GALUPPI, ROBERTA, BONOLI, CRISTINA, TAMPIERI, MARIA PAOLA, Cassini R., AA.VV., DALLA POZZA M., SARTOR A., SCAVIA G., BABSA S., BUSANI L., Galuppi R., Bonoli C., Cassini R., and Tampieri M.P.
L’identificazione e la classificazione tradizionale di Babesia spp. è basata sugli aspetti morfologici della forma intraeritrocitaria visibile negli strisci di sangue di animali infetti. Questa analisi, insieme alla specificità dell’ospite, ha portato alla descrizione di più di 100 specie di Babesia, che infettano un’ampia varietà di vertebrati. Si è però visto che specie differenti possono sembrare nello stesso ospite morfologicamente simili e viceversa lo stesso parassita può avere caratteristiche microscopiche differenti in ospiti diversi. Recenti studi molecolari hanno evidenziato come alcune specie di Babesia in grado di infettare differenti ospiti, siano in realtà sinonimi di una stessa specie. In questo lavoro sono riportati i risultati dell’applicazione di metodiche biomolecolari nello studio delle babesiosi degli animali selvatici. E’ stata messa a punto una metodica di PCR su sangue prelevato da animali selvatici (cinghiale, capriolo, daino, cervo, camoscio, muflone, volpe, lepre) in varie zone del nord Italia, amplificando un frammento di circa 800bp del 18S-rRNA. Per questo è stata utilizzata una coppia di primer: il primo genericamente usato per gli apicomplexa (CRYPTO- F), l’altro più specifico per Babesia spp. (RLB-R2). I campioni positivi sono stati sequenziati e sottoposti ad analisi filogenetica, e su una parte degli amplificati sono state effettuate prove per discriminare le diverse specie di emoprotozoi con l’uso di diversi enzimi di restrizione. Sono stati esaminati complessivamente 241 animali. È stata riscontrata una notevole variabilità di specie di piroplasmi: i caprioli sono risultati positivi per B. divergens, Babesia EU1, Babesia MO1, Theileria spp. e un ceppo riconducibile a quello descritto in un cane in Spagna, correlato a B. microti; quest’ultimo è stato riscontrato anche in una volpe. In daini e cinghiali è presente essenzialmente Theileria spp. Il lavoro svolto ha permesso di: 1) ottimizzare la PCR, impostando una temperatura di annealing di 63°C al fine di diminuire la presenza di bande aspecifiche dovute a protozoi ruminali che, specialmente in animali abbattuti, possono contaminare il campione; 2) evidenziare come questo tipo di approccio permetta di conoscere meglio, rispetto agli strisci di sangue, la reale circolazione dei piroplasmi negli animali selvatici; 3) chiarire, grazie al sequenziamento e all’analisi filogenetica, la grande variabilità di specie circolanti nella popolazione; 4) evidenziare la difficoltà di utilizzo della restrizione enzimatica per la tipizzazione dei piroplasmi diffusi negli animali selvatici.