Search

Il saggio prende in esame alcune presenze di dipinti astrattisti sui set di film girati e ambuentati a Milano nel corso degli anni sessanta, analizzandone le implicazioni critiche, sociali e simboliche, oltre che la funzione iconica all'interno del film.

Il contributo rende conto dell'importante ruolo svolto daGiusta Nicco Fasola nella diffusione dell'astrattismo in Italia, a livello di riflessione critica, e analizza la figura della studiosa nel suo rapporto con le vicende della critica italiana e internazionale, con particolare attenzione alla sua attività curatoriale in rapporto al gruppo fiorentino dell'Astrattismo classico.

Il volume ricostruisce le vicende del gruppo di pittori astratti costituitosi a Firenze con i nomi di “Arte d’Oggi” (dal 1947) e, in seguito, di “Astrattismo Classico”, secondo la definizione scelta dal filosofo Ermanno Migliorini nel Manifesto del 1950. Benché la formazione del gruppo si sia consolidata per lo più attorno ai nomi di Vinicio Berti, Bruno Brunetti, Alvaro Monnini, Gualtiero Nativi e Mario Nuti, il fenomeno fu in grado di toccare le esperienze di altri artisti toscani, nonché di inserire l’ambiente artistico fiorentino nel panorama del dibattito nazionale ed internazionale attorno all’astrazione, in anni di cruciale importanza. Dagli esordi post-cubisti ai più rigorosi approdi astratto-geometrici, il percorso di questi artisti ebbe infatti il merito di cogliere alcuni degli aspetti fondamentali di tale dibattito, non solo per quanto riguarda la legittimazione politica, in senso marxista, dell’arte astratta, ma anche nell’articolazione di una posizione italiana sul tema del concretismo e della ricerca di un’integrazione delle arti nello spazio architettonico e urbano.

Il saggio prende in esame gli appunti didattici di Dorazio per il suo corso alla Penn University, conservati presso l'archivio dell'artista. Nell'analizzare questi materiali, emerge un'impostazione basata sulla conoscenza della storia dell'arte e, al tempo stesso, sulla scienza e fisiologia dell'occhio. Un elemento, quest'ultimo, che porta a una divergenza rispetto al modello formalista proposto da Clement Greenberg, critico asssai vicino a Dorazio, e che va ad inserirsi nel filone di pratiche di insegnamento legate ai nascenti Visual Studies.

Il saggio prende in esame gli appunti didattici di Dorazio per il suo corso alla Penn University, conservati presso l'archivio dell'artista. Nell'analizzare questi materiali, emerge un'impostazione basata sulla conoscenza della storia dell'arte e, al tempo stesso, sulla scienza e fisiologia dell'occhio. Un elemento, quest'ultimo, che porta a una divergenza rispetto al modello formalista proposto da Clement Greenberg, critico asssai vicino a Dorazio, e che va ad inserirsi nel filone di pratiche di insegnamento legate ai nascenti Visual Studies.

Il volume ricostruisce le vicende del gruppo di pittori astratti costituitosi a Firenze con i nomi di “Arte d’Oggi” (dal 1947) e, in seguito, di “Astrattismo Classico”, secondo la definizione scelta dal filosofo Ermanno Migliorini nel Manifesto del 1950. Benché la formazione del gruppo si sia consolidata per lo più attorno ai nomi di Vinicio Berti, Bruno Brunetti, Alvaro Monnini, Gualtiero Nativi e Mario Nuti, il fenomeno fu in grado di toccare le esperienze di altri artisti toscani, nonché di inserire l’ambiente artistico fiorentino nel panorama del dibattito nazionale ed internazionale attorno all’astrazione, in anni di cruciale importanza. Dagli esordi post-cubisti ai più rigorosi approdi astratto-geometrici, il percorso di questi artisti ebbe infatti il merito di cogliere alcuni degli aspetti fondamentali di tale dibattito, non solo per quanto riguarda la legittimazione politica, in senso marxista, dell’arte astratta, ma anche nell’articolazione di una posizione italiana sul tema del concretismo e della ricerca di un’integrazione delle arti nello spazio architettonico e urbano.

