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Il contributo evidenzia l'alterità "anarchica" del tardogotico, in riferimento a Pisanello e alla recente mostra monografica di Mantova.

Le schede descrivono e analizzano otto manoscritti della Biblioteca Malatestiana di Cesena, in rapporto alla mise en page della loro decorazione, in parallelo alle stesse tipologie presenti in codici danteschi. Si va da decoratori anonimi dell'XI secolo alla scuola bolognese del XIV, fino a Michelino da Besozzo.

Il contributo propone un breve excursus sul tema dell'animale nell'arte visiva, nel quadro dei recenti spunti di metodo degli animal studies. Si parte dai bestiari medievali e dai tacuina sanitatis, per passare da Caravaggio e terminare con alcuni esempi contemporanei, tra simbolo e raffigurazione.

I manoscritti, due bibbie e un evangeliario dei secoli XII e XIII, sono descritti analiticamente, con riguardo specifico al commento.

La scheda analizza le carte miniate del XV secolo presenti in un manufatto librario a stampa ottocentesco, col commentario dantesco di Guiniforte Barzizza.

Il contributo analizza alcuni casi in cui la rappresentazione artistica assume un carattere politico, in rapporto alla pratica alimentare. Si parte da una pubblicità che rimanda a un aneddoto relativo a Canova, per passare alle immagini che mostrano (o accompagnano fisicamente) dei banchetti reali, in una pratica di autocelebrazione (dalle Très riches Heures del duca di Berry sino alla corte inglese del XXI secolo), per arrivare all'esplicitazione della volontà e del potere politico dei Visconti tra XIV e XV secolo coi Tacuina sanitatis.

Il saggio analizza il rapporto tra testo, commento e illustrazione come congegno di attivazione percettiva della pagina nei manoscritti danteschi del Trecento e del primo Quattrocento. In specifico, ci si sofferma su due esempi della prima generazione delle copie della Commedia, realizzati tra Bologna e Padova nel secondo quarto del Trecento.

Il contributo ripercorre la storia della copia di dedica del commentario dantesco di Guiniforte Barzizza ai Visconti, attuale ms. Italien 2017, di cui alcune carte – per motivi complessi e di grande interesse storico – sono finite inserite in uno stampato ora conservato a Imola. La decorazione del codice è dovuta al Maestro delle Vitae Imperatorum.

Il contributo analizza: (1) le tangenze tra i ricettari gastronomici e quelli pittorici del basso Medioevo; e (2) le similarità percettive e metodologiche tra la pratica del sommelier e quella del connaisseur artistico, in una chiave interdisciplinare.

Il contributo analizza un codice allestito da Sabadino degli Arienti, con una versione anonima della storia di Piramo e Tisbe; del manoscritto, andato distrutto durante la II guerra mondiale, ma di cui vengono analizzate le immagini presenti inn alcune pubblicazioni di primo Novecento mai prese in considerazione, si studia la grafia e la rilevanza nel percorso del suo autore (Sabadino: Gilda Mantovani) e la decorazione miniata (Fabrizio Lollini), opera di grande importanza di Martino da Modena, il celebre miniatore di ambito ferrarese, qui ai debutti della sua carriera, e che appone anche la sua firma.

Il contributo analizza la questione della tipologia decorativa umanistica dei bianchi girari, in generale, sulla base delle differenti posizioni critiche recenti. Considera poi alcuni esempi di particolare rilevanza antiquariale tra i codici eseguiti per Malatesta Novello nel XV secolo, e oggi nella Biblioteca Malatestiana.

Si descrivono i contributi presenti nel volume.

Il testo analizza la cosiddetta Bibbia Hamilton, miniata da Cristoforo Orimina, presente raffigurata all'interno del dipinto di Raffello "Ritratto di papa Leone X coi due cardinali", cercando di mettere in evidenza la specificità della scelta, e connettendola al gusto librario di Leone X, noto conoscitore e committente di codici miniati. Il tentativo è quello di ricostruire il gusto e le istanze delle volontà di autorappresentazione che il papa Medici legava alla decorazione libraria.

