L’incipit della satira 8 di Giovenale è ricca di espedienti esemplificativi attraverso i quali il poeta si propone di spiegare all’interlocutore Pontico il non-valore della nobiltà nell’attestare la virtù di un uomo. I vv. 30-38 si innestano in questo apparato retorico con un exemplum in cui il mondo del mito è associato alla realtà sociale della Roma dell’epoca. In particolare i vv. 32-34 sembrano far riferimento alla pratica onomastica di attribuire nomi mitologici che evochino antifrasticamente determinate caratteristiche fisiche del portatore del nome. Si tratta di una pratica esterna all’onomastica ufficiale che agisce non per via eufemistica ma ironica, il cui uso, stando alle testimonianze letterarie, sembrerebbe confinato alla versione non mitologica (ad es.: Iuv. 3, 203; Prop. 4, 8, 41-42; Plin., Nat. 7, 74). Ma una proiezione della pratica onomastica dei nomi mitologici antifrastici si può cogliere in ambito extra-letterario: un mosaico del IV sec. d. C., conservato in una villa romana di Puente Genil (Córdova), presenta un caso di nome antifrastico mitologico perfettamente accostabile a Iuv. 8, 32-34. La reperibilità di questa pratica onomastica in versione mitologica in exempla utilizzati dagli antichi esperti di retorica (Ret. Her. 4, 46) suggerisce che Giovenale la usi, in concordanza con il contenuto fortemente didascalico dell’incipit della satira, per rendere ancora più chiara a Pontico la sua lezione sulla non-nobiltà e sulla virtus.