The essay addresses Piero Dorazio's tenure as instructor and Professor of Painting at the Univesrity of Pennsylvania, from 1960 to 1970. Among the process of reshaping of the the teaching of visual arts in the American university, the School of Fine Arts opted for a complex solution, choosing a polytechnic, Bauhaus-based program, while maintaining the categories and terminology of the Beaux-Arts model. Dorazio took this ambiguity further, developing connections between his Deaprtment and the contemporary art world, and promoting the Department's role as a main contributor in the creation of the ICA in Philadelphia. The essay traces the parable of this experience, analyzing its postioning among the debate on the teaching of art in the universities of the Ivy League.

The essay addresses Piero Dorazio's tenure as instructor and Professor of Painting at the Univesrity of Pennsylvania, from 1960 to 1970. Among the process of reshaping of the the teaching of visual arts in the American university, the School of Fine Arts opted for a complex solution, choosing a polytechnic, Bauhaus-based program, while maintaining the categories and terminology of the Beaux-Arts model. Dorazio took this ambiguity further, developing connections between his Deaprtment and the contemporary art world, and promoting the Department's role as a main contributor in the creation of the ICA in Philadelphia. The essay traces the parable of this experience, analyzing its postioning among the debate on the teaching of art in the universities of the Ivy League.

Il conributo si propone di delineare caratteri ed evoluzione della produzione dell'artista Valdi Spagnulo a partire dai primi anni 2000. In particolare, si analizza la complessa natura mediale delle opere di Spagnulo, articolata tra pittura, scultura e installazione ambientale, leggendola come un'esplorazione del rapporto tra forme minimali e reazione percettiva, emotiva e intellettuale del fruitore.

Traduzione in italiano del volume di Ariella Azoulay, "Civil Imagination". Nel testo l'autrice mira a costruire una 2ontologia politica della fotografia", rileggendo il prodotto fotografico come risultato di una serie di intrazioni all'interno di una "comuniità" della fotografia. In questo senso, la fotografia va al di là della dimensione prettamente "politica", per caratterizzarsi come medium innanzitutto "civile", legato cioè a un superamento della logica del sistema a favore del discorso sugli individui. In tal senso, vengono esplorate opposizioni - reali o presunte . quali estetico/politico, pubblico/privato, artistico/visuale.

The essay analyzes Gianni bertini's contribution to the definition and development of mec-art. Through a deep research into archive and photographic materials, the author reconstructed the peculiar techniques used by the artist, as well as several of his iconographic sources. After introducing mec-art and how its inception corresponded to Bertini's return to pop-like iconic materials, the essay addresses a few aspects of the artist's mec career: the relationship with serialization and the creation of variants; the imagery and the most recurring themes (considered in their historical development); the main exhibitions featuring Bertini's mec-art work; the continuous presence of mec-art in the following phases of the artist's career.

The three entries in the Cagnini Collection catalogue analyze the three scultural works by Mirko Basaldella included in the collection, dating from 1955 to 1960.

Il volume ridefinisce la posizione storica della Pop Art dagli anni sessanta agli anni ottanta, individuandola come "prima età pop" all'interno della periodizzazione del postmoderno.

Il volume ridefinisce la posizione storica della Pop Art dagli anni sessanta agli anni ottanta, individuandola come "prima età pop" all'interno della periodizzazione del postmoderno.

Il contributo ripercorre le carriere di Mirko Basaldella, Costantino Nivola, Piero Dorazio e Angelo Savelli come docenti nelle università americane di Harvard e Pennsylvania, in un periodo che va dalla metà degli anni cinquanta all'inizio degli anni settanta. La produzione artistica dei quattro autori, anche in relazione ai lavori esposti, è letta in parallelo con la loro attività didattica.

Uno dei più grandi critici d'arte analizza lo stile globale di arte e architettura. Hal Foster, lo stesso autore dello stimato Design & Crime, afferma che una fusione tra architettura e arte è una caratteristica che tende a definire la cultura contemporanea. Identifica dunque uno "stile globale" dell'architettura (quello praticato da Norman Foster, Richard Rogers e Renzo Piano) che è analogo allo stile internazionale di Le Corbusier, Gropius e Mies. Più di qualunque arte, questo stile globale trasmette sia i sogni che le delusioni della modernità. Hal Foster dimostra che uno studio del "complesso arte-architettura" fornisce una comprensione inestimabile di quelle traiettorie sociali ed economiche più ampie che hanno più urgente bisogno di analisi.

Il volume, tradotto in italiano per la prima volta, presenta alcuni concetti fondaentali della critica d'arte contemporanea, gravitanti attorno alle questioni dell'impulso archivistico, dell'esasperazione critica, del kitsch, dell'abietto, del rapporto con la politica.

