2010/2011 La presente ricerca trova le proprie tracce in quesiti generali sorti nella pratica quotidiana del nostro lavoro di assistenti sociali esercitato in questi anni. Anni d’intensa attività espressa nell’affrontare molteplici problemi della vita di tante persone, hanno lasciato spazio ad una costante ricerca di risposte a quesiti riguardanti il servizio sociale come professione e disciplina scientifica. Un lavoro spesso “silente” attraversato da diverse pratiche ove la necessità di riconoscere il “sapere” si è frapposta alle molteplici azioni discrete esercitate. La presente ricerca (di natura qualitativa) ha perciò tentato di far emergere alcuni processi di conoscenza esplicita e implicita in un particolare (ma importante) ambito delle funzioni professionali dell’assistente sociale: quello dell’assessment di servizio sociale e in specifico nell’area d’intervento minori e famiglia. Il lavoro di ricerca si articola in quattro capitoli. Con il primo capitolo è stato argomentato l’oggetto teorico della conoscenza e dell’intervento in servizio sociale. La conoscenza generalmente si costituisce assieme all’identità cognitiva (ed emotiva) del conoscente. Codificare, organizzare, ordinare sono processi cognitivi mediati dalla dimensione relazionale tra le persone (Ugazio, 1988). L’interazione sociale può essere vista come un “ambiente” entro il quale si sviluppa la conoscenza. Spesso agiamo e pensiamo sulla base delle nostre conoscenze generali più che su quanto si è potuto apprendere da una singola conoscenza episodica relativa a una situazione particolare o a un ambiente specifico d’apprendimento. La conoscenza episodica tuttavia nutre la conoscenza generale, la amplia e la alimenta. Apprendere un nuovo sapere, anche se circostanziato e dissonante rispetto alle conoscenze generali, può condurre ad una “ristrutturazione” di una parte del nostro sapere generale, ampliare il dominio della conoscenza, attivare nuove motivazioni per l’approfondimento di ambiti conoscitivi. Tutto ciò favorisce nuovi circuiti relazionali tra noi ed il mondo circo-stante, incidendo in tal modo sulle nostre strutture del sapere quotidiano (id.). Anche nell’ambito professionale la conoscenza è presente (implicitamente ed esplicitamente) in molte competenze ed azioni. Nel servizio sociale gli aspetti pratici della professione richiedono infatti una riflessione sull’agire e sugli elementi cognitivi che influenzano tacitamente una conoscenza implicita (Polany, 1988) difficilmente esplicitabile dall’assistente sociale, ma che influisce sui suoi comportamenti, espressioni, riflessioni. Il conoscere nel servizio sociale necessita dell’individuazione di un “oggetto” referente. L’oggetto della conoscenza in servizio sociale può essere definito all’interno della dimensione scientifica, della professione e dell’istituzione (Diomede Canevini, 2005; Neve, 2008). La definizione dell’oggetto porta l’attenzione sul linguaggio utilizzato: le scienze “naturali” hanno infatti una natura epistemologica definitoria diversa dalle scienze storico-sociali (Marradi, 2007) come il servizio sociale (disciplina pratica-teorica-pratica). Il linguaggio della disciplina di servizio sociale necessita di contenere la variabilità dei mondi vitali, sociali e personali, l’incertezza del vivere e dell’esperienza. Tale linguaggio deve essere in grado di accogliere la diversità del mondo che si svela agli occhi del ricercatore e del professionista sociale (Fargion, 2009) ogni qual volta si pongano delle interrogazioni alla realtà con la quale si è in relazione, così da poter indagare strade percorribili di significati (Contini, 1988). Anche i linguaggi scientifici, come qualsiasi altro linguaggio, hanno dei propri stili espressivi (Fargion, 2002). Alcuni approcci scientifici sostengono che vi sia la necessità di rendere visibili e dimostrabili in termini di efficacia gli interventi nella pratica (Dawes, 2005) anche se, nello specifico del servizio sociale, debbono essere tenuti presenti i limiti sottesi a tali approcci (Rosen, Proctor, Morrow-Howell, Staudt, 1995; Parton, 2005; Parton, O’Byrne, 2005; Canali, Frigo, Vecchiato, 2008; Fargion, 2009; Greding, Sommerfeld, 2009; Nigris, 2010). La particolare natura dell’intervento di servizio sociale, deve infatti considerare l’originalità dell’uso di un linguaggio professionale che esprime uno stile di pensiero agito, sollecito alle “componenti” emotive, all’esperienza professionale maturata, alla contestualizzazione dell’azione, all’unicità della