Il progetto di ricerca s’incentra sullo studio della macrofauna rinvenuta nel sito paleontologico e archeologico di Poggetti Vecchi, scoperto nella località di Roselle situata in provincia di Grosseto. Nello specifico esso è stato focalizzato sulla ricostruzione paleoambientale e paleoecologica dell’area. L’analisi paleobiologica e tafonomica dei resti faunistici è stata perciò inserita all’interno di un progetto multidisciplinare e l’integrazione di tutti i dati paleontologici (relativi a vertebrati, invertebrati, macroresti vegetali e pollini) con quelli stratigrafici ha permesso di ricostruire dettagliatamente l’evoluzione paleoambientale. Nella seconda parte, lo studio paleoecologico è stato completato dalle indagini sugli adattamenti paleodietetici acquisiti dalla popolazione di elefanti della specie Palaeoloxodon antiquus che caratterizza questo sito. Lo scavo, avvenuto nel corso del 2012, ha messo in luce il ritrovamento di un importante sito preistorico, con abbondanti resti di mammiferi associati a manufatti litici e lignei (digging sticks). Il sito è situato nella zona orientale della pianura prossimale grossetana. Questa vasta pianura costiera è circondata da rilievi bassi Triassico-neogenici costituiti da depositi clastici e carbonatici. Si tratta di un bacino lacustre-palustre di lungo corso, in cui lo spesso riempimento Quaternario è formato da sedimenti sabbiosi e fangosi. Il substrato carbonatico sottostante è soggetto a fenomeni di carsismo e alla formazione di numerosi sinkhole. L’area è inoltre caratterizzata da numerose risorgive termali, la fratturazione e la foliazione del bedrock favoriscono l’emergenza locale delle acque termali sotterranee. Lo studio geologico della successione ha evidenziato la presenza di sette unità litostratigrafiche (U1-U7). I resti di vertebrati e gli strumenti sono stati rinvenuti principalmente nell’unità 2, si tratta di una sezione formatasi in un momento di sedimentazione scarsa o nulla. La sovrastante unità 4 è caratterizzata dalle pisoliti, prodotte per accrezione durante processi di precipitazione biochimica in acque termali calme. Esse sono state sottoposte a datazione radiometrica con il metodo della serie dell’uranio, datando perciò l’unità a 171 ± 3 ka. Una seconda datazione pari a 170 ± 13 ka è stata condotta su un molare inferiore sinistro di Bos primigenius, proveniente dalla medesima unità, usando il metodo ESR. Alla luce di questi dati radiometrici, le evidenze umane del sito possono essere attribuite all’uomo di Neanderthal mentre, l’origine e l’evoluzione dell’intera successione sono avvenute nell’intervallo compreso tra l'ultimo interglaciale MIS7 e tutto il glaciale MIS6; un periodo caratterizzato da frequenti fluttuazioni climatiche. La macrofauna era dominata da erbivori di grande taglia: principalmente P. antiquus (almeno 7 individui) e B. primigenius. L’insieme dei dati tafonomici e paleobiologici raccolti ha permesso di formulare alcune ipotesi sull’origine dell’accumulo fossilifero. Il ritrovamento di resti faunistici e manufatti associati pone l’interrogativo sullo sfruttamento umano delle faune, in questo caso degli elefanti, per caccia attiva o come azione di sciacallaggio di animali già morti. Tuttavia, gli altri siti del Pleistocene medio che testimoniano la caccia attiva sono generalmente costituiti da un solo individuo di elefante (e.g., Ficoncella, Notarchirico, Southfleet Road, Ambrona). Al contrario, il ritrovamento di più individui costituisce normalmente accumuli time-averaged generati da trasporto fluviale (e.g., La Polledrara di Cecanibbio). Alla luce di queste considerazioni, appare evidente che gli elefanti di Poggetti Vecchi costituiscano un caso senza precedenti. Diverse caratteristiche concorrono a escludere un’azione di caccia attiva, ad esempio la struttura ontogenetica che suggerisce la presenza di un clan famigliare (giovani, subadulti, giovani-adulti e adulti), i contatti osso-osso (il sedimento interposto tra le ossa è scarso o nullo) e l’assenza di segni di taglio e fratture a osso fresco riconducibili ad attività di caccia. Queste evidenze suggeriscono che tutti gli individui siano morti pressoché nello