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2. Miglioramento della tecnica di coltivazione del carrubo nelle regioni marginali del Mediterraneo, messa a punto di attività vivaistica e impiego di funghi micorrizzici selezionati
- Author
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1 Cavallaro V. and 2 Quaddoury A.
- Subjects
micorrize ,micropropagazione ,carrubo ,attività vivaistica ,germinazione dei semi - Abstract
Il carrubo (Ceratonia siliqua L.), specie arborea appartenente alla famiglia delle leguminose, presenta una elevata rusticità e capacità di adattamento alle condizioni pedoclimatiche del bacino del Mediterraneo, dov'è largamente diffusa anche allo stato spontaneo. Queste sue caratteristiche, unitamente al valore economico dei suoi prodotti, utilizzati nell'industria agroalimentare, chimica, cosmetica, etc., la rendono adatta all'impianto in terreni marginali e submarginali anche in asciutto dove può costituire non solo un mezzo biologico di lotta ai processi di erosione e di desertificazione ma anche una possibilità di sviluppo. La coltura del carrubo inoltre, grazie alla sua capacità di salvaguardare ed arricchire la fertilità del terreno, contribuisce a migliorare l'insediamento di altre specie, risultando quindi particolarmente utile nel rimboschimento di aree difficili del bacino del Mediterraneo dove può rivestire contemporaneamente sia il ruolo di specie pioniera che produttiva. In Italia, dopo un periodo di relativo disinteresse nei confronti del carrubo, negli ultimi anni si è assistito ad una rinnovata attenzione per questa coltura. Per quanto riguarda le superfici, la Sicilia contribuisce per oltre il 90% alla produzione italiana stimata, negli scorsi anni, in circa 40.000 tonnellate (circa 1/6 della produzione mondiale). L'utilizzazione industriale delle carrube era sino a quarant'anni fa assai varia; l'Italia nel 1956 ne produceva 700.000 quintali, la principale utilizzazione era la produzione di alcool dalla distillazione della polpa di carrube, la restante parte di prodotto trovava impiego per l'alimentazione del bestiame e per la preparazione di un surrogato del cacao. Dagli embrioni dei semi inoltre si produce una farina gialla dall'alto potere addensante che riscuote ancora oggi un crescente interesse da parte dell'industria alimentare e dolciaria. In Marocco, la coltura del carrubo è cresciuta notevolmente negli ultimi anni fino a rendere questo paese il maggior produttore al mondo di granella e il secondo maggior produttore di baccelli dopo la Spagna (Aït Chitt et al., 2007). Al momento attuale tuttavia, l'estensione su larga scala della coltura del carrubo, trova una limitazione nei metodi tradizionali di propagazione che non riescono a soddisfare la domanda crescente di piante con caratteristiche bio-agronomiche di pregio. Il carrubo può essere propagato per innesto o per autoradicazione. In genere tuttavia, il carrubo si propaga per innesto perché l' autoradicazione di talee legnose, semi-legnose ed erbacee trova una forte limitazione nella scarsa capacità di radicare della specie. Non esistono al momento, portinnesti selezionati ed i semenzali, ottenuti da lotti di seme eterogenei, differiscono tra loro fortemente per il vigore, per lo sviluppo e per la resistenza al freddo. La germinazione dei semi, inoltre, può presentare diverse problematiche in relazione ai genotipi (Nejib 1995 ; Batlle et Tous, 1997). Anche la riuscita delle operazioni di rimboschimento risulta spesso limitata dalle difficoltà di ambientamento tipiche della specie in esame. La messa a punto di tecniche innovative per la propagazione su larga scala di cloni selezionati può contribuire grandemente alla creazione di un'attività vivaistica