persona. Un linguaggio come riflesso di azioni pratiche e pensieri inediti, creativi, aperti a cogliere la molteplicità ed eterogeneità degli ambienti sociali. Il linguaggio quindi non si genera da sé nella definizione dell’oggetto ma è strettamente legato al pensiero e all’esperienza (Mortari, 2003). Conoscenza, linguaggio, esperienza possono pertanto condurre all’individuazione dell’oggetto del servizio sociale. L’atteggiamento riflessivo (Sicora, 2005) aiuta a comprendere gli stili di pensiero professionale (nelle loro valenze cognitive, emotive, etiche) nella dimensione individuale e interpersonale ed a individuare il campo di intervento (e ricerca) dell’oggetto del servizio sociale. Un oggetto non di natura materiale come nelle discipline formali (Marradi, 2007; Santambrogio, 2010), ma sostanzialmente di natura relazionale (Marzotto, 2002). L’attenzione posta alla conoscenza del servizio sociale riguarda sia l’interesse per gli aspetti disciplinari (il servizio sociale come disciplina) sia gli aspetti di trasmissibilità delle acquisizioni all’interno delle prassi (Bartolomei, Passera, 2005). Una conoscenza non speculativa ma orientata all’esperienza in un’ottica trifocale: persona, ambiente e sistema dei servizi (Gui, 2004; Lazzari, 2008). La formazione assume un aspetto importante per la trasmissione della conoscenza degli assistenti sociali (Giraldo, Riefolo, 1996; Marzotto, 2002) e per connotare il servizio sociale nella sua specificità disciplinare sul versante epistemologico, euristico, metodologico (Folgheraiter, 1998). Gli aspetti teorici di servizio sociale debbono pertanto percorrere campi futuri di indagine e riflessività che sappiano cogliere osservazioni da dati empirici ed originali ancorati alle realtà di riferimento esperite (Cipriani, 2006), alle conoscenze acquisite e ai modelli di conoscenza agiti nella comunità professionale (Sheppard, 1995; Wenger, 2006; Dente, 2010 a). Con il secondo capitolo, è stata posta attenzione ad uno degli aspetti fondamentali sull’uso della conoscenza in servizio sociale: l’assessment. L’assessment è un compito complesso che porta in sé una natura fluida e dinamica tra quelle che sono le conoscenze teoriche dell’assistente sociale e ciò che è osservato in un quadro unitario e coerente (Milner, O’Byrne, 2005) che può essere inteso nella realtà italiana di servizio sociale come “diagnosi” sociale riferita anche al singolo caso, in una fase di esordio e conoscenza di una situazione (Sicora, 2008). Il termine (inglese) non trova un’esatta traduzione italiana se non nel generico significato di “valutazione” come processo di analisi e riflessione sulle informazioni, sui dati, sugli indicatori raccolti rispetto ad una situazione problematica in prospettiva di un giudizio discrezionale. Nella letteratura scientifica italiana il termine si sovrappone anche a quello di “diagnosi sociale” (o psicosociale) e “valutazione sociale” (Campanini, 2006; De Ambrogio, Bertotti, Merlini, 2007). L’assessment si “oggettiva” in un lavoro pratico come in un contesto professionale e può sottendere dei modelli “teorici” che attraversano l’esperienza incontrata (Milner, O’Byrne, 2005). Nelle comunità di pratiche (come quelle degli assistenti sociali) si possono osservare modelli di spiegazione (Wenger, 2006) che conducono a comprensioni parziali e adattate alla realtà esperita. Esiste infatti un rapporto tra il contesto delle pratiche, la realtà, l’uso del linguaggio e l’esperienza maturata (Marradi, 2007). Sono modelli spesso inconsapevoli, non espliciti, connotati da un sapere pratico non contrapposto a quello esplicito, ma talvolta costituiti a partire da questo (Gola, 2009). Il tentativo di far emergere la conoscenza tacita nei processi di asses-sment attraverso il percorso riflessivo di ricerca fa riferimento agli aspetti cognitivi del professionista e sociali del contesto (Sicora, 2010). L’assessment si manifesta attraverso un pensiero pratico con proprie specificità in merito alla definizione dell’ambito di indagine, all’integrazione degli elementi di contesto, all’analisi del processo, all’impiego di conoscenze specifiche (Pontecorvo, Ajello, Zucchermaglio, 1995). Nel terzo capitolo è inizialmente presentato il dibattito scientifico sull’assessment in servizio sociale (“minori-famiglie”) entro il quale si è costituito il disegno di ricerca empirica. Vengono espressi i presupposti teorici del ricercatore nell’intento di porre in luce alcuni aspetti di pensiero sul “resoconto riflessivo” della ricerca (Cardano, 