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La pandemia ha creato un enorme ostacolo: nessun evento aperto al pubblico e parziale interruzione della vecchia catena dello storytelling della moda. Il settore della moda coinvolge molti campi professionali, un’estensione globale, un enorme valore economico che in Italia genera un settore correlato che vale la seconda voce del PIL. Il lockdown ha accelerato la trasformazione digitale portando le imprese a dover ripensare la storia e la rappresentazione della moda, ridisegnare le visioni e interrogarsi sul futuro. Pertanto, tutti i brand della moda hanno dovuto ripensare non solo le strutture organizzative interne, ma anche il modo di raccontarsi e i luoghi dove farlo. La letteratura scientifica presenta contributi limitati che indagano la funzione dello storytelling negli eventi legati alla moda al netto dell’attuale scenario digitale e omnicanale. L’obiettivo del presente studio è comprendere in che modo il digital storytelling, anche in un settore esclusivo come quello della moda, può contribuire a far vivere al consumatore un’esperienza unica ed autentica, connettendo brand e consumatori in un modo che questi ultimi si sentano sempre più coinvolti e ingaggiati con i brand. Attraverso la conduzione di interviste semi-strutturate con alcuni esperti di comunicazione, operanti nel settore della moda, si è indagato come il processo di storytelling sia entrato in un evento totalmente digitale per la prima volta come la Milano-Fashion Week. Lo studio contribuisce alla letteratura e alla prassi aziendale fornendo interessanti insight su come lo storytelling sia uno strumento utile ai brand per suscitare desiderabilità e trasmettere un’emozione verso i consumatori finali da un lato e, dall’altro, strumento utile al consumatore per esprimere se stesso attraverso il brand.

Partendo dall’esame di alcuni contributi di Francesco Parrillo, compresi in un arco temporale che va dal 1983 al 1999, sul tema delle PMI (anche nei suoi riflessi finanziari), l’articolo propone una attualizzazione di quella riflessione per interpretare la realtà del sistema produttivo italiano nella seconda decade del nuovo millennio. I temi emergenti sono legati alla vitalità delle medie imprese, alla nuova manifattura digitale, ad una maggiore attenzione per la diversificazione delle fonti di finanziamento. A fronte di questi spiragli, permangono alcuni nodi critici strutturali come le difficoltà della maggior parte delle imprese, segnate dalla ridotta dimensione, la loro sottocapitalizzazione, i modelli superati di governance, che, a livello macroeconomico, comportano bassi livelli di produttività. Al riguardo viene condotta un’analisi econometrica per testare l’ipotesi che una “soluzione” possa venire da reti d’impresa che collaborano su progetti mirati di innovazione (e/o internazionalizzazione). Starting from an accurate selection of contributions written, in the 1983-1999 period, by Francesco Parrillo on SMEs (also in its financial implications), the paper proposes to contextualize its analysis in recent times, in order to interpret the modern nature of the Italian productive system. Emerging relevant topics arerelated to the dynamism of Medium-sized firms, the new digital manufacture, and to the diversification of funding sources. However, critical issues still remain, such as small dimension, undercapitalization, outdated governance, which imply low productivity levels. In this regard, we propose an econometric analysis to test the hypothesis that a “solution” can come from business networks with firms that collaborate on targeted innovation (and/or internationalization) projects.

In recent years, food wastage become a top-priority issue in western countries, calling for collective efforts for the waste reduction. In this scenario, food sharing platforms emerge as digital solutions to quickly reallocate food surpluses among society engaging players at different level of the chain and reconfiguring the consumption-production system. A multiple case study was carried out interviewing four Italian food sharing platforms’ founders in order to analyze the business model adopted and the reasons why food sharing is not a widespread phenomenon in Italy. Findings suggest that Italian food sharing platforms have different business model and they pursue different aim. Moreover, the study highlights the existence of three difficulties to spread the food sharing platforms in the Italian market, namely cultural barriers, economic problems, and legislative obstacles. From a managerial point of view, this research provides some recommendations for who wants to launch a food sharing platforms in Italy, describing successful business models and showing the challenges to face in order to develop an effective food sharing platform

This article aims to understand if and how social networks’ marketing strategy could help real estate agencies to attract both homebuyers and home sellers. In particular, this paper investigates the reasons why real estate firms decide to use social networks and how these new media can be integrated in a synergistic way with other media and Customer Relationship Management (CRM) systems. A case study was carried out to analyze a real estate agency located in the Milanese area that represents a best practice since it was a pioneer of Facebook and Instagram in the real estate market. In line with previous research, this paper demonstrates that social networks are powerful tools to get in contact with potential customers, increase customers’ loyalty, enhance brand reputation and boost electronic word-of-mouth. However, findings highlight the new tendency of real estate agencies to adopt social networks in order to keep up with the times and reveal that they do not integrate social networks with other media and CRM systems to improve awareness, consideration, conversion, loyalty and advocacy. In this scenario, the paper provides some recommendations for marketers that may help them to build an effective marketing funnel in the real estate context.

