Introduzione Cosa hanno in comune i cadaveri finiti in mare e le paperelle di gomma? Nulla, si direbbe, ma non è così. Infatti entrambi, come le ben più note “bottiglie del naufrago”, possono servire da “traccianti” per ricostruire quale fosse nel passato l’andamento delle correnti marine in particolari luoghi. Negli ultimi decenni la quantità e precisione dei sistemi utilizzati per studiare gli spostamenti delle masse d’acqua, sia superficiali sia profondi è aumentata tantissimo. Sistemi come gli ARGO floats [Roemmich et al., 2009], i drifters di diverse tipologie [Niiler et al., 1995; Poulain and Zambianchi, 2007; Poulain et al., 2009; Subbarya et al., 2016; Centurioni, 2018], i gliders [Meyer, 2016] e altri tipi di strumenti di misura sia attivi sia passivi, permettono agli oceanografi di ottenere dati sulla temperatura, la salinità, le correnti e, recentemente, le proprietà biogeochimiche degli oceani, quali per esempio clorofilla, ossigeno, torbidità. Fino al 1960 circa, però, questa strumentazione sofisticata per la misura delle proprietà fisicochimiche della colonna d’acqua e delle correnti marine, non era disponibile su scala globale. In sua assenza, i cosiddetti proxy, o indicatori indiretti, permettono di ricavare le informazioni necessarie. Un caso eclatante di uso di proxy è stato reso possibile dello sversamento (gennaio 1992) di un enorme quantitativo di paperelle gialle di gomma nell’Oceano Pacifico (44.7°N, 178.1°E), in seguito alla caduta in mare, e conseguente ribaltamento, di portacontainer provenienti da Hong Kong e diretti a Tacoma, sulla costa occidentale degli USA. Un episodio che è stato descritto da scrittori, giornalisti e oceanografi [Davis, 2004; Carle, 2008; Ebbesmeyer, 2010; Hohn, 2011] e che pur avendo provocato un disastro ambientale con l’immissione di tonnellate di plastica in mare ha permesso però agli oceanografi di studiare l’andamento delle correnti superficiali in diverse zone oceaniche per le quali, all’epoca, non si avevano informazioni sicure, mancando i sistemi di misura dedicati [Ebbesmeyer and Ingraham, 1994; Ebbesmeyer et al., 2007]. Allo stesso modo, in molte zone, soprattutto costiere, le conoscenze locali (dirette o tramandate) dei venti stagionali e delle relative correnti, permettono di stimare la provenienza dei detriti spiaggiati durante le mareggiate, così come dei cadaveri dei naufraghi annegati. Nel caso particolare della zona del Mar Tirreno nord occidentale e Mar Ligure, la presenza di una corrente prevalente diretta verso Nord, la Corrente Ligure/Ligurian Current (d’ora in poi LC) [Astraldi et al., 1990; Picco et al., 2010; Iacono and Napolitano 2020] agisce da “nastro trasportatore”, che trascina per buona parte dell’anno le acque tirreniche delle zone più a Sud della nostra penisola verso il Mar Ligure e fino alle coste francesi [Poulain et al., 2012]. Tale corrente, infatti, sostiene in tutto il Mar Ligure una circolazione ciclonica che coinvolge le acque di origine atlantica (Atlantic Water AW) in superficie e quelle levantine (Levantine Intermediate Water - LIW) a medie profondità̀. La portata della LC è imponente: può arrivare a circa 1,6 milioni di m3/sec, lo stesso ordine di grandezza della Corrente Atlantica che imbocca lo Stretto di Gibilterra. È un fiume d’acqua, largo circa 20 km e profondo circa 150 m, presente tutto l’anno, sia pure con variazioni di intensità, ed è una delle più importanti zone di upwelling1 [Casella et al., 2011] del Mediterraneo. Le correnti marine non coinvolgono solamente lo strato superficiale del mare (dove sono tipicamente guidate dall’azione del vento), ma anche gli strati più profondi (dove invece il forzante principale della circolazione è costituito da gradienti di temperatura e salinità), determinando il trasporto di nutrienti, sedimenti, oltre che flussi di sale e di calore. Ma le correnti da sole non bastano a giustificare e comprendere il comportamento degli oggetti che si spostano sulla superficie del mare. Anche il ruolo dei venti è essenziale: da un lato attuano da forzanti diretti delle correnti; dall’altro agiscono direttamente sugli oggetti trasportati. A ciò si aggiunge il fatto che, a seconda della sua forma, un oggetto può risentire in maniera più o meno marcata dei diversi fattori fino ad ora descritti. L’estrema complessità del sistema non permette di avere dati certi sulle traiettorie degli oggetti in mare, e quindi neanche sul loro conseguente accumulo in determinate zone. In questo contesto la modellistica numerica oceanografica può costituire un valido strumento per simulare e prevedere lo spostamento di oggetti sulla superficie marina. Inoltre, beneficiando dei dati disponibili, ossia di dati raccolti in situ (per esempio le traiettorie di oggetti rilasciati a mare, ma anche misure di vento e corrente) è possibile, attraverso un processo di calibrazione e validazione, ottenere un modello oceanografico sempre più attendibile. Oltre all’interesse puramente conoscitivo di illustrare come avvengono lo spostamento e il trasporto di materiale in mare, i modelli oceanografici sono molto importanti anche per poter prevedere la dispersione di eventuali inquinanti in caso di fuoriuscite di greggio da petroliere (oil spill), oppure ribaltamenti di portacontainers, ecc. Un campo di ricerca molto importante è poi quello della identificazione o previsione delle zone di accumulo dei Marine Litter (d’ora in poi ML), ossia dei rifiuti antropogenici (per la maggior parte di plastica) che, una volta immessi nel mare, vengono trasportati dalle correnti e accumulati sia in particolari zone oceaniche sia su gran parte dei litorali di tutti i continenti, le zone polari comprese [Bergmann et al., 2017; Dąbrowska et al., 2021].