più alto tasso di portatori: la vaccinazione con il vaccino Trumenba® potrebbe massimizzare la protezione della comunità andando potenzialmente ad interrompere lo stato di portatore e, quindi, la trasmissione del meningococco stesso. Tuttavia, in base alle conoscenze attuali, l’impatto della vaccinazione anti-meningococco B sullo stato di portatore non è ancora chiaro [22]. Gli studi non hanno dimostrato una riduzione di probabilità di divenire portatori né con il vaccino MenB-FHbp [23] né con il vaccino MenB-4C [24]. Pertanto, l’eventuale impatto della vaccinazione anti-meningococco B negli adolescenti sullo stato di portatore e la conseguente influenza sulla trasmissione del batterio dovranno essere approfonditi in futuro. Se venisse dimostrato l’impatto della vaccinazione sullo stato di portatore, ciò aumenterebbe il valore di questa vaccinazione non solo per il singolo individuo ma per l’intera comunità. I trial clinici hanno dimostrato che Trumenba® ha un buon profilo di sicurezza e tollerabilità, con reazioni avverse lievi e temporanee [19]. Tuttavia, come per ogni nuovo vaccino commercializzato, dovrà essere condotta una approfondita vigilanza post-marketing per rilevare eventuali reazioni rare a seguito della vaccinazione su larga scala. La farmaco-vigilanza è particolarmente importante per il vaccino Trumenba® che, come ogni nuovo vaccino, è classificato “medicinale sottoposto a monitoraggio addizionale” proprio per permettere la rapida identificazione di nuove informazioni sulla sicurezza, oltre quelle raccolte con i trial clinici [19]. Pertanto, è importante che ogni operatore sanitario segnali qualsiasi reazione avversa sospetta di cui venga a conoscenza. Inoltre, è importante che gli stessi vaccinati e/o i loro tutori siano informati sulla possibilità di segnalare eventuali eventi avversi al proprio medico, per garantire un’ottimale vigilanza post-marketing. La farmaco-vigilanza, quindi, permetterà di identificare eventuali conseguenze nascoste o non intenzionali della vaccinazione ed eventualmente di intervenire prontamente per tutelare la salute degli adolescenti vaccinati. 5. Esistono ostacoli etici alla generazione di prove riguardo ai benefici e ai danni della vaccinazione? Al momento non esistono ostacoli etici alla generazione di prove a riguardo dei benefici e dei danni a seguito della vaccinazione anti-meningococco B degli adolescenti. Infatti, i trial clinici autorizzativi ad oggi hanno dimostrato che Trumenba® è immunogeno e sicuro [19-21] (vedi capitolo 5). Inoltre, per garantire l’eticità dell’immunizzazione, come precedentemente sottolineato, Trumenba® è sottoposto ad attenta e approfondita sorveglianza post-marketing [19]. Infine, negli Stati Uniti la vaccinazione con Trumenba® è già prevista a partire dai 10 anni di età [25, 26]; in Italia le Regioni Puglia, Sicilia e Campania hanno già raccomandato questa immunizzazione per gli adolescenti [27-29]. La valutazione delle esperienze sul campo, oltre quelle raccolte durante la sperimentazione clinica, permetterà di generare ulteriori prove riguardo ai benefici e ai livelli di tollerabilità della vaccinazione. AUTONOMIA 1. La vaccinazione anti-meningococco B è somministrata a persone particolarmente vulnerabili? La vaccinazione anti-meningococco B, in questo caso, sarebbe somministrata agli adolescenti (soggetti di 11 anni), pertanto soggetti minorenni con non completa capacità decisionale, e per i quali è prevista l’approvazione dei genitori o del tutore legale. I tutori hanno il diritto/dovere di valutare i benefici della vaccinazione rispetto agli eventuali rischi a patto che gli venga fornita una adeguata informazione da parte degli operatori sanitari, in modo da poter svolgere il loro ruolo decisionale e fornire il loro consenso informato. Inoltre, la vaccinazione ha proprio l’obiettivo di tutelare la salute degli adolescenti in un momento di rischio di malattia più elevato rispetto ad altre fasce d’età e, quindi, di vulnerabilità permettendo di non compromettere la loro futura autonomia. 2. L’adozione o l’uso della vaccinazione anti-meningococco B influenzano la capacità del soggetto immunizzato e la possibilità di esercitare l’autonomia? La vaccinazione degli adolescenti non richiede che i soggetti vaccinati modifichino il loro comportamento o abbiano delle restrizioni alla loro autonomia. Tuttavia, per essere completamente autonomi, anche nella scelta, gli adolescenti dovrebbero comprendere non solo i rischi diretti del trattamento, ma anche tutte le alternative, se gli effetti collaterali hanno luogo e come questi possono influenzare la qualità o le scelte di vita. Quindi, anch’essi, oltre ai loro tutori, dovrebbero essere opportunamente informati sui rischi e i benefici della vaccinazione e fornire il loro consenso (vedi capitolo 8). Dall’altra parte, la vaccinazione anti-meningococco B negli adolescenti influenzerà positivamente la futura autonomia dei soggetti vaccinati. Infatti, grazie alla vaccinazione potranno essere prevenuti casi di patologia da N. meningitidis potenzialmente letali o capaci di determinare sequele gravi permanenti. La vaccinazione, quindi, si configura come un intervento di tutela della futura e lunga autonomia degli adolescenti vaccinati, che altrimenti sarebbe fortemente messa a rischio dalla patologia meningococcica e dalle sue sequele. 