L'articolo descrive ed analizza le raffigurazioni presenti sul taglio dei libri conservati all'Archivio Storico del Monte di Pietà di Bologna, quasi tutti registri dell'istituzione. Pur di non eccelsa rilevanza stilistica, il corpus, molto coeso, è di grande interesse dal punto di vista tecnico e iconografico.

Il testo analizza le scene del calendario del libro d'Ore di Carlo VIII, ora alla Fondazione Cini di Venezia, ed opera del miniatore lombardo Birago, attorno al 1494. Il codice fu commissionato dalla corte sforzesca per essere donato al re di Francia, e presenta una serie di immagini che aprono possibilità di indagine sulla produzione agricola e il consumo alimentare del tempo nella zona.

Il testo prende in considerazione la presenza in alcuni dipinti di Giovanni Bellini e di Andrea Mantegna di conigli, che mostrano non solo di arricchire con episodi curiosi il paesaggio delle opere, ma di svolgere una funzione specifica, quella di attrarre e concentrare lo sguardo dello spettatore sulla scena principale, secondo una modalità di catalizzazione dell'attenzione ben nota alle fonti.

Il contributo analizza la raffigurazione dei demonio nel ciclo di arazzi della chiesa di Montpezat de Quercy, in Francia. Si prende in considerazione la specificità delle iconografie che riguardano il Nemico per definizione nelle scene della Vita di San Martino, in relazione alle tematiche devozionali e teologiche, e alla funzione specifica di questa importante serie di arredo liturgico.

Rispetto al tema generale del convegno, enunciato dal sottotitolo del volume e riferito alla questione della distruzione dei murali di Blu a Bologna dell'11 marzo 2016, il testo propone una riflessione sullo status del palinsesto e dei rifacimenti (o annullamenti) pittorici nell'arte medievale e rinascimentale in senso cornologicamente trasversale. Vengono presi alcuni esempi – da Santa Maria Antiqua a Michelangelo – cercando di porre in risalto da una parte le motivazioni sottese alle coscienti mutazioni conservative delle pitture murali, dall'altra la continuità di certe costanti, fino appunto al mondo contemporaneo, anche in riferimento al dibattuto tema della musealizzazione.

Il testo presenta alcuni esempi metodologici di raaporto tra il cibo e le arti visive

Il saggio si occupa della percezione odierna di alcuni fatti dell'arte religiosa medievale e rinascimentale. Si prendono in esame Maso di Banco e Masaccio nelle loro stratificazioni devozionali e percettive.

L'articolo prende in esame la rappresentazione della vite nei tacuina sanitatis, e ne considera le immagini 'iconiche' e 'performate'. Si passa poi a uno studio comparato delle raffigurazione del vinum negli stessi tacuina, suddividendo le immagini tra le differenti tipologie proposte da questi manuali scientifici, e notandone la frequente genericità e incongruità, che si spiega col riciclaggio di modelli.

Il contributo analizza alcuni momenti di iconografia alimentare a Bologna, dal XIV al XX secolo. In particolare, si riafferma l'importnza locale sulla raffigurazione degli alimenti di Cristoforo da Bologna, pittore locale del Trecento; di Antonio da Crevalcore, restauratore della tipologia della natura morta; e soprattutto, ovviamente, dei Carracci, e soprattutto di Annibale, nell'ottica della sua ricerca del 'naturale' e del 'verisimile'.

Lo studio presenta un manoscritto inedito, appartenente alla tipologia dei dogali (i documenti ufficiali veneziani di carattere istituzionale), oggi conservato alla Biblioteca dell'Archiginnasio di Bologna. Il codice, la promissione dogale di Leonardo Loredan, è attribuibile all'ambito del 'Miniatore del Canzoniere Grifo', uno dei principali protagonisti della miniatura veneziana tra Quattro e Cinquecento. Al medesimo contesto pertengono poi altri due codici legati a Loredan (la descrizione della sua cerimonia di insediamento, e un panegirico), entrambi ora a Baltimore.

