Il contributo prende in esame un episodio esemplare della ricezione dell’arte di Raffaello: la serie di trentadue incisioni a bulino che illustrano la favola di Psiche, realizzate a Roma negli anni successivi al Sacco. Attribuita per quel che riguarda l’incisione all’ancora ignoto Maestro del Dado (che ne sigla due, mentre tre sono siglate da Agostino Veneziano), dal punto di vista dell’invenzione esse sono state ascritte – fra l’altro da chi scrive fin dall’anno 2000 – al fiammingo Michiel Coxcie. Il saggio indaga da un lato sull’ideazione della serie, presentando alcuni disegni preparatori e identificando la “strategia” espressiva e retorica messa in atto dall’autore, dall’altro – e in relazione con questo primo punto – sulle ragioni dell’abbaglio che tra fine Cinquecento e Ottocento inoltrato porta la suite a essere considerata invenzione di Raffaello. Vengono così identificati: il soggetto, che nel tempo arriva a una sorta di identificazione con l’artista, complice la fortuna della Loggia di Psiche alla Farnesina; lo stile grafico di Coxcie, dal punto di vista del segno e delle composizioni, che rimanda soprattutto all’eloquenza dei cartoni raffaelleschi per gli arazzi ed è caratterizzato dalla presenza costante di citazioni dalle opere del maestro e da una generale ispirazione antiquaria; la coerenza della serie, in grado di offrire un repertorio di motivi organizzato, e la presenza delle ottave, testi di qualità modesta ma dall’alto potenziale comunicativo. Le incisioni alimentarono il successo postumo di Raffaello; un successo basato sulla conoscenza mediata del suo stile, tradotto in formule banali e semplificate.