3. Esiste la necessità di interventi specifici o azioni di supporto riguardanti le informazioni al fine di rispettare l’autonomia dell’adolescente quando viene somministrato il vaccino anti-meningococco B? Dovrebbe essere una pratica professionale comune e obbligatoria quella di informare e discutere adeguatamente del vaccino da somministrare con i soggetti da immunizzare o, nel caso di soggetti minorenni, con i genitori o i tutori legali. Nel caso di nuovi vaccini o strategie vaccinali, come per la vaccinazione anti-meningococco B per gli adolescenti, la fase di informazione dovrebbe essere particolarmente curata per fornire agli interessati tutti gli strumenti necessari per poter decidere. In particolare, sia gli adolescenti che i loro genitori o tutori legali devono essere informati esplicitamente, ad esempio, delle eventuali reazioni avverse, della loro frequenza e gravità in base ai risultati dei trial clinici e della sorveglianza post-marketing. Inoltre, gli operatori sanitari dovrebbero informare sul livello di immunogenicità di Trumenba® e della possibile perdita di protezione immunitaria nel tempo, in base alle evidenze scientifiche disponibili. Inoltre, anche informazioni relative al beneficio clinico della vaccinazione dovrebbero essere fornite, ovvero la prevenzione di una patologia, non particolarmente frequente nella popolazione generale, ma per la quale gli adolescenti hanno un rischio maggiore, con decorso severo e con alta possibilità di sequele gravi e spesso permanenti. È, quindi, importante da parte degli operatori sanitari effettuare una corretta comunicazione dei benefici e dei rischi utilizzando i metodi e i mezzi più efficaci per il target a cui è destinata la vaccinazione (vedi capitolo 8). 4. L’adozione della vaccinazione anti-meningococco B negli adolescenti sfida o modifica i valori professionali, l’etica o i ruoli tradizionali? Talvolta le tecnologie sanitarie possono cambiare la relazione medico-paziente, sfidare l’autonomia professionale e interferire con l’etica e i valori professionali. In generale, la relazione medico-paziente è tradizionalmente basata sulla fiducia reciproca, sulla riservatezza e sull’autonomia professionale, in modo da permettere che le decisioni siano prese dall’operatore sanitario nell’interesse del paziente. Tuttavia, in ambito vaccinale (e non solo) questa relazione è messa sempre più in discussione dalla diffusione di fake news sui social network [3]. Al momento dell’introduzione della vaccinazione anti-meningococco B per gli adolescenti, sarà quindi necessario che tutti gli operatori sanitari siano preparati e capaci di rispondere in modo uniforme a tutti i dubbi degli interessati in modo da mantenere adeguata la relazione medico-paziente e contrastare la diffusione di informazioni non corrette (vedi capitolo 8). Le tecnologie sanitarie allineate con l’etica professionale generalmente hanno maggiori probabilità di essere implementate con successo. Infatti, le tecnologie che interferiscono con i valori e i principi fondamentali dell’etica medica e professionale mettono in discussione l’integrità professionale dei medici o di altri operatori sanitari a discapito del loro utilizzo. La vaccinazione anti-meningococco B per gli adolescenti, come avviene in generale per tutti i vaccini contro il meningococco potrebbe essere particolarmente richiesta dalla popolazione per l’alta percezione della gravità della patologia. Tuttavia, i professionisti sanitari potrebbero erroneamente considerare questa vaccinazione non necessaria per la bassa incidenza della malattia e l’elevato costo dell’immunizzazione. Questi ultimi, inoltre, potrebbero considerare più etico utilizzare le limitate risorse del SSN per altre priorità sanitarie. È, quindi, importante che tutti gli operatori sanitari coinvolti siano adeguatamente informati e formati su tutte le evidenze scientifiche relative alla patologia e alla vaccinazione. RISPETTO PER LE PERSONE 1. L’adozione o l’uso del vaccino anti-meningococco B negli adolescenti influisce sulla dignità umana? Alcune tecnologie sanitarie rivolte a persone con ridotta autonomia (quali i bambini o gli adolescenti) possono violare la dignità della persona (ovvero l’idea che tutti gli esseri umani abbiano un valore intrinseco e non dovrebbero quindi essere visti come mezzi per fini terzi). Etichettare le persone come risultato dell’uso di una tecnologia sanitaria può anche minacciare la loro dignità. Nel caso della vaccinazione anti-meningococco B negli adolescenti, l’immunizzazione non solo non minaccia la dignità di questa categoria vulnerabile ma, anzi, la tutela prevenendo la patologia meningococcica invasiva. 2. L’adozione o l’uso del vaccino anti-meningococco B influisce sull’integrità morale, religiosa o culturale del soggetto vaccinato? Non ci sono evidenze che dimostrino che l’adozione della vaccinazione anti-meningococco B negli adolescenti influisca sulla loro integrità morale, religiosa o culturale o dei loro genitori o tutori legali. 3. La vaccinazione con il vaccino anti-meningococco B invade la sfera della privacy del soggetto vaccinato? La vaccinazione con il vaccino anti-meningococco B negli adolescenti, come tutte le vaccinazioni, sarà registrata nei database di anagrafe vaccinale. Solo a fini di ricerca o di valutazioni epidemiologiche di impatto e sicurezza della vaccinazione potrebbero essere divulgate informazioni in forma aggregata sul programma vaccinale. Dal punto di vista fisico, la vaccinazione non è invasiva, consistendo nella somministrazione di due dosi di vaccino. GIUSTIZIA ED EQUITÀ 1. In che modo l’introduzione della vaccinazione con il vaccino anti-meningococco B negli adolescenti influisce sulla distribuzione delle risorse sanitarie? La vaccinazione con il vaccino anti-meningococco B di una coorte di adolescenti implicherà costi notevoli per il SSN, in parte recuperabili con gli elevati costi sanitari evitati per curare i casi prevenuti di patologia meningococcica invasiva. Tali costi, se non disponibile uno specifico budget ad hoc, potrebbero/dovrebbero essere coperti da risorse provenienti da altre aree, con una valutazione di ridistribuzione delle risorse disponibili. Lo studio della riallocazione delle risorse del SSN può risultare particolarmente difficile e creare problemi etici di scelta tra gruppi di popolazione e pazienti con differenti priorità. Tuttavia, è importante sottolineare che, dal punto di vista economico, valutando adeguatamente i costi per la fase acuta, post-acuta e a lungo termine della patologia meningococcica invasiva ma, soprattutto, delle relative sequele, la vaccinazione anti-meningococco B degli adolescenti risulta altamente costo-efficace e, quindi, accettabile per il SSN. I valori di ICER ottenuti dalla valutazione economica possono, inoltre, fornire utili indicazioni sul livello di priorità di questa vaccinazione rispetto ad altri interventi sanitari (vedi capitolo 6). Inoltre, occorre considerare che la vaccinazione anti-meningococco B negli adolescenti permetterà di evitare decessi e sequele irreversibili e permanenti (fortemente impattanti sulla qualità di vita) di soggetti giovani, il cui valore non è moralmente quantificabile ma fortemente impattante sia per i malati ma anche per i familiari. Per quanto riguarda l’impatto della vaccinazione sulle risorse umane del SSN, questo sarà limitato vista la possibilità di co-somministrazione del vaccino Trumenba® con i vaccini già disponibili e raccomandati per l’adolescenza, quali ad esempio il vaccino contro l’infezione da HPV, il vaccino anti-difto-tetano-pertosse acellulare-polio inattivato (DTaP/IPV) e il vaccino anti-meningococco coniugato ACYW135. 