In questo momento di grave crisi per il nostro Paese e per gran parte dell’Europa, tutti invocano la necessità che le banche finanzino le imprese e quindi la ripresa economica. Nonostante ciò, le banche non possono però finanziare tutte le imprese in modo indiscriminato: devono scegliere chi merita fiducia, distinguendolo da chi invece no. Questa decisione è facile solo nei casi estremi: quale banca ad esempio non concederebbe un prestito ad una Apple di casa nostra, capace di rendimenti a tre cifre percentuali e con una riserva di cassa pari al Pil di un piccolo stato europeo? Peccato che di aziende così ce ne siano poche. Altrettanto semplice dovrebbe essere decidere sul caso opposto: chi darebbe il denaro proprio, o dei propri depositanti o della Bce, ad aziende decotte, in perdita già al primo margine, senza prospettive in settori destinati ad essere travolti dalla globalizzazione? La capacità competitiva di una banca sta tutta nell’agire meglio dei concorrenti nel rapporto con tutte le imprese, e in particolare con le PMI che ne costituiscono la stragrande maggioranza in Italia, che si trovano nel mezzo tra questi due estremi. L’esperienza maturata sul campo al servizio di imprese e di banche piccole e dinamiche, ci suggerisce i seguenti ambiti di intervento: revisione dei sistemi di valutazione del rischio, con automazione delle fasi a basso valore aggiunto (e.g. data entry ed elaborazione di dati), e spostamento di tempo ed attenzione degli specialisti verso le attività di valutazione sostanziale del merito di credito, che si traduce anche in una valutazione di merito della capacità di una impresa di godere di un qualche vantaggio competitivo che ne assicuri la redditività nel tempo; miglioramento a questo fine della professionalità degli operatori dedicati a queste attività e delle strutture organizzative nelle quali operano; revisione dei processi organizzativi che portano alla valutazione del merito creditizio in modo da mettere al centro le esigenze del cliente, automatizzare e velocizzare le fasi di analisi, distinguere e coordinare in modo opportuno le attività commerciali e quelle di valutazione del rischio; mantenere monitorate nel tempo le aziende affidate in modo da percepire in anticipo i segnali di deterioramento o miglioramento della loro situazione, per valutare specifici progetti di investimento da queste individuati e per approfondire la conoscenza dei diversi settori industriali.

Recognizing internationalization as one of the more recently debated topics in the management field, this paper aims at investigating the influence of international R&D teams on companies’ innovativeness. More specifically, combining the transaction cost approach, the international product life cycle model, and the eclectic paradigm, an integrative research model with four associated hypotheses is proposed to study international R&D teams. Hypotheses are tested using data collected on a sample of 218 Italian companies with the aim of enriching the ongoing debate about the role of international R&D teams in sustaining companies’ innovativeness. The research shows that the number of international team projects, the number of R&D employees from foreign countries, and the number of meetings during the year for international knowledge sharing positively influence companies’ innovative outcomes. Accordingly, results emphasize the central role of knowledge contamination and collaboration for promoting companies’ innovation.

Social networks are a driving force of digital transformation and offer firms the opportunity to market products and services to both international consumers and providers, establish durable relationships with them, and improve their own competitiveness. The study analyzes the role played by the use of Facebook for online advertising, building interaction and brand communities, implementing social CRM activities, and conducting market research, as well as a sales channel alternative to physical presence, in firms’ international export performance, both in terms of managers’ perceptions and Facebook buy button conversion rate. A survey-based empirical analysis of 105 fashion firms operating worldwide was conducted. The results of multiple regression analyses show that building conversations and brand communities positively affects international export performance, while advertising via Facebook yields mixed results. By comparing firms that have a physical presence with those that do not, the former turned out to benefit from especially in-store advertising and promotions to enhance their Facebook buy button conversion rate; while the latter can improve their performance mainly by adopting outdoor and transit advertising and digital marketing. The research contributes to the existing body of knowledge on social media marketing and international business and, by adopting a firm-level perspective, provides interesting insights for practitioners since it allows to understand how to develop an effective Facebook strategy to succeed in foreign markets.

The paper analyzes three models in order to identify the causal combinations of social media usage and management that lead to an improvement of, respectively, brand awareness, brand reputation, and brand loyalty. Data collected from 268 managers operating in organizational units closely involved in marketing and communication activities have been analyzed using fuzzy-set qualitative comparative analysis (fsQCA). Different equifinal pathways emerge, highlighting some commonalities, as well as some specificities. Social media integration with other communication channels and dissemination of information collected through social media within the organization turn out to be two managerial practices with a relevant role in achieving higher brand awareness, brand reputation, and brand loyalty. Moreover, social media responsiveness appears to be crucial for enhancing brand loyalty. These results contribute to the branding and social media literature, providing also interesting insights for practitioners to understand how to strength brands in the social media era.