specializzata. La micropropagazione è attualmente considerata una delle tecniche più efficaci al fine della moltiplicazione massale delle piante. La propagazione in vitro del carrubo tuttavia, pur essendo stata studiata da diversi ricercatori (Carimi et al., 1997; El-Shafey et al., 1998; Romano et al., 2002 ; Vinterhalter and Vinterhalter, 2003; Jorge et al., 2006 ; Saidi et al., 2007; Vinterhalter et al., 2007; Hsina et Mtili 2009; Hakim et al 2010), presenta ancora alcune difficoltà che non ne permettono l'inserimento su larga scala. Tra queste, la recalcitanza del materiale adulto, la contaminazioni batteriche d'origine endogena, l'imbrunimento e non ultimo lo scarso tasso di ambientamento in vivo compromettono in parte la riuscita della coltura e necessitano di ulteriori studi ai fini del loro superamento. L'uso di funghi endomicorrizici è un approccio introdotto negli ultimi anni per rafforzare il potenziale di adattamento delle piante a condizioni difficili, per migliorare la loro sopravvivenza alle operazioni di ambientamento o di trapianto, per ridurre l'apporto di concimi chimici. Diversi studi infatti, hanno sottolineato l'effetto positivo della micorrizazione sulla sopravvivenza e la crescita delle plantule micropropagate durante la fase di ambientamento (Schultz et al., 1999; Wen-Ke Liu et Qi-Chang Yang 2008, Shailesh et Kothari 2007; Rupam Kapoor et al 2008), sull'assorbimento di acqua, sulla nutrizione minerale e sulla resistenza agli stress abiotici e ai parassiti in vivaio e in pieno campo. La micorrizazione può rappresentare pertanto una strategia chiave per aumentare la sopravvivenza delle piantine di carrubo al trapianto specie negli ambienti marginali. La collezione e la caratterizzazione di funghi micorrizici autoctoni, con caratteristiche specifiche di adattamento ad ambienti difficili, potrebbe contribuire a migliorare l'efficienza della simbiosi e può rappresentare un importante avanzamento sia nel campo della ricerca di base che applicata nella prospettiva di utilizzarli in miscela come biofertilizzanti-bioprotettivi stimolanti della crescita delle piante nell'ambito di un'agricoltura sostenibile sia dal punto di vista economico che ecologico. Sulla base di queste considerazioni, l'attività di ricerca prevede: 1) la messa a punto di tecniche in grado di favorire la moltiplicazione su larga scala della specie in esame, attraverso la messa a punto della tecnica di coltura in vitro a partire sia da espianti di piante mature che da plantule da seme. I genotipi di carrubo allo studio sono stati in precedenza selezionati in Sicilia e in Marocco per le caratteristiche produttive o di adattamento alle condizioni ambientali tipiche dell'ambiente mediterraneo. Nel corso del progetto inoltre, sui semi dei genotipi raccolti saranno effettuate specifiche prove per migliorarne la germinabilità e per valutare la resistenza agli stress abiotici durante la fase di germinazione al fine di un ulteriore selezione delle piantine madri da destinare alla micropropagazione. 2) La messa a punto dell'inoculo con funghi micorrizici attraverso: a) la raccolta e caratterizzazione di micorrize autoctone sul territorio marocchino e siciliano. b) la prima valutazione degli effetti dell'inoculo sull'attecchimento e l'accrescimento delle plantule vivaio e in pieno campo anche in relazione anche a condizioni di stress tipiche dell'ambiente mediterraneo.
- Published
- 2013
3. Sviluppo di un protocollo di propagazione in vitro del carrubo (Ceratonia siliqua L.)
- Author
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1)Cavallaro V., 2)Barbera A. C., 3) Qaddoury A., 1)Patanè C., 2)Maucieri C., 1)La Rosa S., 1)Di Silvestro I., 1)Pellegrino A., and Longo I.