2. Come sono trattate le vaccinazioni con problemi etici simili nel sistema sanitario? Negli anni passati in Italia c’è stata molta discussione in merito all’adozione della vaccinazione anti-meningococco B in età pediatrica. Infatti, come la vaccinazione degli adolescenti, l’immunizzazione universale della coorte di nuovi nati, con un elevato impegno economico per il SSN, sembrava non giustificare un intervento sanitario per la prevenzione di una patologia non particolarmente frequente nella popolazione rispetto ad altre infezioni, nonostante la gravità della patologia. Sono stati effettuati diversi studi per valutare questa opportunità [30, 31]. Nonostante le criticità evidenziate in tali documenti (alto costo della vaccinazione versus bassa incidenza della malattia), tale vaccinazione è stata comunque inclusa tra quelle raccomandate dal PNPV 2017-2019 per la coorte dei nuovi nati [32]. La valutazione economica inclusa nell’attuale report, focalizzata sul target adolescenziale, evidenzia che tale vaccinazione ha anche un profilo economico favorevole per il SSN e la Società (vedi capitolo 6). Il profilo economico favorevole è anche associato alla schedula vaccinale per gli adolescenti che prevede solo due dosi e di conseguenza un minore impegno di risorse per l’acquisto dei vaccini e per organizzazione dei servizi vaccinali rispetto alla vaccinazione pediatrica che prevede un ciclo vaccinale primario di 4 o 3 dosi. Inoltre, è stato precedentemente sottolineato che la possibile co-somministrazione di Trumenbaâ con gli altri vaccini previsti per gli adolescenti determina un impatto organizzativo ridotto. Inoltre, il PNPV 2017-2019 raccomanda anche una dose di vaccino antimeningococcico coniugato quadrivalente ACYW135 agli adolescenti [32]. In risposta dell’importanza di utilizzare questa nuova arma preventiva, alcune Regioni italiane (Puglia, Sicilia e Campania) hanno già iniziato a offrire la vaccinazione anti-meningococco B agli adolescenti, superando ogni problema etico (vedi capitolo 7) [27-29]. 3. Ci sono fattori che potrebbero impedire a un gruppo o ad una persona di accedere alla vaccinazione? L’introduzione della vaccinazione anti-meningococco B negli adolescenti nel nuovo calendario vaccinale nazionale permetterebbe un uguale offerta di immunizzazione a tutti gli adolescenti residenti nel territorio italiano. Ciò permetterebbe di superare l’attuale disuguaglianza nella salute indotta dall’offerta attualmente proposta in alcune regioni Italiane (Puglia, Sicilia e Campania) rispetto alle altre (vedi capitolo 7) [27-29]. È importante ricordare che investire nella riduzione delle disuguaglianze sanitarie è uno degli obiettivi della Commissione Europea per contribuire alla coesione sociale, riducendo la cattiva salute che contribuisce alla povertà e all’esclusione. Infine, se non offerta gratuitamente a livello nazionale la vaccinazione potrebbe essere effettuata su richiesta degli adolescenti o dei loro genitori/tutori legali a proprie spese, sfavorendo un equo accesso per la tutela della salute su base economica e sociale. LEGISLAZIONE 1. L’introduzione della vaccinazione anti-meningococco B influenza la realizzazione dei diritti umani fondamentali? I diritti umani fondamentali sono dichiarati nella Dichiarazione dei diritti umani delle Nazioni Unite (http://www.un.org/en/documents/udhr/). Per quanto riguarda la vaccinazione anti-meningococco B negli adolescenti, i diritti più rilevanti sono i diritti di uguaglianza, non discriminazione, sicurezza, standard di vita adeguati e assistenza sanitaria. Tutti questi aspetti sarebbero raggiunti e garantiti con la vaccinazione anti-meningococco B negli adolescenti. 2. L’uso del vaccino anti-meningococco B negli adolescenti può porre delle sfide etiche che non sono state considerate nelle legislazioni e nei regolamenti esistenti? L’adozione della vaccinazione anti-meningococco B negli adolescenti sarebbe equa e adeguata in base alla legislazione vigente: infatti, in base alle indicazioni presenti sul Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto, il vaccino Trumenba® è indicato per l’immunizzazione attiva di soggetti di età pari o superiore a 10 anni al fine di prevenire la malattia meningococcica invasiva causata da N. meningitidis sierogruppo B [19]. Pertanto, al momento tale vaccinazione non presenta sfide etiche non considerate a livello regolatorio. Inoltre, se tale vaccinazione fosse inclusa nel prossino Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale 2020-2022 (PNPV 2010-2022) il suo utilizzo sarebbe ufficialmente riconosciuto su tutto il territorio nazionale con una offerta attiva e gratuita. CONSEGUENZE ETICHE DELL’HTA 1. Quali sono le conseguenze etiche della scelta di endpoint, valori soglia e comparatori/controlli nella valutazione? Questo report di HTA sulla vaccinazione anti-meningococco B negli adolescenti si basa sulle evidenze scientifiche attualmente disponibili a livello nazionale e internazionale. Fino ad oggi nelle precedenti valutazioni della vaccinazione anti-meningococco l’attenzione è stata posta soprattutto sulla bassa incidenza della malattia rispetto all’elevato costo della vaccinazione. Poca attenzione è stata invece posta sulla numerosità e sull’impatto delle sequele. Solo un'attenta ricerca di questi dati (vedi capitolo 3), come effettuato in questo report, ha permesso di capire meglio il possibile reale impatto della malattia e il beneficio derivante dalla vaccinazione. Tali dati, però, non sono sempre disponibili in modo dettagliato a livello internazionale e, soprattutto, nazionale. Questo può aver determinato, anche nella nostra analisi, una descrizione parziale dell’impatto della vaccinazione sulla malattia e le sue complicanze. Tuttavia, anche se talvolta i dati trovati non sono completi ed esaustivi, sono comunque gli unici a disposizione, in base alle nostre conoscenze. I risultati dell’attuale report di HTA potranno comunque essere in futuro rivalutati in base alla disponibilità di nuove evidenze scientifiche. 