Il contributo prende in esame l'effigie del cardinale Albornoz dipinta nella Sala Farnese di Palazzo Comunale a Bologna, all'interno di un ciclo complesso e di alto significato politico-istituzionale, coordinato da Carlo Cignani ed Emilia Taruffi, autore anche della scena analizzata nel saggio. La sua importanza è legata all'azione documentata del cardinale a favore della città, soprattutto in rapporto al suo ruolo nella riapertura e nella ridefinizione del tracciato delle via d'acqua, così importanti per l'economia locale.

Nel testo si analizzano alcuni cicli scolpiti dei Mesi (soprattutto quelli di Parma e Ferrara), in relazione alle pratiche agricole da loro illustrate.

Si confrontano le figure di Stultitia e di Prudentia nella cappella Scrovegni dipinte da Giotto a Padova, e le si considera dal punto di vista iconografico, in rapporto ad alcune tipologie mediche, e in relazione all'elaborazione della tipologia iconologia della "Malinconia".

Il testo presenta la lettura di una serie di scritte presenti (a) nel polittico di Giotto nella Pinacoteca Nazionale di Bologna; (b) in alcune tavole del gruppo del cosiddetto 'pseudo Jacopino' nella stessa sede; (c) in una miniatura del 'Maestro del Breviario Francescano' della Biblioteca Malatestiana di Cesena. Si effettua una selezione di metodo tra scritte dichiarative, esplicative, di commento o di altro genere.

Si presenta il libro di Paolo Cova, illustrando alcuni aspetti di metodo sulla ricerca della produzione artistica di committenza templare e ospitaliera.

Il testo analizza due Bibbie del 'Maestro di Imola', miniatore bolognese della fine del Duecento, esponente della 'variante romagnola' del primo stile felsineo. Ne viene chiarita la cronologia, e vengono illustrati alcuni aspetti iconografci legati alla committenza dei due codici.

Si descrivono le tangenze culturali che interessano l'opera dell'artista turco Murat Palta, in relazione al suo progetto di riproposizione di stilemi ottomani a illustrare immagini cinematografiche contemporanee

Il testo analizza le differenti possibilità di rapporto tra il cibo e le arti, soprattutto in relazione agli aspetti non illustrativi: organizzazione del lavoro, standard qualitativi, modalità di cllaborazione; tratta poi alcuni casi di progetti artistici contemporanei sul tema

This study analyzes two illuminated cuttings attributed to the Bolognese artist Nerio (end XIII – beginning XIV century); both describe the scene of the visit of the ‘three Marys’ to the tomb of Jesus Christ, according to the different versions we can find in the four Gospels. More in particular, the analysis focuses on a very tiny – and almost hidden – character, who can perhaps find an explanation in our written sources.

Il contributo rende noto un manoscritto miniato della Biblioteca dell'Università di Liegi, realizzato tra i ducati estensi di Borso ed Ercole a Ferrara, probabilmente dalla fine degli anni Sessante del XV secolo. La ricca decorazione miniata è facilmente attribuibile a Martino da Modena, di cui chiarisce alcune fasi del percorso iniziale della sua carriera.

Nel banchetto e nella descrizione della sua ritualità si incrociano significati stratificati di valori sociali e sacrali compositi, che insieme vanno a costituire una sorta di “alchimia simbolica” che trasforma ciascuna di queste descrizioni in una mappa preziosa per capire quali fossero gli schemi di comportamento propri di quei sistemi sociali , fossero realmente agiti o no. In quest'ottica, il contributo propone l'analisi delle fonti letterarie che raccontano i banchetti regi di età carolingia, ponendoli a confronto con quelle di età post-carolingia, che evidenziano come, anche attraverso l'uso della simbologia del banchetto, si potesse descrivere la caduta nel "chaos" del sistema politico istituzionale che faceva capo ai re.