- Subjects
carrubo ,Propagazione in Vitro ,Ceratonia siliqua L - Abstract
Il carrubo (Ceratonia siliqua L.), specie arborea appartenente alla famiglia delle leguminose, presenta una elevata rusticità e capacità di adattamento alle condizioni pedoclimatiche del bacino del Mediterraneo, dov'è largamente diffusa anche allo stato spontaneo. Queste sue caratteristiche, unitamente al valore economico dei suoi prodotti, utilizzati nell'industria agroalimentare, chimica, cosmetica, etc., la rendono adatta alla coltivazione in terreni marginali e submarginali anche in asciutto dove può costituire non solo un mezzo biologico di lotta ai processi di erosione e di desertificazione ma anche una possibilità di sviluppo territoriale. La coltura del carrubo, inoltre, grazie alla sua capacità di salvaguardare ed arricchire la fertilità del terreno, contribuisce a migliorare l'insediamento di altre specie, risultando quindi particolarmente utile nel rimboschimento di aree difficili del bacino del Mediterraneo dove può rivestire contemporaneamente sia il ruolo di specie pioniera che produttiva. Al momento attuale tuttavia, l'estensione su larga scala della coltura del carrubo, trova una limitazione nei metodi tradizionali di propagazione che non riescono a soddisfare la domanda crescente di piante con caratteristiche bio-agronomiche di pregio. Ad oggi, infatti, la propagazione del carrubo è condotta essenzialmente per innesto di marze selezionate di individui produttivi su portainnesto 'selvatico'. La propagazione per seme per la produzione dei portainnesti risulta particolarmente difficile per la scarsa germinabilità dei semi. Anche la propagazione per talea legnosa, semi-legnosa ed erbacea trova una forte limitazione nella scarsa capacità di radicare della specie. La messa a punto di tecniche innovative per la propagazione su larga scala di cloni selezionati può contribuire grandemente alla creazione di un'attività vivaistica specializzata. La micropropagazione è attualmente considerata una delle tecniche più efficaci al fine della moltiplicazione massale delle piante. La propagazione in vitro del carrubo, tuttavia, pur essendo stata studiata da diversi ricercatori (Sebastian e Mc Comb, 1986; Brugaletta et al. 2009, Vinterhalter et al., 2001), presenta ancora alcune difficoltà (recalcitranza del materiale adulto, contaminazioni batteriche d'origine endogena, l'imbrunimento e non ultimo lo scarso tasso di ambientamento ex vitro) che compromettono in parte la riuscita della coltura e necessitano di aggiustamenti specifici in funzione della varietà e, del tipo di espianto (Brugaletta et al., l.c.). Sulla base di queste considerazioni nell'ambito del progetto "Miglioramento della tecnica di coltivazione del carrubo per le regioni marginali del bacino del Mediterraneo, attraverso la messa a punto di un'attività vivaistica specializzata e l'impiego di funghi micorrizici selezionati" (Accordi bilaterali di cooperazione scientifica e tecnologica tra il CNR Italia e il CNRS del Marocco) sono state condotte una serie di ricerche volte alla messa a punto di tecniche innovative per la moltiplicazione su larga scala della specie in esame, attraverso la tecnica di coltura in vitro a partire sia da espianti di piante mature che da plantule da seme. Al fine di individuare la tecnica più efficace nel promuovere l'inizializzazione della coltura e la differenziazione dei germogli in vitro, sono stati posti allo studio, in una serie di prove successive, i seguenti fattori: 1. Composizione del substrato di coltura iniziale: S1 composto dai micro e macroelementi di Murashige e Skoog (MS), S2 con macro e microelementi di MS dimezzati; 2. Tecnica di sterilizzazione dell'espianto 3. Organo della pianta da utilizzare come espianto: germogli apicali, gemme dormienti con nodo, apici da plantule provenienti da seme in relazione anche a tre epoche d'impianto della coltura (21 Giugno, 30 Luglio, 30 Novembre). Relativamente al primo fattore allo studio, ad entrambi i substrati sono state aggiunte le vitamine di Morel (Morel and Wetmore, 1951), 100 mg l-1 mio-inositolo, 0,5 mg l-1 di 6-benzyladenina (BA), 0,05 mg l-1 di acido gibberellico (AG3), 20 g l-1di saccarosio, 2,5 g l-1 di gelrite (Duchefa, Olanda). Considerati i migliori risultati ottenuti col substrato S2, si è deciso di adoperarlo in tutte le altre prove. Relativamente al secondo fattore allo studio, sono state poste a confronto tre modalità di disinfezione degli espianti: a) immersione in una soluzione di ipoclorito di sodio al 2,5% di cloro attivo per 20 min. Nella prova di dicembre, considerato il modesto attecchimento nell'ipoclorito della prova di luglio, la dose di cloro attivo è stata ulteriormente ridotta (1,5% di Cl attivo); b) immersione in una soluzione di cloruro di mercurio (HgCl2, 2,5 g l-1) per 5 min. c) immersione per 5 min in cloruro di mercurio (2,5 g l-1) e successivamente in ipoclorito di sodio (NaClO, 2,5% di Cl attivo) per 20 min. La prova è stata avviata il 29 luglio e il primo dicembre 2012 in maniera da intercettare condizioni climatiche di prelievo profondamente diverse. Gli espianti (gemme dormienti con nodo) utilizzati nella prova di disinfezione appartenevano al genotipo Acireale, scelto per la sua produttività tra i genotipi in collezione presso il CNR-ISAFoM. In tutte le prove, dopo disinfezione, gli espianti sono stati lavati per tre volte sotto cappa in H2O sterile e quindi trasferiti in camera di crescita a 23±1°C ed illuminazione continua. Per ogni tesi sperimentale, replicata tre volte, sono stati impiegati 6 espianti. A 20 giorni dall'inizio delle prove, è stato rilevato il numero di espianti che avevano differenziato germogli normali, gli espianti imbruniti e la percentuale di espianti inquinati (da batteri o funghi). Tra i due substrati allo studio, i migliori risultati sono stati ottenuti mediante l'uso del mezzo contenente la metà dei macro e micro elementi di Murashige and Skoog (MS, 1962). Le plantule allevate sul substrato in parola mostravano infatti una significativa riduzione del fenomeno dell'imbrunimento. Nella seconda prova, nel trattamento che prevedeva solo la disinfezione con ipoclorito, è stata riscontrata una percentuale di germogli inquinati (contaminazione da funghi) pari al 40%. Tale risultato è da attribuire all'abbassamento della concentrazione dell'ipoclorito nella soluzione disinfettante effettuata allo scopo di aumentare la percentuale di sopravvivenza. Una percentuale trascurabile o nulla di germogli inquinati è stata riscontrata nel trattamento che prevedeva la disinfezione con cloruro di mercurio o con cloruro di mercurio seguito da candeggina in entrambe le epoche (Tab. 1). Nell'ultimo trattamento di sterilizzazione tuttavia la percentuale di germogli attecchiti è risultata nulla. Per quanto riguarda la scelta dell'espianto da utilizzare in vitro, indipendentemente dall'epoca di trasferimento in vitro, gli espianti provenienti dagli apici di plantule da seme hanno mostrato una percentuale di attecchimento del 100%, la totale mancanza di imbrunimento e di inquinamento anche dopo la semplice disinfezione per 20 minuti in ipoclorito (2,5%). Per quanto riguarda gli espianti provenienti da piante adulte, i migliori risultati sull'inizializzazione della coltura in vitro sono stati ottenuti con il trapianto di Giugno (58%) o di fine Novembre (42%) con giovani germogli (germogli apicali di giovani ramificazioni) rispetto ai nodi con gemma dormiente da rami più grossi e lignificati. Quest'ultimi infatti presentavano un elevato grado di imbrunimento sia del germoglio che del substrato. Ridotta è stata la percentuale (22%) di germogli attecchiti provenienti da espianti prelevati in piena estate (fine luglio). Le prove fin qui effettuate hanno consentito una prima messa a punto del processo di moltiplicazione in vitro di un genotipo siciliano di carrubo., Utilizzando quale materiale di partenza espianti di piante adulte, i migliori risultati sono stati ottenuti impiegando giovani germogli non lignificati, una soluzione di sterilizzazione a base di cloruro di mercurio a bassa concentrazione (2.5 g l-1) e un substrato contenente i macro e micro elementi di Murashige e Shoog (MS) dimezzati. Questi risultati concordano pienamente con quelli riportati da Brugaletta et al. (2009) su altri genotipi provenienti da diversi paesi del bacino del Mediterraneo. Romano e coll., (2002), utilizzando la dose piena di MS, avevano ottenuto espianti con formazione di callo alla base. La propagazione in vitro da apici di plantule da seme è risultata una tecnica particolarmente semplice ed efficace ai fini della rigenerazione in vitro di plantule di carrubo. Considerata la variabilità genetica associata a questo tipo di propagazione, quest'ultima potrebbe tuttavia risultare particolarmente interessante ai fini della produzione di portainnesti coevi. Sono in corso prove volte a ottimizzare la fase di moltiplicazione in vitro.