2. Ci sono problemi etici relativi ai dati o le ipotesi nella valutazione economica? Un possibile problema etico relativo ai dati utilizzati nella valutazione economica è relativo all’ipotesi di efficacia e durata dell’immunità conferita dal vaccino Trumenba®. Essendo un vaccino di recente disponibilità questi dati non sono ancora disponibili. Pertanto, l’assunzione sull’efficacia e durata della protezione fatta nella valutazione economica è stata effettuata in base ai dati scientifici disponibili e alle valutazioni di esperti e dovrà successivamente essere riconsiderata in base alla disponibilità di nuove evidenze scientifiche (vedi capitolo 6). 3. Quali sono le conseguenze etiche del condurre la valutazione di HTA in questo momento? La conduzione e divulgazione dell’attuale valutazione di HTA della vaccinazione anti-meningococco B negli adolescenti in Italia permetterà di fornire un utile strumento, basato sulle evidenze scientifiche ad oggi disponibili, ai decision marker che nel prossimo recente futuro procederanno alla stesura del nuovo PNPV 2020-2022. In particolare, questa valutazione potrà supportare i decisori nell’individuazione del livello di priorità della vaccinazione anti-meningococco B negli adolescenti rispetto ad altri interventi sanitari. In caso di inclusione della vaccinazione nel PNPV 2020-2022 sarebbe garantita l’equità di offerta in tutto il territorio nazionale italiano. Le attuali conoscenze non sono sempre complete e generalizzabili, però sono sufficienti per supportare l’introduzione di questa vaccinazione. Valutazione etico-normativa (valutazione delle scelte pratiche che dovrebbero essere fatte) In base a quanto valutato, i dati epidemiologici dimostrano una bassa incidenza delle malattie invasive meningococciche ma con un decorso particolarmente severo e con alta letalità. Gli adolescenti, dopo i bambini di età inferiore ai 5 anni, sono una delle fasce d’età particolarmente colpita da questa terribile malattia. La vaccinazione anti-meningococco B con Trumenba® negli adolescenti, quindi, permetterebbe di tutelare la vita e la salute di questa fascia di età vulnerabile, evitando sequele irreversibili permanenti fortemente impattanti sulla qualità di tutto l’arco della vita. Inoltre, la vaccinazione anti-meningococco B avrebbe anche un impatto sociale rilevante: infatti, la vaccinazione permetterebbe di ridurre, oltre ai costi sanitari diretti e indiretti della malattia stessa e delle sue conseguenze, il grande onere di assistenza sociale per i pazienti e per le loro famiglie (educazione speciale e pensioni di inabilità e invalidità per i casi). Le vaccinazioni anti-meningococco B, C/ACYW135 sono già raccomandate in età pediatrica e il vaccino anti-meningococco ACYW135 negli adolescenti. Inoltre, la vaccinazione anti-meningococco B negli adolescenti è già offerta in alcune Regioni italiane (Puglia, Sicilia e Campania). Per un'equità di trattamento, accesso e allocazione delle risorse sanitarie, dovrebbe essere pertanto offerta anche la vaccinazione anti-meningococco B su tutto il territorio nazionale. Presupposto fondamentale dell’introduzione della vaccinazione anti-meningococco B tra gli adolescenti è che la vaccinazione derivi da una scelta informata e consapevole da parte del genitore o del tutore legale a seguito della diffusione di corrette informazioni sui benefici e sui possibili rischi della vaccinazione. La scelta consapevole deve essere fatta anche dagli stessi soggetti adolescenti, che, sebbene non ancora maggiorenni, dovrebbero avere la possibilità di essere adeguatamente informati e dovrebbero poter esprimere la necessità di chiarimenti e dubbi, a cui l’operatore sanitario dovrebbe rispondere con modalità idonee alla loro età. Pertanto, in base ai dati a disposizione, al bilancio rischi/benefici e costi/benefici, e infine, al valore sociale della vaccinazione, il giudizio etico della vaccinazione anti-meningococco B negli adolescenti risulta complessivamente positivo a condizione che venga effettuata una adeguata informazione e raccolta del consenso informato e una equa offerta su tutto il territorio nazionale. Infine, è importante che venga attuata, come previsto per legge, un'attenta vigilanza sui possibili effetti collaterali della nuova vaccinazione non rilevati durante la fase di sperimentazione clinica. In conclusione, la vaccinazione anti-meningococco B degli adolescenti permetterebbe di difendere la vita umana nel suo complesso e nella sua integrità, permettendo di seguire e garantire i principi di libertà (capacità della volontà umana), di responsabilità e integrità mente-corpo a favore della socialità e riducendo la sussidiarietà a causa delle gravose sequele della patologia invasiva da meningococco B., Epidemiologia della patologia meningococcica in Italia Neisseria meningitidis, batterio ospite delle prime vie aeree dei portatori sani, può in alcuni casi rendersi responsabile di malattia invasiva, patologia di non semplice diagnosi che può determinare alta letalità, gravi complicanze e sequele. La diagnosi eziologica viene effettuata principalmente con due metodiche con diverse sensibilità (coltura e real time PCR), che possono risultare in diversi tassi di diagnosi. In Italia la sorveglianza delle malattie batteriche invasive è coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità e richiede la segnalazione di tutti i casi di malattie invasive batteriche, tra cui la malattia invasiva da meningococco. Il dato viene trasmesso anche a livello europeo. La malattia meningococcica