Un percorso figurativo sulla rappresentazione del pane nell'arte dal secolo III al VI

C’è un nesso, logico e narrativo al tempo stesso, che non si finirà mai di considerare fondamentale, nella nostra come in altre culture: è quello fra mangiare e viaggiare, gustare preziose ghiottonerie e incontrare in nuovi luoghi altre popolazioni. Certo, c’è la cucina di casa, le tradizioni gastronomiche locali, il chilometro zero. Ma sono per lo più invenzioni leggendarie, o quanto meno turistiche. E ci sono tante persone che per tutta la vita ingurgitano sempre la stessa cosa, di modo che la minima variazione di gusto le mette in crisi peggio che l’imbattersi in un idioma sconosciuto. Ma sono soggetti da guardare con allarmato sospetto, poiché sempre pronti a garantire la sedicente – e fraudolenta – superiorità genetica delle loro immense idiosincrasie. La cucina, popolare prima che aristocratica, è invece pratica civile che lotta incessantemente contro il tempo e lo spazio, destagionalizza e delocalizza a più non posso: prima ancora che il famigerato passaggio dal crudo al cotto, c’è l’assaggio di un frutto estivo in inverno o di un aroma orientale nelle steppe del Nord. Così la storia si muove alla ricerca di sapori nuovi: l’Eldorado era fatto più di spezie che di metalli.

Tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, il mondo orientale, africano o più esotico, diviene un terreno di invenzione in cui gli scenografi, come tanti artisti del tempo, mischiano le conoscenze archeologiche con l’ecclettismo dell’immaginazione. E forse, sono proprio le vicende ambientate fuori dall’Europa quelle in cui meglio è possibile scorgere le caratteristiche della sensibilità di Antonio Basoli (1774-1843) e l’attenzione che egli riserva agli stimoli culturali della sua epoca e al nascente esotismo, inteso come attrazione esercitata da un passato lontano che può, per similitudine o opposizione, divenire modello per l’occidente. Basoli sente forte il fascino dei mondi lontani leggendo le fonti, che saranno indagate attraverso documenti inediti, che circolavano in Europa; ma questa fascinazione svela una profonda ambivalenza: è l’occhio di un artista dell’Occidente che interpreta la cultura artistica orientale con strumenti linguistici ancora legati ai canoni di una scienza prospettica, forse incapace di cogliere una percezione visiva del tempo e dello spazio profondamente diversa. Infatti, nelle tavole che conservano la memoria dei suoi allestimenti (Il tempio d’Osiri in Egitto, Piazza cinese, Pagoda indiana, Un serraglio di Sidi-Ali in Algeri, Tempio del Sole a Cuzco, ecc.) si può apprezzare la scrupolosa cura nel documentarsi circa usi, costumi e monumenti dei popoli e paesi dove si svolgono le storie che metterà in scena; nello stesso tempo si può notare, tuttavia, come non si trasformi mai in puro esercizio filologico, in quanto l’immaginazione permette a Basoli di scegliere tra le fonti iconografiche a sua disposizione, in modo tale da isolare alcuni caratteri particolarmente significativi che vengono assunti come cifra di un determinato ambiente. Nell’individuare gli elementi architettonici che permettono allo spettatore di riconoscere il luogo fisico in cui è ambientata la vicenda, lo scenografo, tuttavia, isolandoli attraverso un cannocchiale prospettico, ne ignora lo spazio antropologico rischiando di violarne l’identità. Between the end of the 17th century and the beginning of the 18th century, the Oriental world, both the African and the exotic one as well, becomes a land of inventions where set designers, as many artists of that time, mix their archeological knowledge with the ecleptism of imagination. And perhaps, it is easier to catch the features of Antonio Basoli's sensitivity in the events set out of Europe as well as the attention that he points out in the cultural incentives of his period and in the growing exoticism, meant to be an attraction carried out by a far away past which can, either for simile or opposition, become a pattern for the Western world. Basoli deeply feels the fascination of far away worlds by reading the sources, which will be searched out trough unpublished documents that where already circulating in Europe; however, this fascination reveals a strong ambivalence: it's the mind of a Western artist who interprets the Oriental artistic culture trough linguistic devices still bound to the rules of a prospective science, which is maybe unable to get a visual perception of time and space extremely different. As a matter of fact, in the panels that keep that memory of his exhibitions (The Temple od Osiris in Egypt, The Chinese Square, The Indian Pagoda, The Sidi-Ali menagerie in Algeri, The Temple of the Sun in Cuzco, etc.), you can appreciate the detailed attention he paid to research traditions, customs and monuments of the people and the countries where the stories he displays are set. In the meantime you can notice, however, how that never turns into philological practice, as imagination allows Basoli to choose among the iconographic sources he has at his disposal, in order to isolate some particularly meaningful features which will be understood as a deal of a specific environment. By identifying architectural elements which allow the visitor to recognize the physical place where the story is set, the set designer, although he isolates them through prospective binoculars, he ignores their anthropological space, risking therefore violating their identity.