Il volume, tradotto in italiano per la prima volta, presenta alcuni concetti fondaentali della critica d'arte contemporanea, gravitanti attorno alle questioni dell'impulso archivistico, dell'esasperazione critica, del kitsch, dell'abietto, del rapporto con la politica.

Il saggio analizza il percorso di Thomas Stearns al di fuori della produzione di opere in vetro, suo medium prediletto. In particolare, si studia la formazione dell'artista presso la Cranbrook Academy e la sua produzione pittorica e scultorea giovanile, cercando di spiegare la peculiare posizione di Stearns rispetto all'ambiente artistico americano, in qualche modo spiegabile attraverso la dissonanza tra scena epspositiva, mercato e ambiente accademico. Il contributo si conclude con la presentazione della produzione scultorea di Stearns successiva al soggiorno veneziano.

Il contributo analizza la corrispondenza tra il versante astrattista di Dada e le ricerche sul movimento e sul cinema. In particolare sono presentate le operazioni compiute in tal senso da Man Ray, Marcel Duchamp, Viking eggeling e Hans Richter

Cambridge, Massachusetts, 1954. In quella che ancora oggi è considerata una delle principali università americane, in un dipartimento che conta tra le sue file alcuni dei più importanti progettisti, storici e teorici al mondo, impegnati nel portare avanti gli ideali del Bauhaus ereditati direttamente dal grande maestro Walter Gropius, un artista sardo, Costantino Nivola, riceve l’incarico del corso di “Fondamenti del Design”, l’analogo del leggendario Vorkurs. Da questo incarico nascerà un’esperienza tutta italiana, quella del Design Workshop della Harvard University, diretto prima da Nivola (1956-57, poi 1970), poi dal collega Mirko Basaldella (1957-69), nell’ambito della Graduate School of Design. Il laboratorio costituisce una delle più interessanti applicazioni sul campo, oltre che degli insegnamenti del Bauhaus, di quell’idea di «learning by doing» che animava il mondo dei college fin dagli inizi del secolo, e che aveva trovato ampio sostegno nel pensiero di John Dewey. Perché un insegnamento legato al problematico concetto di “Design” viene affidato a due artisti? E perché due artisti italiani, in un momento storico in cui l’America, anche in campo culturale, aveva ormai assunto un ruolo da protagonista? L’autore cerca di rispondere a queste domande a partire da un inquadramento storico e teorico del problema, dalla definizione del “design” e della sua particolare incidenza sui contenuti e le categorie didattiche dell’arte nell’università americana, soprattutto in relazione all’importazione del modello-Bauhaus. Il rapporto con questo ingombrante precedente è affrontato anche allo scopo di spiegare la distanza tra l’arte prodotta dall’avanguardia americana di quegli anni e quella insegnata a livello universitario, esiti rispettivi di due diverse formulazioni del “modernismo”: proprio in questa distanza si colloca il lavoro di docenti di Nivola e di Mirko, ma anche di Bruno Munari, invitato a Harvard per un semestre nel 1967.

Il saggio si propone di rileggere alcuni episodi di scultura italiana degli anni settanta legati al mantenimento della pratica scultorea, intesa come modellato o assemblage, distinta dalle contemporanee applicazioni del concetto nel "campo allargato" indagato dalle avanguardie di quegli anni. In particolare, è adotatto il modello di lettura proposto da Hal Foster rispetto all'idea di "neoavanguardia", vista come riproposizione ed elaborazione aggiornata dei "sintomi" dell'avanguardia storica (astrazione, assemblaggio, rottura, etc.).

Il saggio si propone di rileggere alcuni episodi di scultura italiana degli anni settanta legati al mantenimento della pratica scultorea, intesa come modellato o assemblage, distinta dalle contemporanee applicazioni del concetto nel "campo allargato" indagato dalle avanguardie di quegli anni. In particolare, è adotatto il modello di lettura proposto da Hal Foster rispetto all'idea di "neoavanguardia", vista come riproposizione ed elaborazione aggiornata dei "sintomi" dell'avanguardia storica (astrazione, assemblaggio, rottura, etc.).