Despite the fact that social networking sites (SNSs) provide new opportunities for firms and brands, there is still a little understanding of how user-generated contents (UGC) and shopping-related research via Facebook (FB) affects brand loyalty intention in the luxury fashion context. The present work develops a conceptual model to empirically analyze how brand loyalty intention is affected by customers’ trust in a brand’s FB page, by their willingness to utilize brand’s FB page for shopping-related searches, and by three different types of UGC: peer recommendations, informational support and emotional support. In order to fulfill this aim, the study examines 277 Millennials and the Victoria’s Secret FB page. Structural equation model results reveal that online shopping-related searches, peer recommendations and social support have significant positive effects on customers’ trust. Moreover, the research points out a significant positive effect between customers’ trust and their brand loyalty intention, supporting marketers to better understand the role played by trusted UGC. The research provides interesting insights, for both academic and practitioners, because it contributes to the existing body of knowledge in the field of brand and social media marketing. Moreover, UGC, especially informational support, could enable firms to influence consumers’ behavior positively and to transform their brands’ FB pages into trusted ones.

Si capisce molto della trasformazione che la finanza ha avuto negli ultimi anni guardando al numero di laureati e specializzati in matematica, fisica e altre materie quantitative che hanno trovato posti d’oro e remunerazioni elevate nelle banche e nelle più importanti società finanziarie. Con il proliferare di prodotti finanziari sempre più complessi e sofisticati nella loro architettura e nelle modalità di funzionamento, al punto da richiedere quel genere di know-how più di ogni altro, la finanza è parsa diventare una “industria” autonoma, con i suoi prodotti, i suoi processi produttivi e una peculiare quanto sbalorditiva capacità di creare valore. Questa illusione è durata per qualche anno e ha prodotto forse alcune grandi ricchezze private ma un sicuro disastro pubblico. È giunto il tempo di ristabilire alcune verità fondamentali e di sfruttare l’occasione per affinare le capacità di analisi e d’intervento. Il punto di partenza di quest’articolo è semplice da enunciare: non si dà distribuzione (e tanto meno moltiplicazione) di ricchezza senza che questa sia prima prodotta. I numeri e gli algoritmi separati dalla conoscenza delle imprese e dei mercati nei quali queste operano sono solo pericolose astrazioni. Occorre trovare rapidamente il modo di riallacciare quel legame tra economia reale e finanza che si è spezzato innescando una crisi senza precedenti. Il metodo di i-Valuation che presentiamo qui risponde a quest’obiettivo evidenziando e analizzando le fonti ultime di creazione del valore per l’impresa, l’azionista, gli stakeholders e il paese, attraverso la costruzione di un ponte solido che collega la moderna teoria della finanza d’impresa, l’economia, la strategia e l’organizzazione aziendale. L’i-Valuation, in particolare, si sviluppa intorno a un modello originale di “catena del valore per l’azionista”, che ha nell’analisi dei processi di acquisto e perdita di valore degli intangibili il primo e fondamentale anello. Un sistema organico e scientificamente fondato di relazioni di causa/effetto collega queste fonti intangibili di valore alla dinamica (intensità, espandibilità/replicabilità e durata) delle cinque forme di vantaggio competitivo individuate in strategia: 1) attrattività del settore, 2) resource-based (risorse e competenze rare, non imitabili e di valore), 3) capacità dinamiche, 4) networks strategici, 5) sinergie.

i-Valuation mira a scoprire e analizzare le fonti ultime di creazione del valore per l’azionista attraverso la costruzione di un “ponte” solido che collega tra loro la moderna teoria della finanza d’impresa, l’economia, la strategia e l’organizzazione aziendale. Il volume si sviluppa intorno a un modello originale di catena del valore per l’azionista e assume come fondamento l’analisi dei processi di acquisto e perdita di valore degli intangibili. Un sistema organico e teoricamente fondato di relazioni di causa/effetto collega questi processi all’intensità e alla durata del vantaggio competitivo di impresa. Al centro del modello vi sono le cinque fonti di vantaggio competitivo che vengono analizzate e spiegate in modo piano e approfondito: effetto settore e barriere alla competizione; risorse rare, non imitabili e di valore; capacità dinamiche; network strategici e sinergie. L’ultimo passaggio collega il vantaggio competitivo a misure intrinseche (come, ad esempio, i flussi di cassa scontati, il profitto economico/EVA® e le opzioni reali) e di mercato (Market Value Added) del valore di impresa. In questo modo il volume può e deve essere utilizzato sia quando l’interesse prevalente è quello della valutazione di impresa e di intangibili specifici (come del resto richiesto anche dai nuovi principi contabili IAS-IFRS), sia come mappa per l’elaborazione di una strategia competitiva che miri alla generazione di valore per l’azionista. Si offrono quindi al lettore sia strumenti di management sia modelli di misura del valore. i-Valuation punta perciò a interessare un vasto numero di lettori: dai ricercatori impegnati in questo campo, agli studenti che devono potere imparare come finanza, strategia e organizzazione sono collegate tra loro nella generazione di risultati economici e nella dinamica competitiva, fino ai manager e agli analisti finanziari, che sicuramente beneficeranno di una prospettiva che privilegia il ragionamento multidisciplinare e la spiegazione chiara delle relazioni tra fenomeni complessi al rassicurante quanto elusivo uso delle sole formule di calcolo.