Sull'annoso tema di Arte pubblica, di Arte di strada, di Graffitismo ecc., dalle manifestazioni concertate a quelle illegali ed invasive: stante ancora una opaca indecidibilità e dal punto di vista giuridico e da quello estetico, occorre cercare una scala valoriale che non dipenda da pregiudizi vieti nè da imposizioni intellettualistiche. E occorre chiedersi se l'arte di strada nella sua più ampia accezione ma limitandosi a quella spontanea e dunque priva di committenza, debba e possa essere diretta verso la conservazione quando se ne verifichino i presupposti. O se la conservazione, quali che ne siano i modi, implica automaticamente uno svilimento del concetto ed eventualmente una resa al mercato. Si saggia l'applicabilità di una scala di valori formulata da Riegl più di un secolo fa (ma di soprpendente tenuta perchè basata sulle aspettative e della gente comune e delle persone avvertite) a livello euristico per comprendere e stabilire valore artistico e/o storico del monumento. On the long-standing theme of public art, street art, graffiti, etc., from concerted to illegal and invasive demonstrations: still an opaque undecidability and from a legal and aesthetic point of view, we must look for a scale of values that does not depend on prejudices neither nor intellectualist impositions. And we must ask ourselves if street art, limiting itself to spontaneous art and therefore devoid of commission, should and can be directed towards conservation when the conditions are met. Or if conservation, in whatever way, automatically implies a debasement of the concept and eventually a return to the market. The aim is to test the applicability of a scale of values formulated by Riegl more than a century ago (but with an overwhelming hold because it is based on the expectations and expectations of ordinary people and those who are aware of it) at a heuristic level in order to understand and establish the artistic and/or historical value of the monument Translated with www.DeepL.com/Translator

Il trasporto del cibo è un problema con cui l'uomo ha dovuto sempre confrontarsi. I mezzi e l'organizzazione commerciale della fine del Trecento, hanno permesso per la prima volta un vero e proprio commercio di massa di molti beni, fra cui, appunto, le derrate alimentari, da quelle più povere a quelle più preziose. I registri dei dazi di Bologna sono testimoni di un traffico internazionale di moltissimi cibi e spezie, destinati all'uso locale, ma anche all'esportazione verso le regioni del Nord Europa. Seguendo il trend dei prodotti lungo gli anni coperti, sarà possibile scoprire quali di questi prodotti fossero maggiormente ricercati e desiderati, aprendo la strada a future ricerche in merito all'evoluzione del gusto nell'Europa Tardo Medievale.

Non esiste più, a partire dalla fine degli anni Novanta del Novecento, soltanto il tipo della cantina vinicola, con la vendita e conservazione del vino, affidato alle uniche regole termiche e igrometriche dei locali, al dispositivo della lavorazione dell’uva e della fermentazione del vino, alle consuetudini edili ed economiche per delle risposte immediate e logiche alla sua costruzione. Ogni “tipo” perde autorità formale e identità storica dopo la crisi del Post-Modern, per rinascere trasfigurato nella sua sostanza espressiva, in sembianze inedite, imponendosi, nel caso delle cantine vinicole, quali nuove forme di arte immerse nei paesaggi delle campagne, dagli Stati Uniti all’Europa. Così quella che era una nuova costruzione, sovente anonima, annessa alle proprietà storiche, ora diventa il pretesto per la creazione di un’opera eccezionale, che diviene quasi l’etichetta visibile nel paesaggio agreste di un produttore di vino. Nasce un genere di opera d’autore, dalla serie limitata, e di cui vengono incaricati gli studi professionali più in vista, in modo da garantire non solo una costruzione funzionale, ma anche una architettura in grado di diventare lei stessa oggetto di pellegrinaggio di un turismo agricolo ed enologico