Cambridge, Massachusetts, 1954. In quella che ancora oggi è considerata una delle principali università americane, in un dipartimento che conta tra le sue file alcuni dei più importanti progettisti, storici e teorici al mondo, impegnati nel portare avanti gli ideali del Bauhaus ereditati direttamente dal grande maestro Walter Gropius, un artista sardo, Costantino Nivola, riceve l’incarico del corso di “Fondamenti del Design”, l’analogo del leggendario Vorkurs. Da questo incarico nascerà un’esperienza tutta italiana, quella del Design Workshop della Harvard University, diretto prima da Nivola (1956-57, poi 1970), poi dal collega Mirko Basaldella (1957-69), nell’ambito della Graduate School of Design. Il laboratorio costituisce una delle più interessanti applicazioni sul campo, oltre che degli insegnamenti del Bauhaus, di quell’idea di «learning by doing» che animava il mondo dei college fin dagli inizi del secolo, e che aveva trovato ampio sostegno nel pensiero di John Dewey. Perché un insegnamento legato al problematico concetto di “Design” viene affidato a due artisti? E perché due artisti italiani, in un momento storico in cui l’America, anche in campo culturale, aveva ormai assunto un ruolo da protagonista? L’autore cerca di rispondere a queste domande a partire da un inquadramento storico e teorico del problema, dalla definizione del “design” e della sua particolare incidenza sui contenuti e le categorie didattiche dell’arte nell’università americana, soprattutto in relazione all’importazione del modello-Bauhaus. Il rapporto con questo ingombrante precedente è affrontato anche allo scopo di spiegare la distanza tra l’arte prodotta dall’avanguardia americana di quegli anni e quella insegnata a livello universitario, esiti rispettivi di due diverse formulazioni del “modernismo”: proprio in questa distanza si colloca il lavoro di docenti di Nivola e di Mirko, ma anche di Bruno Munari, invitato a Harvard per un semestre nel 1967.

Il saggio ricostruisce i primi anni di attività di De Maria, a Bologna, tra frequentazioni accademiche e prime esperienze di illustratore.

Il saggio ricostruisce i primi anni di attività di De Maria, a Bologna, tra frequentazioni accademiche e prime esperienze di illustratore.

The essay reflects upon some relevant examples of video-installation using materials from the movies. Making art as a way of criticizing and de-constructing another medium is a common tendency in today's culture. These installations allow the artist to challenge the cinematic text by suspending some of the commonly accepted illusions movies are based on: their supposed "embodiness" and the imaginary continuity of diegesis. In video-installations, such suspension is made possible by the refusal of the "somwehere else" movies take place in, obtained through the use of actual space.

The essay reflects upon some relevant examples of video-installation using materials from the movies. Making art as a way of criticizing and de-constructing another medium is a common tendency in today's culture. These installations allow the artist to challenge the cinematic text by suspending some of the commonly accepted illusions movies are based on: their supposed "embodiness" and the imaginary continuity of diegesis. In video-installations, such suspension is made possible by the refusal of the "somwehere else" movies take place in, obtained through the use of actual space.

The essay suggests a reflection on the aesthetic evolution of simulation video games, paralleling it to that of iper-realism in art. An aesthetic rooted in technology tends to be subject to a technological type of development, more than to a cultural one.

A re-reading of the view of Arte Povera among the critics and scholars writing for "October".

The biographies of Mec-Art artists is the occasion for a critical analysis of their work, focusing mostly on the Mec-Art period (1965-1970), but considering its premises and consequences.

Volume realizzato in occasione della mostra su Dada, a cento anni dalla nascita del movimento. L'esposizione, realizzata dai Musei di Brescia, nella sede di Santa Giulia, ha raccolto oltre duecento opere e documenti da musei e collezioni italiane e svizzere

A complete, reasoned account of Luciano Caramel's writings.

Il testo illustra il percorso di Giancarlo Marchese copme autore di sculture a dimensione installativa per spazi pubblici e privati all'aperto, dai primi esperimenti degli anni sessanta fino alla scoperta del vetro e del corten come materiali prediletti, fino alla messa a punto di una tecnica personale per la deformazione delle lastre di vetro tipiche di questo artista.

Il testo illustra il percorso di Giancarlo Marchese copme autore di sculture a dimensione installativa per spazi pubblici e privati all'aperto, dai primi esperimenti degli anni sessanta fino alla scoperta del vetro e del corten come materiali prediletti, fino alla messa a punto di una tecnica personale per la deformazione delle lastre di vetro tipiche di questo artista.