si presenta in forma epidemica ed endemica. L’Italia è tra i Paesi con tasso di notifica più basso in Europa, con importanti differenze di incidenza tra le Regioni, specialmente legate alle tecniche diagnostiche utilizzate. Il meningococco B risulta il sierogruppo identificato con maggiore frequenza in Italia (circa il 36% delle malattie batteriche invasive da N. meningitidis nel periodo 2011-2017), nonostante un’inversione di tendenza a favore del meningococco C nel 2015-2016 e la crescita delle percentuali di casi attribuiti ad altri sierogruppi. Il meningococco B è responsabile in media di circa 62 casi all’anno nella popolazione generale, di cui 3 casi nella fascia 10-14 anni (28%) e 11 casi nella fascia 15-24 anni (32%). Negli adolescenti è importante anche considerare l’alta prevalenza di portatori sani, che sono fonte di contagio, specialmente in contesti di aggregazione sociale tipici di questa fascia di età, come testimoniano epidemie verificatesi sia a livello nazionale che internazionale. Il disease burden e le sequele della malattia meningococcica La malattia meningococcica nei Paesi industrializzati colpisce prevalentemente i bambini, gli adolescenti e i giovani adulti. Il tasso di letalità è elevato (8-15%) e in caso di sepsi può raggiungere il 40%. La malattia invasiva meningococcica si può manifestare in diverse forme: la più comune è la meningite. L’esordio dei sintomi specifici avviene mediamente dopo 12-15 ore dall’insorgenza della malattia, mentre i sintomi tardivi come perdita di coscienza, convulsioni e delirio si presentano mediamente dopo 15 ore negli infanti e 24 ore nei bambini più grandi. La presentazione clinica della meningite meningococcica è: febbre a rapida insorgenza, cefalea, rigidità nucale, nausea, vomito, fotofobia e stato mentale alterato. La sepsi si presenta nel 10-30% dei casi ed è caratterizzata da febbre a rapida insorgenza, petecchie, rash purpurico, spesso associata ai segni tipici dello shock con ipotensione, emorragia surrenale acuta e insufficienza multiorgano. Le manifestazioni acute meno frequenti sono polmonite (5-15%), artrite (2%), otite media (1%) ed epiglottite (< 1%). I fattori di rischio correlati allo sviluppo della malattia meningococcica sono associati sia all’ospite sia all’ambiente. I principali fattori legati all’ospite sono i difetti immunologici e la presenza di malattie croniche. Per quanto riguarda i fattori ambientali, essi sono associati principalmente all’affollamento degli spazi sociali comuni. L’elevato impatto clinico della malattia è associato principalmente alle sequele transitorie e/o permanenti di gravità variabile che affliggono i soggetti sopravvissuti. Fino al 60% dei pazienti riporta almeno una sequela e molti sviluppano sequele multiple. La maggior parte degli studi ha stimato la probabilità di sviluppare complicanze senza valutarne però l’associazione con i diversi sierogruppi o la distribuzione per fascia di età. Le sequele fisiche principalmente registrate sono: le cicatrici cutanee (6,4-48%), le amputazioni (0,8-14%), le disfunzioni renali (2-8,7%) e le artriti/vasculiti (4,7%). Tra le sequele neurologiche le principali sono: la sordità bilaterale/unilaterale (2-5%), i deficit cognitivi (fino al 24%), i disturbi visivi (fino al 23%), le convulsioni/epilessia (fino al 40%) e i problemi di comunicazione (fino al 25%). Non di secondaria importanza sono i danni psichiatrici provocati dalla malattia meningococcica (ansia 5,71%, depressione 7,14%). Essi insorgono dopo l’ospedalizzazione e, pertanto, frequentemente sono sottostimati nel medio e lungo termine. Inoltre, molti sopravvissuti sono affetti da disordini post-traumatici da stress (fino al 62% dei pazienti). Un ulteriore aspetto da considerare è che circa il 60% delle madri e il 40% dei padri segnalano, nella fase acuta e post-acuta della malattia dei loro figli, disturbi psichiatrici/psicologici che richiedono supporto specialistico. I costi della malattia invasiva da Neisseria meningitidis La malattia invasiva da meningococco genera ingenti costi diretti e indiretti. I costi diretti comprendono i costi a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e si suddividono in: costi della fase acuta (ospedalizzazione, riabilitazione e risposta di Sanità Pubblica), costi relativi alla fase post-acuta (fino a 6 mesi dalla fase acuta) e costi sanitari a lungo termine associati allo sviluppo di sequele temporanee o permanenti. I costi sono contestualizzati al 1/1/2018. Il costo diretto associato all’ospedalizzazione è calcolato considerando i codici SDO (ICD-9) associati alla meningite meningococcica, alla setticemia e a entrambe le condizioni cliniche e i relativi codici DRG. Il costo medio varia da un minimo di € 4.529 ad un massimo di € 6.708 in base alla presentazione clinica e all’età del paziente. I costi diretti associati alla risposta di Sanità Pubblica si riferiscono alla terapia antibiotica da somministrare ai contatti stretti, all’eventuale campagna di vaccinazione e al tempo medio impiegato dal personale del Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Azienda Sanitaria Locale per la gestione del caso di malattia per evitare casi secondari. Attualmente non sono disponibili dati italiani esaustivi, pertanto sono stati analizzati dati internazionali e, per quanto possibile, contestualizzati alla realtà italiana. I costi diretti relativi alla fase post-acuta comprendono i costi fino a 6 mesi dalla fase acuta e includono costi per la gestione delle sequele, per la riabilitazione e per il supporto psichiatrico e psicologico del paziente. I costi riferiti a questa fase di malattia sono variabili in base al tipo di sequela. Il costo diretto di ogni visita ambulatoriale ammonta a € 20,66. Ogni visita di supporto psicologico è pari a € 19,37. I costi diretti a lungo termine comprendono tutti i costi relativi alla gestione delle sequele temporanee o permanenti. Dal momento che non sono disponibili dati italiani relativi ai costi diretti associati alle possibili sequele sono stati considerati i dati provenienti da studi internazionali e, per quanto possibile, contestualizzati alla realtà