stesso momento a causa di un evento naturale. L’ipotesi di un’azione di caccia attiva e dell’uccisione di un intero clan famigliare appare, inoltre, poco plausibile considerando le dimensioni raggiunte da questi animali (oltre 4 m di altezza) e la tecnologia disponibile. Tra le possibili cause naturali sono stati esclusi gli eventi alluvionali, poiché solo una grande alluvione avrebbe potuto trasportare e ridepositare animali di queste dimensioni e le tracce di abrasione e lucidatura dovute al ruscellamento, seppure presenti su alcuni esemplari, non sono tali da giustificare un simile scenario. Inoltre, è stata scartata anche l’ipotesi di una colata fangosa, poiché sono assenti i sedimenti fini che normalmente sono associati a depositi formatisi in seguito a questo tipo eventi. L’eventualità di degassamento naturale tossico è stata esclusa per almeno due motivi: l’attività termale stabile nell’area è successiva alla deposizione dell’unità 2 e, inoltre, è difficile ipotizzare la morte simultanea nello stesso luogo di individui diversi per età, dimensione corporea e sesso. Alla luce di tutte queste considerazioni è stato ipotizzato che un’ondata di freddo intenso, oltre i limiti di tolleranza termica, abbia determinato la morte degli elefanti. Questa specie era, infatti, tipica delle aree boscose durante le fasi temperate, mentre era rara negli interstadiali più lievi che intervallavano le fasi fredde o nelle condizioni fredde di una fase stadiale; infatti, la sua occorrenza può essere considerata un buon indicatore di condizioni interglaciali. Probabilmente, le condizioni climatiche avverse hanno confinato gli elefanti nelle immediate vicinanze dell’unica fonte di calore, ossia le pozze termali che caratterizzano l’area; poi, una volta esaurito il cibo disponibile, essi sono morti di fame. Gli strumenti litici associati alle ossa sono ritoccati e le tracce d’uso evidenziano l’azione su tessuti molli; quindi sembra plausibile che le popolazioni locali di neandertaliani abbiano avuto accesso a una grande quantità di carne messa loro a disposizione dalle circostanze fortunate. Nel complesso: il basso impatto dei carnivori (pochi segni di masticazione, rosicatura e corrosione gastrica), l’assenza di modificazioni di derivazione umana e la bassa incidenza dell’alterazione meteorica suggeriscono che le carcasse fossero in gran parte inaccessibili ai predatori perché presumibilmente parzialmente sommerse dall’acqua. I resti scheletrici non sono in connessione anatomica, ovunque sono evidenti graffi e scalfitture riconducibili al calpestio e fratturazione avvenuta allo stato secco. Calpestio e calci sembrano essere stati prodotti da altri grandi mammiferi, presumibilmente altri elefanti, che hanno determinato la dispersione dei resti. La frequentazione dei luoghi in cui sono morti altri individui della stessa popolazione e il conseguente calpestio e rimescolamento dei resti ossei è stato evidenziato e studiato anche nelle popolazioni attuali di elefanti. Tale comportamento sembra essere connesso al forte psichismo di questi animali. Infine, la selezione di ampie porzioni di carcassa degli elefanti indica che è avvenuta la rimozione di alcuni elementi ossei (vertebre, coste, basipodiali e falangi) che potrebbero essere stati rimossi facilmente dall’acqua quando le carcasse erano già scheletrizzate. Tuttavia, non può essere completamente esclusa la rimozione da parte degli scavengers (carnivori e uomini). Infine, il letto fossilifero è stato colonizzato dalle radici delle piante acquatiche o sepolto da sedimenti pedogenizzati. L’evoluzione paleoambientale durante la deposizione delle diverse unità stratigrafiche è stata dettagliatamente ricostruita integrando i dati paleontologici (relativi a vertebrati, invertebrati, macroresti vegetali e pollini) con quelli stratigrafici. In sintesi, sono stati identificati quattro diversi eventi alluvionali separati da fasi regressive ed erosive. Durante le fasi alluvionali, i fanghi organici con caratteristiche fisico-chimiche omogenei sono stati depositi sul fundo di un lago poco profondo durante le fasi alluvionali. Al contrario, i resti di vertebrati e gli artefatti umani