2011). È espresso l’atteggiamento di interrogazione: da quesiti “macro” a interrogativi mirati. Il servizio sociale ha una propria legittimità giuridica e metodologica di intervento e “valutazione” nell’ambito del sistema “minori-famiglia” (Dominelli, 2005; Ardesi, Filippini, 2008). L’obiettivo conoscitivo della ricerca presentata è quindi quello di conoscere alcune dimensioni dei processi di conoscenza impliciti ed espliciti nell’assessment di servizio sociale nell’area professionale minori e famiglia. L’indagine è stata svolta su un gruppo di 24 assistenti sociali (19 femmine e 5 maschi) suddivisi nelle province di Verona e Trento (regioni del Veneto e del Trentino Alto Adige). L’individuazione delle due province è avvenuta in base a criteri di congruenza rispetto alla fattibilità dell’indagine (possibilità di contatti, facilità negli spostamenti, presenza del corso di laurea in servizio sociale, risorse di ricerca disponibili, tempi, etc.). Gli assistenti sociali (con un minimo di cinque anni di anzianità professionale) erano tutti dipendenti di servizio pubblico ossia di Comuni, Unione di Comuni, Comprensori, Asl. Nella fase iniziale dell’assunzione dei dati, gli assistenti sociali sono stati individuati attraverso degli stakeholders (consiglieri dei rispettivi ordini regionali professionali, coordinatori di servizio). Ad ogni soggetto partecipante sono state somministrate due vignettes (Fook, Ryan, Hawkins, 1997) descrittive riportanti degli “incidenti critici” (Flanagan, 1954, tecnica da noi modificata) e successivamente ad ognuno dei partecipanti è stata proposta un’intervista non direttiva (Fideli, Marradi, 1996; Addeo, Montesperelli, 2007) volta all’approfondimento del materiale testuale emerso dalle due vignettes descrittive sulla base di alcuni testi descrittivi sottoposti ad un gruppo eterogeneo di 18 persone. L’assunzione dei dati testuali è avvenuta tra novembre 2009 e settembre 2010 e come metodo di raccolta ed analisi dei dati è stato utilizzato l’approccio della Grounded Theory (GT). Il paradigma sociologico che sottende la GT è riferito alla scoperta dei processi, alla loro interpretazione, allo svelamento dei fenomeni da indagare (Ricolfi, 1998; Strati, 2009). L’approccio di ricerca con la GT ha visto sostanzialmente una processualità riflessiva tra pensiero induttivo, abduttivo, deduttivo (Warburton, 2005; Tarozzi, 2008). I dati raccolti sono stati trattati con software Nvivo 8 (Cipriani, 2006) per la codifica delle categorie radicate ai dati, ma anche per la loro progressiva astrazione e comparazione. Nel quarto capitolo è quindi presentata l’analisi dei dati alla luce di quanto rilevato e nel tentativo di rispondere alla domanda di ricerca: quali sono i processi di conoscenza implicita ed esplicita nell’assessment di servizio sociale nell’area professionale minori e famiglia. Dall’analisi dei dati è emerso che la conoscenza in servizio sociale, nella funzione di assessment (nell’ambito minori-famiglia e nei 24 assistenti sociali partecipanti alla ricerca), è un processo che si esprime nell’operatività. Eventi incontrati nell’esperienza professionale connotati da forte sofferenza (codifica teorica “problemi prevalenti”) elicitano negli assistenti sociali dei processi di conoscenza mirata che investono 3 aspetti soggettivi: il “fare” (l’azione professionale), il “pensare” (riflessività esplicita, “riflessività” implicita, intuitiva ed “indotta”), il “sentire” (la componente emozionale associata a quella cognitiva). Tali aspetti della conoscenza a loro volta si vengono a costituire dall’interrelazione di diverse “componenti” riassunte in: - l’appartenenza a una comunità professionale (codifica teorica “ruolo dei servizi sociali”, codifica teorica “identità professionale”, codifica teorica “deontologia”, codifica teorica “metodologia”); - il sapere professionale (codifica teorica “comunità di pratiche”, codifica teorica “conoscenze teoriche semantiche”, codifica teorica “conoscenze formative”); - la dimensione personale (codifica teorica “emozioni professiona-li”). Questi aspetti componenziali dei processi di conoscenza nell’assistente sociale assumono modalità espressive esplicite (manifeste) e altre implicite (sottese). Quelle esplicite si esprimono primariamente nell’esito testuale dell’assessment professionale, quelle implicite emergono attraverso dei percorsi riflessivi degli assistenti sociali che connotano la conoscenza di servizio sociale come processo fortemente ancorato ai contesti operativi. XXIII Ciclo