italiana. I costi indiretti comprendono: il costo della morte, i costi legati alla perdita di produttività del paziente e dei familiari e al supporto psichiatrico e psicologico necessario nei casi di stress post-traumatico nei familiari durante la fase acuta di malattia; i costi associati alla gestione del paziente nella fase post-acuta (includono la perdita di produttività del paziente e del caregiver e i costi legati al supporto psichiatrico/psicologico della famiglia); i costi associati alla gestione del paziente con sequele (educazione speciale, pensione di inabilità, assegno di invalidità e indennità di accompagnamento) e i costi relativi al supporto psichiatrico e psicologico a lungo termine del paziente e dei familiari. Sebbene i casi di patologia invasiva meningococcica siano pochi, se si considerano adeguatamente tutti i costi diretti ed indiretti della malattia e delle sequele, ogni caso risulta determinare un elevato impatto economico sia per il SSN sia per la Società. Solo per la fase acuta di malattia il costo medio globale di un caso ammonta a circa € 13.952. I costi globali relativi alla fase post-acuta e a lungo termine sono molto variabili e dipendenti dal tipo di sequela. Immunogenicità e sicurezza del vaccino anti-meningococco di sierogruppo B Trumenba® Trumenba® è un vaccino indicato per l’immunizzazione attiva di soggetti di età pari o superiore a 10 anni per prevenire la malattia meningococcica invasiva causata da Neisseria meningitidis sierogruppo B (Men B). È un vaccino costituito da due varianti ricombinanti lipidate della proteina legante il fattore H (fHbp), che, presente sulla superficie del meningococco, è essenziale al microrganismo per eludere le difese immunitarie dell’ospite. Le varianti di fHbp sono suddivise in due sottofamiglie immunologicamente distinte, A e B, e oltre il 96% dei ceppi di Men B isolati in Europa esprime varianti di fHbp di entrambe le sottofamiglie sulla superficie batterica. L’immunizzazione con Trumenba® ha lo scopo di stimolare la produzione di anticorpi battericidi che riconoscano l’fHbp espressa dal meningococco. I risultati ottenuti dai trial clinici (fase II e fase III) evidenziano che Trumenba® è in grado di stimolare un’ampia risposta immunologica contro ceppi di Men B antigenicamente diversi in adolescenti (10-18 anni) e giovani adulti sani (19-25 anni) utlizzando sia la schedula a 3 dosi sia la schedula a 2 dosi. Nello studio clinico di fase III relativo agli adolescenti dopo 3 dosi la proporzione di soggetti con aumenti nei titoli hSBA ≥ 4 variava dal 78,8% al 90,2%. La risposta composita ai 4 ceppi test dopo 3 dosi di Trumenba® era dell’82,7%. Lo studio clinico condotto con l’obiettivo di valutare l’immunogenicità di Trumenba® somministrato con la schedula a due dosi ha dimostrato che nel gruppo vaccinato con la schedula (0-6 mesi) la risposta anticorpale era molto simile a quella ottenuta con la schedula a 3 dosi. Nello specifico la proporzione di soggetti con titoli anticorpali superiori ai limiti prestabiliti, un mese dopo la seconda dose, era: 93,2%, 98,4%, 81,1% e 77,5%, rispettivamente, per i ceppi principali A22, A56, B24 e B44. Inoltre, la risposta composita era pari a 73,5%. Una risposta immunitaria persistente in seguito al ciclo primario di vaccinazione con entrambi le schedule vaccinali (2 o 3 dosi) è evidente fino a 4 anni dopo la vaccinazione. Inoltre, una singola dose di Trumenba®, somministrata circa 4 anni dopo il ciclo primario, stimola risposte immunitarie robuste. In caso di co-somministrazione con il vaccino anti-papilloma virus (HPV4) e il vaccino anti-difto-tetano-pertosse acellulare-polio inattivato (DTaP/IPV), i trial clinici hanno dimostrato la non inferiorità della risposta immunitaria. Trumenba® può essere co-somministrato anche con il vaccino coniugato contro i sierogruppi meningococcici A, C, Y, W. Le reazioni avverse più comuni osservate dopo almeno una dose di Trumenba® sono state dolore, arrossamento e gonfiore al sito di iniezione, cefalea, affaticamento, brividi, diarrea, dolori muscolari, dolori articolari e nausea. Le reazioni avverse dopo una dose di richiamo in soggetti di età compresa tra 15 e 23 anni sono risultate simili a quelle manifestatesi dopo la somministrazione del ciclo primario. Relativamente agli eventi avversi gravi gli studi clinici controllati non hanno evidenziato nessun problema di sicurezza; infatti la probabilità di eventi avversi seri nel gruppo dei vaccinati (adolescenti) era simile a quella osservata nel gruppo di controllo (1,9% vs 2,5%). Impatto clinico ed economico della vaccinazione anti-meningococco B con Trumenba® negli adolescenti Con l’obiettivo di valutare, nel contesto italiano, l’impatto in termini di costo-utilità della vaccinazione anti-meningococco B con il vaccino Trumenba® negli adolescenti, è stato sviluppato un modello matematico di simulazione di coorte di tipo markoviano. La vaccinazione con Trumenba® è comparata con la strategia “non vaccinazione”, in quanto nel Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale 2017-2019 non è prevista la vaccinazione contro il meningococco B negli adolescenti. Il modello di Markov ha analizzato la coorte composta dalla popolazione italiana di adolescenti di sesso maschile e femminile di 11 anni (dato ISTAT riferito al 1 gennaio 2018) seguendola per tutta la vita. La valutazione economica è stata condotta secondo le indicazioni fornite dalle linee guida di Health Technology Assessment (HTA) italiane. Due prospettive sono state considerate: quella del SSN (costi diretti) e quella della società (in cui sono inclusi sia i costi sostenuti dal SSN sia quelli a carico della collettività). L’esito di salute considerato è stato il QALY (Quality Adjusted Life Year), che rappresenta la misura di un anno di vita pesato per lo stato di salute. Non sono stati inclusi nello studio esiti di salute secondari o surrogati. I risultati sono riportati attraverso il rapporto incrementale di costo-efficacia (ICER) in € per QALY annuali. Per l’analisi è stato adottato un valore soglia di costo-efficacia pari a € 30.000. I dati di incidenza di malattia e di letalità