sono stati accumulati sulle superfici erosive formatesi durante le regressioni. La prima fase alluvionale ha prodotto una baia lacustre-palustre caratterizzata da sedimentazione terrigena (U1). In questa fase il fondo del lago era popolato da molluschi e ostracodi indicatori di acque dolci o leggermente saline (< 4 psu). Il primo episodio di disseccamento ha prodotto la superficie erosiva tra U1/U2; esso è stato sufficientemente lungo e tale da consentire l’accumulo di resti di vertebrati e manufatti. Un nuovo innalzamento tavola d’acqua e la deposizione di fanghi carbonatici che testimoniano l’inizio della risorgenza termale (unità 3). La formazione del deposito pisolitico (unità 4) suggerisce la formazione, durante il tardo MIS6 di pozze termali analoghe a quelle adesso presenti nell’area. Esse erano frequentate dagli elefanti e dagli altri mammiferi. Una nuova caduta del livello lacustre ha determinato la re-incisione dell’impluvio e il riempimento con ghiaia poligenica e clasti calcarei (U5). In seguito, una nuova fase alluvionale ha favorito nuovamente la formazione di una baia lacustre-palustre caratterizzata da sedimenti terrigeni (U6). Poi, un nuovo evento di abbassamento della tavola d’acqua ha prodotto una nuova fase d’incisione del fondovalle e conseguente formazione di una nuova baia lacustre. Infine, la composizione carbonatica dei fanghi dell’unità 7, testimonia lo sviluppo di attività termale stabile nell’area. Durante le fasi regressive ed erosive il paesaggio era dominato da vaste praterie, boschi radi, corpi d’acqua poco profondi e aree umide formate dalla risalita di acqua sotterranea. La datazione radiometrica e la stratigrafia dei depositi transgressivi e regressivi hanno permesso di eseguire un tentativo di sincronizzare la successione sedimentaria e i principali eventi climatici quaternari. I depositi transgressivi dell’unità 1 potrebbero essere stati deposti durante il sub-stage temperato MIS7a o durante l’interstadiale successivo alla transizione con il MIS6 (tra 200-191 ka). La formazione della superficie erosiva (unità 2) risalirebbe perciò all’inizio del MIS6. Le unità 3 e 4 testimoniano la transgressione lacustre e l’attivazione del sistema termale durante il primo interstadiale del MIS6 (circa 170 ka). La nuova fase regressiva (unità 5) sarebbe così avvenuta durante lo stadiale successivo; mentre la nuova transgressione lacustre (unità 6) corrisponderebbe al secondo interstadiale. Infine, i depositi dell’unità 7 potrebbero risalire al miglioramento climatico il culminato con il picco dell’interglaciale MIS5e. L’analisi paleontologica ha evidenziato che nel complesso la fauna a micromammiferi è dominata da Arvicola amphibius, un tipico abitante degli ambienti umidi. Tuttavia, mentre nell’unità 6 sono presenti tipici taxa indicatori di habitat temperati (Crocidura cf. suaveolens, Oryctolagus sp. e Microtus (Terricola) savii), nell’unità 2 abbonda Microtus cf. arvalis che costituisce un chiaro indicatore di come muovendosi verso l’alto nel corso della successione, le temperature siano diminuite. Infatti, le popolazioni italiane moderne di M. cf. arvalis sono limitate alle regioni settentrionali della penisola e sono assenti dall'Appennino centrale. Pertanto, la presenza nell’area meridionale della Toscana a quote molto basse è indice di condizioni più fredde rispetto a quelle oggi esistenti. Inoltre, in quest’unità diminuisce l’abbondanza relativa di M. (Terricola) ex gr. savii e sono assenti Crocidura e Oryctolagus. La macrofauna e l’erpetofauna rinvenute nell’unità 2, sono costituite da taxa termofili che ben si adattano alle oscillazioni climatiche avvenute tra l’inizio del MIS7a (regressione lago ed erosione sommità di U1) e l’interstadiale successivo (regressione del lago e deposizione U3-4). Anche il record della fauna a molluschi è compatibile con la tendenza al raffreddamento culminata con il massimo glaciale del MIS6, così come le specie di ostracodi che indicano chiaramente temperature inferiori di 6°C rispetto a quelle attuali. Oscillazioni stagionali, talvolta molto intense, possono ragionevolmente aver interessato l’area nel corso dell’intera successione; ciò