- Published
- 2013
4. Influenza della dimensione del culmo e del trattamento ormonale sullo sviluppo delle radici avventizie in talee mononodali di canna comune (Arundo donax L.)
- Author
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1) Cavallaro V., 2) Copani V., 1) Patanè C., and 2) Chiarenza G. L.
- Subjects
arundo donax ,trattamenti ormonali ,talea mononodali - Abstract
La canna comune, specie da biomassa per energia, può essere propagata esclusivamente per via vegetativa, utilizzando sia il rizoma che il culmo (Lewandowski et al., 2003). Entrambi i metodi presentano inconvenienti, nel primo caso di carattere economico a causa degli elevati costi di impianto, nel secondo di carattere tecnico per l'insoddisfacente insediamento soprattutto negli ambienti caldo-aridi mediterranei (Copani et al., 2010; Cosentino et al., 2010; Cosentino e Copani, 2011). E' stato osservato che in specie affini alla canna comune (Dendrocalamus spp), sostanze radicanti quali le auxine possono influenzare positivamente la differenziazione e lo sviluppo di radici avventizie nelle talee di culmo (Agnihotri e Ansari, 2000; Singh et al., l.c); questi effetti, tuttavia, sembrerebbero anche legati all'epoca del prelievo in campo (Singh et al., 2004). Nell'ambito del progetto EU Optima (Optimization of Perennial Grasses for Biomass Production), è stata effettuata una prova di laboratorio volta a valutare l'efficacia di ormoni diversi (acido naftanelacetico - NAA e acido indolbutirrico - IBA) e della dimensione del nodo sul miglioramento del tasso di radicazione di talee di culmo mononodali della canna comune. Durante la stagione invernale 2013, in due momenti successivi (22 gennaio e 20 febbraio), sono state prelevate canne mature differenziatesi nel corso della stagione di crescita 2012 dai cespi di un canneto del clone 'Fondachello' (Cosentino et al., 2006), insediato da oltre 15 anni a Catania, presso l'azienda didattico-sperimentale dell'Università degli Studi, contrada "Reitana" (20 m s.l.m., 37° 24' N, 15° 03' E). Dalle canne prelevate sono stati utilizzati i primi 17 nodi. Le talee contenenti un solo nodo (mononodali) misuravano 8 cm, cioè 4 cm sia al di sopra che al di sotto di ciascun nodo. Sono stati posti allo studio i seguenti fattori: - Trattamento ormonale [nessun trattamento - testimone, T; acido naftalenacetico (NAA); acido indolbutirrico (IBA)]. Entrambi gli ormoni sono stati utilizzati alla dose di 100 mg l-1. - Durata del trattamento: 24 e 48 ore - Dimensione della canna (diametro medio dei nodi dei culmi utilizzati): grossa (22,5 mm in media), piccola (14,9 mm in media). Il testimone è stato immerso in acqua per lo stesso intervallo di tempo (24 e 48 ore) dei trattamenti ormonali. Dopo il trattamento ormonale e per tutto il periodo di radicazione, separatamente per trattamento e ripetizione, le talee sono state tenute in posizione verticale in cilindri di vetro, con la base immersa in acqua distillata periodicamente sostituita. La temperatura dell'acqua è stata mantenuta costante a 23 °C + 1 mediante termostati. A cadenza settimanale, a partire dall'avvio della radicazione, sulle talee sono state rilevate alcune importanti caratteristiche della radicazione (numero di radici, lunghezza minima e massima di queste) e la lunghezza del germoglio). Dopo circa tre settimane in occasione del terzo controllo, le radici e i germogli sono stati staccati, posti in stufa a 105°C e quindi pesati. In questo lavoro si riportano i risultati relativi al rilievo conclusivo delle due prove realizzate a gennaio e febbraio, limitatamente a due caratteri: la percentuale di nodi radicati e il numero di radici per nodo. Tra i trattamenti allo studio, il diametro del nodo e in misura minore i trattamenti ormonali, hanno determinato effetti significativi sull'induzione alla radicazione delle talee mononodali della canna comune (tabelle 1 e 2). Il tempo di esposizione all'ormone, per