utilizzati sono relativi alla popolazione italiana, mentre le probabilità di sviluppare sequele derivano da studi internazionali in quanto non sono disponibili dati riferiti alla popolazione italiana. I valori degli esiti di salute (utilità) associati alle diverse condizioni di salute sono stati estrapolati da studi internazionali poiché non sono presenti dati italiani pubblicati. Tutti i costi sono riportati in € e contestualizzati al 2018. Alcuni costi derivano da fonti italiane, altri sono stati estrapolati da fonti internazionali e adattati al contesto italiano. Per l’attualizzazione dei costi e degli esiti di salute è stato considerato un tasso di sconto pari al 3,5%. Data la possibile presenza di variazioni nei dati di input è stata condotta un’analisi di sensibilità. Sono state effettuate un’analisi di sensibilità deterministica (DSA) per valutare l’impatto di alcuni parametri del modello sull’ICER e un’analisi di sensibilità probabilistica (PSA) dove i parametri del modello, i costi e le utilità sono stati fatti variare secondo distribuzioni probabilistiche. La PSA aveva l’obiettivo di verificare la costo-efficacia della strategia vaccinale al variare delle condizioni epidemiologiche, di mercato e di politica sanitaria. I risultati dello studio permettono di affermare che la vaccinazione degli adolescenti (undicesimo anno di vita) con il vaccino Trumenba® è costo-efficace. Infatti, l’ICER è risultato di € 7.911,98/QALY nella prospettiva del SSN e di € 7.757,73/QALY nella prospettiva della società. Entrambi i valori sono ampiamente sotto il valore soglia di costo-efficacia. La vaccinazione risulta determinare, non solo una riduzione dei casi di malattia, ma anche un risparmio nei costi diretti e indiretti associati principalmente alle sequele permanenti e invalidati che affiggono una percentuale rilevante di sopravvissuti alla patologia meningococcica invasiva. Il ruolo della comunicazione per l’accettabilità della vaccinazione anti-meningococcica tra gli adolescenti Oggi, con la grande diffusione del web e dei social network, l’accesso all’informazione è diventato sempre più semplice, a fronte di una qualità delle informazioni talvolta discutibile o di informazioni incomplete o non corrette (fake news). Adeguati interventi di informazione ed educazione sanitaria sono sempre più necessari per rendere consapevoli e responsabilizzare i cittadini in difesa della propria salute e far comprendere loro l’importanza delle vaccinazioni, favorendo la valutazione critica delle informazioni disponibili. La corretta percezione del rischio di contrarre una determinata patologia e dei suoi esiti è uno degli aspetti che condiziona positivamente l’accettazione di un programma di immunizzazione. Infatti, contrariamente ad altre vaccinazioni, l’accettazione della vaccinazione contro il meningococco risulta favorevole, per la percezione di un elevato rischio di malattia. Tale considerazione resta comunque fortemente correlata alla diffusione di una adeguata informazione sulla vaccinazione come intervento preventivo sicuro ed efficace. Un’alfabetizzazione sanitaria limitata o insufficiente è associata ad una riduzione dell’adozione di comportamenti preventivi come la vaccinazione. L’esitazione vaccinale potrebbe essere in parte superata migliorando l’educazione e l’alfabetizzazione sanitaria, specialmente se mirata non solo ai genitori e alla popolazione adulta, ma anche agli studenti, a partire dalle scuole primarie e secondarie. Inoltre, l’esitazione potrebbe essere superata migliorando la formazione dei professionisti della salute. Se da una parte il web e i social network sono un utile strumento per la trasmissione di informazioni sanitarie per il loro ampio utilizzo tra i giovani, dall’altra è importante far comprendere agli adolescenti i rischi e la scarsa affidabilità di alcuni siti web. Nell’ottica di implementare la vaccinazione anti-meningococco B negli adolescenti dovrà essere considerata, pertanto, la possibilità di sviluppare una idonea campagna di informazione/comunicazione rivolta ai ragazzi in età adolescenziale ed ai loro genitori ricorrendo anche all’utilizzo di social media. Strategie di vaccinazione anti-meningococco per gli adolescenti Nel Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2017-2019 (PNPV 2017-2019) non è prevista nessuna raccomandazione per la vaccinazione anti-Men B negli adolescenti, anche se viene sottolineata l’importanza di valutare l’introduzione dell’offerta in questa categoria di popolazione, come suggerito dalle indicazioni fornite dalle società scientifiche (Calendario per la Vita 2019) e come già applicato in tre regioni italiane (Sicilia, Puglia e Campania). Le coperture vaccinali raggiunte in Italia nel 2018 per le vaccinazioni effettuate nell’adolescenza sulle coorti dei sedicenni (coorte 2002) e dei diciottenni (coorte 2000) mostrano un’ampia variabilità tra le Regioni sia per il vaccino anti-Men C che per il vaccino anti-Men ACYW135. In entrambe le coorti, nella maggior parte delle Regioni le coperture vaccinali risultano lontane dagli obiettivi previsti. Per aumentare lo scarso livello di compliance alla vaccinazione tra gli adolescenti, quindi, si potrebbe ipotizzare di mettere in atto strategie “tailor made”. Nei Paesi europei non sono presenti raccomandazioni relative alla somministrazione del vaccino anti- Men-B in età adolescenziale. Negli Stati Uniti la vaccinazione anti-Men B è raccomandata in assenza di condizioni di aumentato rischio e secondo giudizio clinico individuale, per adolescenti e giovani adulti con età compresa tra i 16 e i 23 anni utilizzando indifferentemente i due vaccini a disposizione MenB-FHbp (Trumenba®) o MenB-4C (Bexsero®). Il vaccino MenB-FHbp è stato utilizzato in epidemie che si sono verificate all’interno di college negli stati di Rhode Island (2015), Oregon (2015), e New Jersey (2016). In questi casi non si sono verificati casi di patologia da meningococco B successivi alla campagna vaccinale. Aspetti organizzativi della vaccinazione anti-meningococco B negli adolescenti in Italia Nell’ottica di ottimizzare la lotta alla malattia invasiva da Neisseria