suggerisce che un’ondata di freddo intenso, nel corso del periodo in cui si è depositata l’unità 2, potrebbe aver portato allo stremo la famiglia di elefanti poi morti di stenti. In conclusione, il periodo umido registrato intorno a 171 ka, cui si riferisce la datazione radiometrica assoluta calcolata sulla base dei sedimenti e dei resti fossili dell’unità 4, potrebbe ragionevolmente corrispondere al primo interstadiale glaciale del MIS6. Gli studi di paleodieta nei proboscidati presentano intrinseche difficoltà logistiche che possono essere facilmente intuibili considerando la complessa anatomia dei molari (con struttura modulare), la morfologia funzionale (ossia la meccanica di masticazione che modella costantemente la superficie occlusale) e, infine, il peculiare meccanismo di sostituzione per scorrimento orizzontale. Altre difficoltà riguardano l’interpretazione degli adattamenti dietetici, soprattutto quando si utilizza un solo metodo analitico; perciò l’analisi paleodietetica della popolazione di elefanti di Poggetti Vecchi e le derivanti speculazioni sulla ricostruzione paleoambientale sono state eseguite con un approccio multiproxy. Esso è stato basato sulla valutazione incrociata dei dati prodotti da: 1) analisi delle micro-tracce (microwear) presenti sulla superficie dello smalto dentario mediante basso ingrandimento (LDM); 2) determinazione del contenuto isotopico (δ13C e δ18O) nella bioapatite (smalto) e relativo calcolo del contenuto isotopico della paleodieta (δ13Cdiet) e dell’acqua ambientale (δ18Ow); 3) mesowear e 4) valutazione della tessitura superficiale attraverso i criteri della rugosità 2D, la valutazione statistica della complessità superficiale (mediante il calcolo della dimensione frattale che descrive i pattern geometrici complessi sfruttando la geometria non-euclidea) e l’identificazione della direzionalità delle micro-tracce superficiali. Il campione analizzato è costituito da 15 denti molari e include denti inferiori, superiori, appartenenti ad individui di entrambi i sessi e diverse classi di età. Poiché lo smalto è un materiale riflettente, l’osservazione delle tracce di microwear e della tessitura superficiale è eseguita su superfici replicate, generalmente prodotte in resina epossidica. Per quanto riguarda la tecnica di microwear mediante basso ingrandimento (LDM), i calchi della regione centrale di ogni lamella funzionale sono analizzati mediante stereomicroscopio con ingrandimento a 40 e 100x e illuminazione unidirezionale esterna. Le osservazioni qualitative e quantitative sono state compiute su microfotografie, mediante l’ausilio del software di grafica vettoriale ImageJ. Il pattern di microwear ottenuto è omogeneo ed evidenzia l’assenza di sostanziali differenze fra i molari superiori e inferiori, nelle diverse classi d’età così come nei due sessi. Al contrario, una maggiore eterogeneità caratterizza le estremità (laterale e buccale) di ogni lamella. I dati emersi da quest’analisi confermano che le lamelle centrali (e in particolare la regione mediana dei loop funzionali) registrano in modo più efficiente il segnale dietetico. Le lamelle più intensamente danneggiate mostrano il maggior impatto dell’usura, confermando l’esistenza di una forte correlazione tra l’usura attrizionale e le frequenze/densità delle microusure. Il pattern di microwear, soprattutto nelle lamelle centrali, è dominato dalla presenza di graffi (sia grossolani sia fini) associati ad aree di micro-abrasione; mentre i buchi sono molto scarsi. I graffi più grossi e quelli incrociati sono più frequenti nella porzione mesiale (più usurata) e distale (meno usurata). I dati ottenuti suggeriscono l’adattamento a una dieta mista dominata dal pascolo. L’analisi isotopica è stata condotta su un singolo campione di smalto. Un frammento della lamella centrale di un dente molare è stato prelevato dalla porzione basale. Il campione di smalto è stato separato meccanicamente dalla dentina e dal cemento. Dopo essere stato finemente macinato, è stato prima sottoposto a diffrazione ai raggi x per verificarne l’integrità strutturale; infine, la composizione isotopica (carbonio e ossigeno) del carbonato strutturale della