contro, non ha determinato effetti significativi tanto nella prima quanto nella seconda epoca di prelievo. In entrambe le epoche, infatti, l'impiego di nodi più grossi rispetto a quelli più piccoli ha comportato un aumento della percentuale di talee radicate di quasi il doppio nella prima epoca di prelievo e del 50% nella seconda (77,8% contro 40,2% e 65,3% contro 43,3%, nell'ordine, per la canna grossa e per quella piccola). Nella media degli altri fattori allo studio, nel prelievo di gennaio, il tasso di radicazione del testimone non si è discostato da quello dei due trattamenti ormonali (59% nella media) ; nella seconda epoca di prelievo, il tasso di radicazione del testimone è risultato significativamente superiore a quello degli altri due trattamenti (65,5%, 43,6%, e 53,7% nell'ordine per testimone, NAA e IBA). Il numero di radici differenziate (tabelle 1 e 2) in entrambe le epoche di prelievo, è risultato maggiore nelle tesi trattate con ormoni rispetto al testimone. NAA, inoltre, ha determinato la differenziazione di un numero di radici significativamente superiore a IBA nella seconda epoca di prelievo (16,7 radici per nodo contro 8,4, rispettivamente). Relativamente alla dimensione della canna, tanto nella prima come nella seconda epoca di prelievo, in quella grossa è stato rilevato un numero di radici per nodo significativamente superiore a quello della canna piccola: 6,6 contro 4,3 radici per nodo nella prima epoca e 12,8 contro 6,8 radici per nodo nella seconda epoca, rispettivamente. Sono state rilevate, inoltre, delle interazioni significative tra il trattamento ormonale e la dimensione della talea (Tab. 2). Nell'ambito della prima epoca di prelievo,infatti l'NAA ha determinato una differenziazione di radici più elevata rispetto agli altri due trattamenti soprattutto nella canna grossa (10,8 radici per nodo nella canna grossa contro 8,0 nella canna piccola). Nella seconda epoca di prelievo, è stata osservata la stessa interazione tra NAA e l'impiego dei nodi più grossi sul numero di radici differenziate per nodo (23,6 radici per nodo nella canna grossa e 13,3 nella canna piccola). Inoltre, NAA ha determinato un tasso di radicazione superiore a IBA nella canna grossa (62,1% contro 58,3%, nell'ordine), mentre, nella canna piccola, è stato osservato il contrario (25,0% contro 49,2% nello stesso ordine). I risultati ottenuti in questa prima serie di prove fuori suolo con trattamenti effettuati su canne prelevate nel periodo invernale in due successivi momenti, indicano che l'uso di ormoni radicanti, alle dosi utilizzate in questa prova, non migliora il tasso di radicazione ma agisce positivamente sull'aumento del numero di radici differenziate. NAA si è rivelato più efficace di IBA nel favorire questa differenziazione; l'effetto di questo ormone è apparso, inoltre, particolarmente efficace nella canna grossa. La dimensione della canna si è dimostrata un fattore che influenza in maniera estremamente significativa il tasso di radicazione. Questo risultato, che merita un approfondimento, potrebbe essere attribuito alla differente riserva di elementi nutritivi utili ai processi di germogliazione e radicazione contenuti nella canna grossa rispetto alla piccola oppure alla differente maturità fisiologica conseguente al fatto che le canne grosse si sviluppano in primavera e quelle piccole nel corso dell'estate. Il proseguo della prova, che prevede prelievi mensili nell'arco di un anno e un aumento delle quantità di ormoni utilizzati, potrebbe consentire di chiarire ulteriormente le significative interazioni tra i fattori allo studio emerse da queste prove.
- Published
- 2013
5. Influence of different substrates on the in vitro rhizogenesis of early artichoke [Cynara cardunculus L. subsp. scolymus (L.) Hegi]
- Author
-
1)Cavallaro V., 2)Castiglione V., 1) Avola G., and 2) Finocchiaro E.
- Published
- 2003
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