meningitidis di tipo B l’offerta attiva e gratuita della vaccinazione è raccomandabile negli adolescenti in quanto principali target di malattia. Quando si prevede di inserire nel calendario vaccinale una nuova vaccinazione non si può non considerare l’impatto organizzativo che ne deriva. Nella fascia adolescenziale sono previste altre vaccinazioni e, pertanto, alcune criticità organizzative potrebbero verificarsi, come il sovraccarico di lavoro per i Dipartimenti di Prevenzione delle Aziende Sanitarie Locali (ASL). Per superare questa criticità dovrebbe essere considerata la co-somministrazione di Trumenba® con altri vaccini già presenti nel calendario vaccinale per l’adolescente. Quando una nuova strategia di vaccinazione è attuata potrebbero verificarsi criticità legate alla compliance alla vaccinazione. Per raggiungere idonei obiettivi di copertura vaccinale è necessario promuovere sistemi organizzativi innovativi e integrati promuovendo un dialogo continuo e costruttivo tra Sanità Pubblica, pediatri di famiglia e medici di medicina generale al fine di condividere obiettivi e strategie per una migliore sensibilizzazione della popolazione. Al fine di ottimizzare l’intero processo organizzativo si potrebbe anche valutare l’ipotesi della vaccinazione in ambito scolastico. Studi internazionali e nazionali evidenziano che le strategie integrate sono quelle più efficaci per il contrasto alle malattie prevenibili con la vaccinazione. Aspetti etici e sociali della vaccinazione anti-meningococco per gli adolescenti Oggi, sempre più, ogni valutazione di HTA non può prescindere dalla inclusione di una valutazione etica e sociale. Questo è particolarmente rilevante quando sono oggetto di valutazione le vaccinazioni che, diversamente dai farmaci, sono interventi preventivi somministrati a persone sane la cui salute deve essere garantita e tutelata. In base al “modello triangolare” della valutazione etica delle tecnologie sanitarie, per la fase conoscitiva i dati disponibili dimostrano che, da un punto di vista epidemiologico, le patologie meningococciche invasive hanno una bassa incidenza ma un decorso particolarmente severo e un’alta letalità. Gli adolescenti sono una fascia particolarmente colpita. Le sequele fisiche, neurologiche e psicologiche/psichiatriche sono particolarmente impattanti per i malati e per i caregivers (con impatto sociale rilevante). I costi diretti e indiretti di ogni caso sono particolarmente alti sia per il SSN che per la società. Il vaccino anti-meningococco B Trumenba® è sicuro, ben tollerato ed immunogeno per prevenire le patologie invasive da meningococco B. È autorizzato per tutti i soggetti d’età ≥ 10 anni. Per la fase valutativa, la vaccinazione anti-meningococco B degli adolescenti permetterebbe di tutelare la vita e la salute di questa fascia di età vulnerabile, evitando sequele irreversibili fortemente impattanti sulla qualità per l’intero arco di vita. Visto che altre vaccinazioni anti-meningococciche sono già offerte attivamente in età pediatrica e adolescenziale e la stessa vaccinazione anti-meningococco B per gli adolescenti è già offerta in alcune Regioni italiane (Puglia, Sicilia e Campania), per una equità di trattamento, accesso e allocazione delle risorse sanitarie, quest’ultima dovrebbe essere offerta su tutto il territorio nazionale. Presupposto fondamentale dell’introduzione della vaccinazione anti-meningococco B per gli adolescenti è che la vaccinazione derivi da una scelta informata e consapevole da parte dei genitori o tutori legali, determinata da una comunicazione efficace fornita dagli operatori sanitari, con modalità adeguate al destinatario dell’informazione. La scelta consapevole deve essere fatta anche dagli stessi soggetti adolescenti. È, inoltre, importante che venga attuata, come previsto per legge, una attenta vigilanza post-marketing sui possibili effetti collaterali della nuova vaccinazione. Per la valutazione etico-normativa, la vaccinazione anti-meningococco B di una coorte di adolescenti permetterebbe di difendere la vita umana nel suo complesso e nella sua integrità, permettendo di seguire e garantire i principi di libertà (capacità della volontà umana) e di responsabilità e integrità mente-corpo a favore della socialità e riducendo la sussidiarietà a causa delle gravose sequele della patologia invasiva da meningococco B., Con la disponibilità di nuovi vaccini, la valutazione di nuove strategie di vaccinazione diventa di prioritaria importanza per massimizzare i benefici di salute. In quest’ottica, le valutazioni di HTA comprendenti modelli farmaco-economici diventano uno strumento imprescindibile per i decision makers e un riferimento per i professionisti di salute. Le attuali evidenze scientifiche disponibili a livello nazionale e internazionale, valutate con un approccio di Health Technology Assessment, dimostrano che la vaccinazione anti-meningococco B per gli adolescenti in Italia è raccomandabile e permetterebbe di evitare casi di malattia invasiva meningococcica. Sebbene i casi di malattia da N. meningitidis B non siano particolarmente frequenti la patologia ha un decorso severo con elevata letalità e, nei sopravvissuti la probabilità di sequele invalidanti è alta (fino al 60%). Ogni caso determina considerevoli costi diretti (a carico del SSN) e indiretti a carico dell’intera società, senza considerare gli ingenti costi intangibili determinati dalla morte prematura di soggetti giovani e dalla perdita di qualità di vita dei sopravvissuti e dei caregivers. Pertanto, in questo contesto il costo della vaccinazione di una intera coorte di adolescenti è controbilanciato dall’elevato impatto clinico ed economico della patologia meningococcica invasiva, risultando in un profilo di costo-efficacia favorevole. I risultati di questo report HTA forniscono un prezioso supporto per i decision makers nella valutazione dell’estensione della vaccinazione anti-meningococco B agli adolescenti per rafforzare la lotta globale verso la malattia invasiva da meningococco e per garantire una equità di trattamento, accesso e allocazione delle risorse sanitarie su tutto il territorio nazionale.