bioapatite è stata analizzata allo spettrometro di massa. I valori del δ13C e δ18O ottenuti suggeriscono che nel momento di formazione dei livelli fossiliferi, la valle di Poggetti Vecchi era dominata da praterie boscose e condizioni climatiche freddo-umide. Gli attuali elefanti della savana africana hanno acquisito adattamenti alimentari da pascolatori e, soprattutto, nei periodi più umidi aumentano la quantità di erba ingerita; mentre in condizioni di maggiore aridità (quando l’erba declina) cambiano opportunisticamente abitudini alimentari prediligendo il consumo di foglie e arbusti (acquisendo perciò adattamenti alimentari tipici dei brucatori). I dati isotopici e il pattern di microwear confermano che un simile comportamento caratterizzava anche le specie estinte. Due campioni rappresentativi della popolazione, un cucciolo e un individuo adulto, sono stati selezionati per eseguire la caratterizzazione della tessitura superficiale. I calchi delle lamelle centrali sono stati quindi scansionati con un microscopio digitale a 500x in grado di generare immagini 3D componendo una serie di piani presi a vari livelli. Varie aree d’interesse sono state selezionate dalla porzione centrale delle lamelle di smalto mediane. Le foto sono state poi processate con i software MountainsMap® e ImageJ. I vari strumenti presenti nel primo software hanno permesso di ottenere immagini 2D e di estrarre 10 profili di rugosità 2D per ogni area selezionata; così come di calcolare alcuni parametri di rugosità industriale 2D (secondo lo standard ISO 4287) utili nel discriminare il comportamento alimentare. Il calcolo della dimensione frattale (Df), ha fornito una stima della complessità superficiale, mentre l’orientamento delle caratteristiche tessiturali (espresso come percentuale d’isotropia e direzioni dominanti, in gradi) è espresso graficamente da un diagramma polare. Infine, sono state ricostruite le immagini 3D delle superfici di smalto montando i singoli profili bidimensionali. I risultati emersi da questa procedura sembrano confermare il pattern di microwear emerso dall’analisi a basso ingrandimento; suggerendo, inoltre l’assenza di distribuzione marcatamente anisotropa delle micro-scalfitture e tessitura superficiale generalmente complessa. Tutti gli indizi raccolti dall’analisi multiproxy avvalorano l’ipotesi che questa specie di elefanti avesse un comportamento alimentare non specializzato di tipo intermedio, basato sul pascolo di un notevole quantitativo di piante ricche di fitoliti, quali le graminacee. Infine, le misure di mesowear, sebbene concordino nell’individuare l’adattamento a una dieta mista, suggeriscono un comportamento più spiccatamente da brucatore. La discordanza nei risultati, emersi da microwear e mesowear, potrebbe essere spiegata considerando le differenze nella risoluzione temporale dei due metodi. Infatti, l’analisi di microwear rivela il comportamento alimentare negli ultimi giorni della vita dell'animale, mentre il mesowear registra i segnali alimentari corrispondenti a un periodo più lungo, dagli ultimi mesi di vita fino a qualche anno prima della morte. Inoltre, poiché P. antiquus cambiava opportunisticamente comportamento alimentare secondo le diverse condizioni ambientali locali, è plausibile pensare che le misure di mesowear catturino anche le possibili variazioni dietetiche stagionali. Tuttavia, così come per altre specie di proboscidati, anche l’elefante dalle zanne dritte era prevalentemente un pascolatore negli ambienti aperti e dominati dall’erba. Le misure di mesowear ottenute potrebbero così indicare anche lo spostamento degli elefanti da altre aree (e.g., quelle limitrofe), in cui il paesaggio era invece dominato da boschi, verso la vallata. Alla luce di queste considerazioni, la ricostruzione paleoambientale emersa dall’analisi mediante l’approccio geoarcheologico sembra essere confermata anche dal pattern di microwear. Le evidenze paleobiologiche e tafonomiche che suggeriscono il confinamento degli elefanti in un’area ben limitata, l’impossibilità di lasciare la valle con conseguente consumo di tutto il cibo presente nelle immediate vicinanze delle pozze termali e, infine, la