Il capitolo è dedicato al tentativo di sistematizzare la varietà di produzioni televisive contemporanee dedicate al cibo. In un panorama così complesso e ricco si propone una lettura dei palinsesti televisivi che si muove prevalentemente sull’asse del genere, etichetta utile allo spettatore, ma anche alla produzione, per orientare scelte di consumo e dieta mediale. Il contributo si sviluppa a partire da una breve ricognizione del ruolo del cibo nella televisione italiana fin dalla sua nascita, ripercorrendo alcune esperienze che costituiscono dei punti fermi nella storia e nella evoluzione del cibo in TV nel nostro Paese. Il saggio prosegue con un approfondimento relativo ai generi televisivi e alla Lifestyle Television, per arrivare a una proposta di tassonomia dei programmi di cucina che prende le mosse dal concetto di ibridazione. Infine, si arriva a valutare il ruolo di queste produzioni nella esperienza mediale dei telespettatori.

Le modalità, il significato e l'intenzione che sostanziano l'atto del mangiare in scena, oggi, possono essere molteplici. Questo saggio tocca un panorama decisamente ampio e denso circoscrivendo il campo di osservazione, ovvero prendendo in esame alcuni spettacoli appartenenti all'ambito della danza teatrale contemporanea, nei quali il cibo prende particolare rilievo. Non considera né il cibo “indossato” in scena, che pure è sicuramente una modalità ben presente, né la via che, nell'intensificare l'esperienza sinestetica dello spettatore e nel prendere come assodata la frantumazione della separazione tra palco e platea, vede il pubblico impegnato nell'atto del mangiare cibo “messo in scena”; si occupa invece di alcuni esempi di spettacoli realizzati in Italia tra l'inizio degli anni Novanta e oggi, in cui il cibo viene morsicato, masticato e inghiottito dagli stessi danzatori, che si trovano così a offrire alla vista degli spettatori una sorta di “sottocoreografia” che, non facilmente gestibile da chi è alle prese con la “macrocoreografia” del corpo in movimento, è portatrice di una preziosa apertura verso un altrove che si aggiunge e si mescola all'azione, aprendo, a chi sta “mangiando con gli occhi”, un'ulteriore via per sentire la danza.

La recensione analizza, dal punto di vista storico artistico e storico alimentare, il contenuto del volume sulla natura morta nella collezione fotografica di Federico Zeri; contiene alcune osservazioni sul possibile impiego come fonte storico alimentare dei dpinti in esame nella pubblicazione.

Data la specificità degli oggetti in questione, le schede compongono quasi una piccola monografia sul Maestro del Breviario Francescano, un anonimo miniatore lombardo attivo dagli anni Quaranta alla fine degli anni Cinquanta dela XV secolo; erede della tradizione di Michelino, il miniatore dispiega un catalogo abbastanza ampio, in cui si distingue la serie dei corali realizzati per il cardinale Bessarione, da cui provengono alcuni dei frammenti ora presenti nalla raccolta veneziana.

La scheda si propone come un breve saggio in cui si analizza la produzione romagnola della miniatura di fine XIII secolo in rapporto al coevo contesto bolognese. In particolare si analizza la produzione del 'Maestro di Bagnacavallo', autore principale della Bibbia in quattro tomi oggetto della scheda, conservata alla Bibkioteca Malatestiana di Cesena

Il repertorio analizza tutte le sezioni miniate presenti nei manoscritti e negli stampati antichi della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, spaziando dalla miniatura romanica a quella del primo Cinquecento.

Si riunisce e si commenta una decina di dipinti europei sul tema della "macelleria", cercando di indagare le categorie culturali sottese al discorso visivo (mercato, teatro, sacralità del sangue, anatomia ...) che permettono al pittore nuove ricerche volte a esplorare la vita quotidiana dei mestieri.

Il testo analizza un esempio di miniatura di primo Novecento dovuto a Venturino Minardi, noto artista soprattutto nel settore della ceramica, che riprende in modo letterale le decorazione librarie quattrocentesche dei codici della Biblioteca Malatestiana di Cesena.