morte per stenti, sembrano trovare riscontro nel segnale dietetico degli ultimi pasti che tipicamente descrive il pascolo di erbe e graminacee che dominavano la vallata di Poggetti Vecchi. Poggetti Vecchi is an open air archeo-paleontological site located on the eastern side of Grosseto’s plain, in Southern Tuscany (Italy). Excavation for the construction of thermal pools exposed an up to 3-meter-thick succession composed of seven lithostratigraphic units of terrigenous and carbonate sediments. Vertebrate bones mixed up with stone tools and wooden implements were discovered mainly in the lower portion of the succession (Unit 2). Thermal carbonates overlying these remains are radiometrically dated to 171 ± 3 ka. Based on this dating the human artifacts can be assigned to early Neanderthals, which sparks the interest in the site, especially from a geoarcheological perspective. In fact, it provides invaluable information not only on the local environmental conditions at time, but also on the interactions that humans had with the surrounding environment and natural resources. Poggetti Vecchi’s macrofaunal assemblage is dominated by large-sized herbivorous, i.e. the straight-tusked elephant and aurochs. Paleobiological inferences indicate the presence of at least seven elephants of different ontogenetic ages and sexes, which were likely the members of a family clan. Our geoarcheological study suggests that the assemblage accumulated in a narrow lacustrine-palustrine embayment, affected by thermal springs and surrounded by extensive open grassland environments. Rapid climatic fluctuations that occurred at the MIS7-6 transition and throughout the MIS6 glacial period caused changes in the lake level and the entire area was repeatedly flooded and exposed to subaerial erosion. During a period of global climate deterioration, the hot thermal springs probably created an attractive recess for the resident faunas and, perhaps, a cold snap during a time of intense seasonal oscillations led to the sudden death of elephants. The carcasses represented an unexpected food resource for the early Neanderthals that lived in this area. Environmental changes were studied in detail to contribute to the solution of paleoecology issues, with special focus on the paleodietary preferences of local population of elephants. This has been obtained by cross-comparing the results obtained by coupling different methods: low-magnification analysis of microwear (LDM), 2D-roughness parameters and surface geometry assessment (fractal dimensions and isotropy calculations), mesowear and stable isotope analysis. Proboscideans are super keystone species in their ecosystems. They therefore tend to be opportunists, able to feed with equal facility on a wide range of items available locally, whenever they cannot have access to their ideal diet. This improves elephants’ ability to respond to climate impacts and environmental fluctuations. Our analyses confirm that Palaeoloxodon antiquus was a generalized mixed-feeder, which is here believed to have been especially capable of shifting from its dietary preference according to local vegetation composition and seasonal changes. In particular, microwear patterns, isotopes and texture results suggest the consumption of a great amount of graminaee or other plants quite rich in phytoliths. The dietary signal of the last meals confirms the preliminary landscape reconstruction based on multiproxy approach. Conversely, mesowear data that indicate more browse-dominated mixed dietary behavior probably reflect seasonal variations, as well as the environmental scenario of other areas (e.g., the neighboring ones) characterized by more closed canopy woodland. On the whole this study proposes to infer the feeding habits of the group of late Middle Pleistocene individuals of Palaeoloxodon antiquus discovered in Poggetti Vecchi and, by doing so, to contribute to the interpretation of the site’s landscape at the time. Poggetti Vecchi offers us the fortunate chance to explore new instances of human-animal interaction at the Middle-Late Pleistocene transition, which is still very imperfectly known in Prehistoric Europe.